Quanta sana mascolinità ai concerti degli Oasis | Rolling Stone Italia
Abbracci e lacrime

Quanta sana mascolinità ai concerti degli Oasis

Una band per ubriachi tossici attaccabrighe? Macché, negli stadi per la reunion dei Gallagher si sono visti uomini felici, sensibili e premurosi

Quanta sana mascolinità ai concerti degli Oasis

L’abbraccio tra i Gallagher

Foto: Joshua Halling

Per assistere alla prima tappa del tour degli Oasis Jeff Jarrett ha viaggiato da St. Louis, Missouri a Cardiff, in Galles. Ad agosto è pure andato al Soldier Field di Chicago. Ma la serata migliore è stata quella di settembre a Pasadena, California perché per la prima volta ha visto la sua band preferita assieme al figlio di 6 anni Wolf. «È stata la serata splendida e rumorosa che speravo», racconta Jarrett, che ha 44 anni e di mestiere fa l’agente di booking e il manager. Ricorda con orgoglio di aver visto il figlio ricevere il “cinque” dagli altri fan. «Wolf cantava Acquiesce e io ridacchiavo come il Mr. Burns dei Simpson: “Mio figlio ama gli Oasis, il piano sta funzionando”».

Padri e figli. Papà e figlie. Padri coi loro padri. Mariti, fidanzati, amici. Ex coinquilini del college, coinquilini attuali. E nessuno si è comportato male, a giudicare almeno da quel che ho visto nel weekend del Labor Day al primo dei due concerti della band al MetLife Stadium, nel New Jersey. Posso dirlo? Sono rimasta colpita, emozionata e, sì, sorpresa da tutta questa mascolinità positiva. Ovunque andassi vedevo uomini felici, sensibili, emotivi, premurosi. Al banchetto del merch come al bar della tequila. Persino nel parcheggio, dove un tizio distribuiva birre ai passanti e li invitava a guardare la partita di football della domenica sullo schermo che aveva sistemato su un tavolino pieghevole.

«Tantissimi abbracci, baci e lacrime tra maschi. E nemmeno una rissa nei tre concerti a cui sono stato», mi ha scritto dopo lo show del Labor Day Bob Ferguson, un Gen X del New Jersey che si occupa di marketing per i musicisti di Oxfam (ha visto anche le due date della reunion a Toronto, le prime degli Oasis nel Nord America di questo tour). «Non ho mai visto così tanti papà soli coi propri bambini a un concerto rock e cantavano assieme come se fosse la cosa più naturale del mondo uslando sul prato di uno stadio di football “I’m a rock’n’roll star!”. Mi piace che gli Oasis stiano generando una società civile».

Foto: Harriet K. Bols

La civiltà non è mai stata il forte dei Gallagher. La fama di maleducati li precedeva e negli anni ’90 e 2000 lo si vedeva bene nelle interviste mollate a metà in cui offendevano o prendevano in giro i giornalisti e nei concerti dove Liam sputava birra sul pubblico. Il fratello maggiore Noel adorava scagliare frecciate agli altri musicisti: Phil Collins era «un pelatone da centro commerciale», Robbie Williams «il ballerino grasso dei Take That» e via dicendo. Quando Michael Hutchence degli INXS ha introdotto gli Oasis ai Brit Awards del 1996, Noel ha iniziato il discorso di ringraziamento dicendo che «i falliti non dovrebbero consegnare premi».

I Gallagher si insultavano anche fra di loro davanti a tutti. Dopo lo scioglimento della band nel 2009, Liam ha passato anni a punzecchiare Noel su Twitter, definendolo «potato» e «un piccolo nano triste». A sua volta, Noel descriveva Liam come «l’uomo più arrabbiato del mondo, un uomo con una forchetta in un mondo fatto di zuppa».

Ora, a 16 anni da quando Noel ha chiuso la prima parentesi Oasis a Parigi – pare in seguito a una lite nel backstage, durante la quale Liam ha brandito una chitarra come un’ascia – i fratelli hanno deciso di iniziare ogni concerto entrando sul palco abbracciati. Abbracci e baci a volontà.

