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Quanto ci mancherai, Wayne Kramer

Nel cordoglio per la scomparsa del fondatore degli MC5 si parla molto - e giustamente - di musica. Wayne Kramer, però, è stato molto più di un chitarrista. Come dice Tom Morello: «era l'uomo migliore che abbia mai conosciuto»

Wayne Kramer

Wayne Kramer

Credits: Dave Simpson/WireImage via Getty

La mia adolescenza ha appena iniziato a riprendersi dalla notizia di Carl Weathers – uno degli ultimi muscle men del cinema testosteronico hollywoodiano e sicuramente il primo di colore, talmente cazzuto da essere riuscito a emergere dal duopolio reaganiano Stallone-Schwarzenegger e da essere pure stato in grado di scherzarci su in Arrested Developement – ma già deve affrontare un altro duro colpo: la scomparsa di Wayne Kramer, morto il 2 febbraio a 75 anni a causa di un cancro al pancreas.

 

C’è un’immagine che ormai ho scolpita nel mio lobo frontale da quando la vidi su una rivista, avrò avuto 17 anni: gli MC5, famigerata band proto-punk di Detroit impegnata nella sinistra radicale, sta facendo quello che gli riesce meglio, ovvero friggere il lobo frontale del pubblico del 1969 mentre cementa la propria fama come band implacabile e incendiaria. Dennis “Machine Gun” Thompson, l’unico ad avere una postura convenzionale, è impegnato dietro la batteria, Rob Tyner, il volto semi-eclissato dall’onnipresente zazzera, è sdraiato a pancia in giù, Fred “Sonic” Smith brandisce in ginocchio la sua Epiphone Coronet bianca. Il più vicino all’obiettivo della fotografa e attivista radicale Leni Sinclair è Wayne Kramer – occhiale da sole, camicia button down verde e giubbotto di renna viola – che piega il corpo come un arco teso mentre impenna la sua Stratocaster e fa partire non frecce ma dardi incandescenti di livore elettrico verso un pubblico estatico. È la prima volta che vedo Kramer, e dallo scatto appare chiaro anche al deficiente brufoloso che ero allora che è il più fico del gruppo.

 

Oggi che si è, ahimè, conclusa la sua storia penso di poter dire che avevo ragione. L’abbigliamento, la postura mitologica e quella chitarra da lui provocatoriamente dipinta a stelle e strisce “per rivendicare il mio patriottismo rispetto a quello che stava facendo il mio paese in quel periodo” mi spingono ad approfondire nel mondo più semplice, ovvero procurandomi il disco d’esordio degli MC5, quella pietra miliare del rock chiamato Kick Out The Jams.

 

Kramer fonda la band appena adolescente con l’amico di sempre Fred Smith, a cui si aggiunge dopo poco Tyner, che si propone come bassista ma, data la sua figura impositiva, ottiene saggiamente il posto di frontman. Il piano di Wayne è semplice: essere “cazzuti, forti e arroganti”, un assalto sonoro e visivo violento e senza compromessi ma che allo stesso tempo faccia riflettere la gente sullo stato degli USA in quel periodo (siamo a metà degli anni ’60) con la guerra fredda, le rivolte, il Vietnam, le disuguaglianze razziali… il giovane Wayne è parecchio incazzato e ha scelto la musica per canalizzare la sua energia in un modo costruttivo.

 

La radicalizzazione definitiva avviene con l’incontro di quello che per gli MC5 e Kramer in particolare sarà più di un manager, più un mentore o un maestro Jedi: John Sinclair, fondatore delle Pantere Bianche (nonché marito dell’autrice della foto di cui sopra). Kick Out The Jamsspacca tutto ma Elektra, l’etichetta della band, sente di avere tra le mani, più che una gallina dalle uova d’oro, una specie di duo Morgan & Bugo on steroids. L’equilibrio precario del gruppo, tra eccessi e sbruffonate, l’agenda politica che li mette nella lista nera dell’FBI, e catene di negozi che si rifiutano di vendere il loro disco perché il cantante all’inizio del primo brano urla “motherfuckers!” convincono la label a scaricarli alla Atlantic, che fa loro registrare due dischi, stavolta in studio.

