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Qualcun altro pensa che ‘Siamese Dream’ sia meglio di ‘Mellon Collie’?

È il trentesimo anniversario dell’album del boom degli Smashing Pumpkins. Prima di diventare devoto al narcisismo, Billy Corgan era devoto al suono. La differenza fra un discone e un best seller

Foto: Paul Bergen/Redferns

Prima di diventare una specie di Nosferatu, Billy Corgan era un ragazzotto come tanti che voleva fare un discone e non un blockbuster come sarebbe stato Mellon Collie and the Infinite Sadness. Desiderava fare l’album della vita lontano da certe pretese estetiche riciclate. Da questa assoluta devozione al suono nasce Siamese Dream, che oggi compie trent’anni.

Per chi scrive, è il picco degli Smashing Pumpkins. Mellon sembra costruito a tavolino, per quanto sia fatto a regola d’arte come contenitore di hit. È un disco per la generazione MTV che pasteggiava a grunge e disagio, con Corgan talmente calato nel ruolo di perdente da “dimenticarsi” completamente che nel frattempo il conto in banca lievitava (per la band il post Mellon è tutto un arrampicarsi sugli specchi colpita dal boomerang della sua stessa ambizione).

Sì, è vero, durante le session di Siamese Dream pare che Corgan abbia avuto pensieri suicidi, ma rispetto al narcisismo autolesionista che verrà non sono sbandierati, non sono una posa, ma uno strumento per leggere la realtà. Nei concerti del periodo al posto della maglia con la scritta “Zero” Corgan ne indossava ironicamente una di Superman, una cosa più dissacrante dell’autocompatimento. Ma soprattutto c’era ancora la musica.

Definire Siamese Dream è piuttosto complicato perché è un disco talmente dettagliato che ci si può perdere. Esce in piena era grunge senza esserlo, è più vicino a un dream pop senza riverbero o echi, sporcato da chitarre metallare che ricordano certi episodi hard del progressive (Corgan era grande fan dei Jethro Tull e dei Rush). C’è il noise nelle chitarre che sono esageratamente (e se vogliamo anche inutilmente) stratificate fino a raggiungere un centinaio di overdub e c’è il crossover nel modo di usare la ritmica, ma tutto quello che può dare un minimo sentore di estremo viene equilibrato e alleggerito dalle melodie vocali, che sono sì un’eredità dei My Bloody Valentine, ma che possono anche essere cantate a un falò. A volte le sequenze di accordi sono quasi banali e disarmanti (Disarm ha una disposizione armonica da ballatona hair metal), ma gli arrangiamenti le elevano spostando l’attenzione sull’impatto, sull’asciuttezza inusuale dei suoni o sull’uso di strumenti poco gettonati nel rock dei ’90 come le campane tubolari o gli archi.

La cosa importante di Siamese è che, nonostante la sua impostazione senza compromessi, è un disco ascoltabilissimo anche da chi non è avvezzo a certe cose e in questo ha un forte debito con i gruppi new wave che riuscivano nell’impresa di essere pop anche se indigesti (un nome su tutti: i Cure, che Corgan ha sempre ammesso di avere come punto di riferimento). Sembra una pellicola sovraesposta, una solarizzazione di un disagio interiore: non è solo un grido adolescenziale fine a se stesso, ma è un manifesto del perdersi nella vita che per quanto sia alienante va vissuta come una continua follia da incanalare.

Corgan intelligentemente lo fa attraverso la psichedelia, sfiorata dai grungers più in voga (vedi i Soundgarden), ma che in questo caso diventa centrale e filtrata da un orecchio vergine, un vero e proprio passaggio di testimone dalla vecchia generazione (quella dei Pink Floyd e di Hendrix) alla nuova che la riprende, la ripulisce dalle cazzate hippy e la riposiziona. Anela sì alla liberazione, ma non attraverso sedute di yoga o sparandosi trip fino a non capirci più un cazzo (Billy parlerà della Generazione X come quella lasciata sola a se stessa a causa delle fricchettonate dei genitori). È un inno alla giovinezza in quanto tale, con la sua devastante vitalità che non basta a un corpo: Siamese Dream parla ai giovani di ogni tempo, è amore spirituale e allo stesso tempo carnale.

Ovviamente un disco del genere non poteva che essere attraversato da problemi, in primis il rapporto amoroso tra il chitarrista James Iha e la bassista D’Arcy Wretzky, tanto che Corgan decide di pensare da solo alle parti di chitarra e basso, lasciando loro solo piccoli interventi. Il batterista Jimmy Chamberlin è strafatto di eroina e viene mandato a pedate in una casa di riabilitazione. La leadership degli Smashing diventa sempre più di Corgan, l’unico deciso ad accettare la sfida dell’industria musicale (vedi Cherub Rock). Prende la palla al balzo per soddisfare il proprio ego per troppo tempo ferito dagli eventi (chi voleva una band che si rifaceva a un rock fondamentalmente anziano?).

Tutto questo gli causa un esaurimento nervoso che lo porta a trasformare Siamese Dream da un disco rock in odore di autodistruzione in un quaderno che evita la autoanalisi spicciola. Brano simbolo di questo aspetto borderline è Today, che oscilla tra la dissociazione di un testo cupo e di una melodia aperta. Non c’è spazio per le pistole alla tempia, anche se in Silverfuck quel “Bang bang you’re dead / Hole in your head” sembrerebbe la solita solfa del rock’n’roll. Col senno di poi è invece abbastanza inquietante se pensiamo al futuro suicidio di Cobain (gli Smashing erano stati pressati affinché diventassero i nuovi Nirvana) e soprattutto alla relazione clandestina tra Billy e Courtney Love in quel periodo documentata, tra l’altro, da Kim Gordon che non considerava Corgan punk-rock, ma un piagnucoloso personaggio in cerca di attenzioni (quell’“Hole in your head” volendo essere complottisti potrebbe riferirsi alla band della Love, appunto le Hole, con la quale Corgan collaborerà per il controverso album Celebrity Skin e per il ritorno di Nobody’s Daughter).

Gli effetti di Siamese Dream si sono fatti sentire a lungo termine, anche se parzialmente. L’idea di musica che riprenda i classici “dinosauri” dei ’70 skippando il punk la troviamo persino nei Måneskin, ma è ancora lunga la strada per recuperare il cuore del discorso. Oggi un’operazione del genere significherebbe tornare indietro di decenni. Nel caso di Siamese era tutto il contrario, a suon di budget sforati, perfezionismo insano e passioni musicali tanto naïf quanto vere, da quindicenne che pesca nella collezione dello zio, Corgan riusciva a portare al guinzaglio l’elefante dello show business creando qualcosa di inedito che resettava gli annosi dibattiti «è vero rock?», lontano dai cliché che inevitabilmente si abbatteranno sul futuro della band. Ci separano dieci anni dal prossimo anniversario, noi vi abbiamo avvertiti: Siamese Dream ci parla dal futuro.

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