Il tempo guarisce le ferite e ammorbidisce anche i rocker più duri e indomabili? Qualcuno potrebbe dire che aiuta organizzare un tour che si stima possa fruttare 1,6 miliardi di dollari. Ma Paul Adams, 54 anni, nato e cresciuto a Manchester proprio come Noel e Liam, offre un po’ di psicologia spicciola sulla dinamica tra i fratelli. «Dovete capire che gli uomini del Nord sono tra i più passionali che esistano. Quando litighi con qualcuno nel nord dell’Inghilterra, diventa parte della tua identità. È come un vestito che indossi… Ma è tutta una posa. Nel momento in cui è stato tolto loro il pubblico, entrambi hanno provato del rimorso per come era andata. C’è sempre stato un desiderio di riconciliazione. Possiamo fare un commento cinico quando li vediamo salire sul palco abbracciati, ma la verità è che ne hanno bisogno».

Secondo Jason Singer, alias Michigander, cantautore di Nashville che indica negli Oasis «una delle ragioni per cui faccio musica», anche i fan hanno bisogno di riconciliazione. «Questi concerti riportano la gente a un’epoca in cui la società non era così polarizzata», dice Singer, 33 anni, che ha visto una delle date di Chicago

Foto press

Al MetLife ho conosciuto un po’ di gente. C’erano due amici di lunga data che ignoravano quasi del tutto la band sul palco per cantare ogni singola parola l’uno all’altro. Poco più in là un ragazzo con la fidanzata e i genitori di lei aveva scelto apposta quella sera, quel concerto, per incontrare per la prima volta i futuri suoceri (bella mossa visto che la coppia di signori dai capelli bianchi sembrava essere superfan degli Oasis).

Alla mia destra, due fratelli del Bronx, Frank, 34 anni, e Joseph, 27. Ho conosciuto il primo quando mi ha chiesto se potevamo intrecciare le braccia per fare il Poznań, un momento amatissimo dai fan durante Cigarettes and Alcohol, quando Liam chiede al pubblico di voltarsi di spalle al palco e saltare su e giù.

Come molti dei fan che ho incontrato quella sera, non era il loro primo concerto degli Oasis. Frank, operaio edile come il fratello, non è mai stato all’estero, ma quando è stata annunciata la reunion e l’inizio del tour nel Regno Unito, dice, «Joseph mi ha riempito di messaggi: “Dobbiamo andarci!”. Quand’eravamo bambini mio fratello li ha scoperti perché li ascoltavo io. La loro musica ci ha avvicinati tantissimo. Loro sono fratelli, noi siamo fratelli».

Quando sono stati messi in vendita i biglietti per le date inglesi, i due sono rimasti svegli tutta la notte a New York e alla fine sono riusciti a prendere due biglietti per una delle sette date di Londra, tutte sold out, tra luglio e agosto a Wembley. «Siamo arrivati e vedere la gente con addosso il merch degli Oasis mi ha emozionato», racconta Frank. «Poi le luci si sono abbassate, sono partite le prime note dell’intro e ho abbracciato mio fratello. Attorno erano tutti con le famiglie, gli amici. Tutti provavano la stessa cosa: un senso di unità, di comunità. Poi sono arrivati loro, Liam e Noel, mano nella mano… sono crollato. Cioè, lacrime!».

Foto: Harriet K. Bols

«Io ho pianto quattro volte», dice Singer, ricordando il concerto allo Soldier Field. «È stata la serata più bella della mia vita. Ho visto concerti assurdi e incredibili, ma questo li supera tutti. Davvero non riesco a smettere di pensarci. Non ho mai vissuto niente del genere. Ho sentito molta gente dire che questo è l’Eras Tour dei maschi bianchi. Non so come qualcuno potrebbe fare qualcosa di simile in futuro».

Impossibile, ribatte Adams: «Non c’è nessuno che può rimettersi assieme e superarli. È quasi certamente il tour di reunion di maggior successo di sempre. La band suona meglio che mai. È musica della classe operaia sorretta dall’ambizione e dalla capacità di vedere la bellezza nell’ordinario. Le canzoni di Noel parlano di speranza, amicizia, gioia. Noel ha la capacità di scrivere progressioni di accordi malinconiche perfette per gli inni cantati dal fratello. Sono canzoni necessarie oggi più che mai. Oggi fa tutto schifo e quindi vai al concerto, ti bevi una birra, abbracci le persone attorno a te, canti i pezzi che conosci a memoria e pensi che andrà tutto bene».

Da Rolling Stone US.

Altre notizie su:  Liam Gallagher Noel Gallagher Oasis