 

Back In The Usa e High Time contengono ottimo materiale, i musicisti sembrano cesellare meglio i brani e si ravvisano apprezzabili scelte di intraprendere nuove strade più sperimentali. L’impressione generale, però, è che i “5 di Detroit” sembrino soffrire ora che la loro sulfurea energia è imbrigliata in uno studio, e non riescano a sfogarsi come si deve. I due album vendono meno di Dentro e Fuori La Mia Casa di Salvo il Pizzaiolo del Grande Fratello, e nel 1972, dopo un disastroso tour europeo, la band di Prometei del punk, che influenzerà milioni di musicisti da lì in avanti, si dissolve come un Polaretto nel microonde.

 

Si dissolve anche il sogno della controcultura e della rivoluzione per il compagno Wayne, che risponde alla catastrofe nell’unico modo possibile per un già navigato rocker poco incline al compromesso: una spirale di alcolismo ed eroina che lo porterà a essere arrestato nel 1975 per spaccio di narcotici, prima, e a una vacanza di 4 anni nella prigione federale FMC Lexinton, poi, uno dei primi istituti correttivi pensato per soggetti con problemi con la legge e contemporaneamente problemi di droga. Esce nel 1979 e inizia una lenta ricostruzione della sua carriera suonando con Was (Not Was), Johnny Thunders, GG Allin tra gli altri, lavorando anche come carpentiere presso Mattiello a Manhattan. È solo negli anni ’90 però che riemerge al pubblico firmando per la Epiphone di Brett Gurewitz e dando alle stampe The Hard Stuff, il disco che avvia la sua carriera solista.

 

Dal nuovo millennio il nostro si fa portavoce dell’eredità della sua vecchia band allestendo un supergruppo composto da Kim Thayil dei Soundgarden, Billy Gound dei Faith No More, Brendan Canty dei Fugazi e Marcus Durant degli Zen Guerrilla, e andando in tour a suonare i pezzi dei primi tre dischi. Nuovo materiale era previsto questa primavera.

 

Ieri e oggi più o meno tutte le testate che devono fare i conti con la soglia di attenzione del lettore medio (circa 180 caratteri per un totale di 6 secondi) tendono a riassumere la parabola di Kramer liquidandolo come “il chitarrista degli MC5” dal fraseggio nervoso e dal vibrato ostentato, debitore della sua passione per l’avanguardia e il free jazz. Ma Wayne era ovviamente molto di più. Un compositore di colonne sonore per cinema e tv (esempi? ripescatevi l’ottima commediaccia Talladega Nights con Will Ferrell, ambientata nel mondo della NASCAR, oppure Eastbound & Down, la serie HBO del 2009 che vede protagonista un titanico Danny McBride), un attivista, un poeta, ma soprattutto una persona generosa. «Vorrei poter dire che quando ero in prigione capii davvero chi ero e che quando uscii ero una persona migliore, ma la verità è che la prigione non fece questo di me, non mi aiutò affatto».

 

L’esperienza in un penitenziario fece però di lui uno dei più fervidi sostenitori della riforma carceraria americana: in 20 anni Wayne si è impegnato come pochi altri, suonando in oltre 100 prigioni e fondando, assieme a Billy Bragg, Jail Guitar Doors (il nome viene da un brano dei Clash in parte dedicato proprio alle turbolente vicende di Kramer, “let me tell you ‘bout Wayne and hit deals of cocaine”) un’associazione no-profit con lo scopo di fornire ai carcerati strumenti musicali, lezioni, sessioni di registrazione ma anche corsi di formazione e di orientamento post-scarcerazione. All’iniziativa ha aderito anche Tom Morello, per il quale Kramer era un maestro, un’ispirazione, un fratello. La sua morte ha scosso l’industria musicale e non solo, con decine e decine di post di cordoglio da parte di grandi musicisti a testimonianza di quanto il chitarrista fosse amato e rispettato. Ma forse il messaggio che mi ha commosso di più è proprio quello di Morello: «era l’uomo migliore che abbia mai conosciuto».

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