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Può esistere un country non razzista e misogino?

La cantautrice Maren Morris lascia il genere perché stufa del sistema e del suo conservatorismo. Tra canzoni create per polarizzare l'opinione pubblica e artisti che invece fanno di tutto per ribaltare questo concetto, ecco come negli ultimi anni il country è sempre al centro del dibattito

Orville Peck. Foto: Matt Winkelmeyer/Getty Images for Coachella

Se il nome Maren Morris non vi dice niente è perché probabilmente non abitate negli Stati Uniti. Maren, classe 1990, è una star del country. Anzi, forse sarebbe corretto dire che lo era, ma lo vedremo dopo. Tra le altre cose, Maren Morris ha vinto un Grammy, e nel corso degli anni è stata più volte al top delle classifiche del genere. Ha pure duettato con Taylor Swift.

Un successo cominciato subito, con il singolo di debutto My Church, in cui non parla degli edifici in cui si celebrano i sacramenti ma della sensazione che prova quando ascolta musica mentre guida, in macchina: “Can I get a hallelujah / Can I get an amen / Feels like the Holy Ghost running through ya / When I play the highway FM / I find my soul revival / Singing every single verse / Yeah I guess that’s my church”. Ma Morris, oltre ad aver trovato la pace dei sensi in un pick-up, è stata recentemente al centro del dibattito politico USA per alcune delle sue dichiarazioni sul genere che l’ha resa famosa: «Più entri nel business della musica country, più inizi a vedere le crepe. E una volta che le vedi, non puoi far finta di niente». A cosa si riferisce Maren? Al razzismo e alla misoginia che aleggiano sulle teste dei musicisti country, ma pure di chi lo ascolta. E se non è un segreto che il country ha una matrice conservatrice, ultimamente sembrano esserci alcuni brani creati proprio ad hoc per polarizzare l’opinione pubblica.

In particolare, sono due i casi che hanno fatto scaldare gli animi nelle ultime settimane: il primo è Try That in a Small Town di Jason Aldean, brano pieno di riferimenti alla forza dell’America profonda dove «ci sosteniamo tutti e ci prendiamo cura l’uno dell’altro», a differenza delle grandi città nelle quali avvengono «aggressioni sui marciapiedi, furti d’auto a una vecchia signora ferma al semaforo, assalti ai negozi di liquori». Un brano che per i democratici invocherebbe «violenza razzista» e che promuoverebbe «una visione vergognosa dell’estremismo armato e del giustizialismo».

Poi c’è stato il caso Rich Men North of Richmond di Oliver Anthony (quest’ultimo però è più complicato: il suo stesso autore non la considera conservatrice, ma molti dei suoi fan più accaniti sì. Vai a capire).

«Le persone trasmettono queste canzoni in streaming per dispetto», ha detto Morris in una lunga intervista al Los Angeles Times. «Non è per gioia o amore per la musica. Si suppone che la musica sia la voce degli oppressi, dei veri oppressi. E ora viene usata come arma tossica nelle guerre culturali». Il giornalista le chiede cosa sia cambiato: «Dopo gli anni di Trump, sono venuti a galla i pregiudizi delle persone. Si sono rivelate le persone orgogliose di essere misogine, razziste, omofobe e transfobiche. Tutte queste cose stranamente si incastravano con questo ramo iper-maschile della musica country».

Tematiche che non sono nuove per chi conosce l’universo Nashville, e negli ultimi anni ci sono stati casi che hanno fatto rizzare le frange delle camicie da cowboy: uno su tutti quello di Brandi Carlile, cantautrice country apertamente lesbica. Già solo la sua esistenza potrebbe essere considerata un atto politico. Brandi poi è un’attivista, e si è sempre schierata per i diritti civili con la sua Looking Out Foundation (LOF). «L’impatto che ha avuto è multigenerazionale, abbraccia persone LGBTQ+, uomini e donne e tutti i tipi di generi», ha affermato Bonnie Raitt, a sua volta eroina di Brandi Carlile.

Qualche problema c’è stato anche per Brandi: è successo, per esempio, quando la Recording Academy ha assegnato il suo brano Right on Time alla categoria pop invece che alla più consona American Roots nella votazione per i Grammy Awards. «Sono incredibilmente lusingata di essere considerata pop, ma mentirei se dicessi che non sono stata un po’ sorpresa e delusa nell’apprendere che la Recording Academy ha deciso togliere il mio brano dalla categoria American Roots», ha scritto. C’entra il suo essere queer? Chi lo sa.

Ha poi aggiunto: «Essere riconosciuta dai Grammy, in qualsiasi forma, è un grande onore. Voglio solo che la gente sappia che questa non è stata una mia decisione. In ogni caso, non cambia chi sono o cosa continua a significare la mia comunità per me». E ancora: «Sento una grande responsabilità nel rappresentare le persone queer emarginate nell’America rurale, cresciute con la musica country e roots, ma che vengono ripetutamente e sistematicamente rifiutate dalla cultura correlata. Ogni gradino su cui riesco a mettere il mio stivale gay con paillettes diventa queer».

Brandi comunque è in buona compagnia: c’è Margo Price, tra le artiste più schierate del country, ma pure Sturgill Simpson. Quest’ultimo, ai Country Music Awards del 2017, decise di piazzarsi fuori dall’arena che ospitava l’evento per raccogliere fondi (le classiche monete lanciate nella custodia) per l’American Civil Liberties Union, organizzazione non governativa orientata a difendere i diritti civili e le libertà individuali negli States. L’esibizione fu trasmessa in streaming e, a un certo punto, il cantautore si è lanciato con un messaggio politico: «Nessuno ha bisogno di una mitragliatrice, e questo viene detto da un ragazzo che possiede parecchie armi». Ma anche «Le persone gay dovrebbero avere il diritto di essere felici, di vivere la loro vita come vogliono e di sposarsi se lo desiderano, senza paura. I neri probabilmente sono stanchi di farsi sparare per strada e di essere schiavizzati dal sistema industriale e carcerario. L’egemonia e il fascismo sono vivi e vegeti a Nashville, nel Tennessee. Grazie mille».

Ma quelle ad aver fatto più chiasso negli anni 2000 sono state, probabilmente, le Chicks (prima del Black Lives Matter si chiamavano Dixie Chicks), band country formata da sole donne che fu massacrata nonché inserita nella lista nera delle radio (leggasi: censurata) quando, nel 2003, criticò duramente Bush per la guerra in Iraq. La maggior parte degli ascoltatori delle radio country erano infatti di destra e a favore della guerra.

Una presa di posizione che però ha fatto storia, aprendo la strada a molti venuti dopo. Artisti come Kacey Musgraves o Orville Peck, che non hanno mai nascosto i loro ideali, ma mettiamoci dentro pure Taylor Swift, che, dopo esser stata accusata per anni di essere la country star preferita dei repubblicani, da qualche anno è schieratissima dall’altra parte (e non fa manco più country, ma questo è un altro discorso).

Come faceva notare Brandi, tutta questa nuova wave viene però spesso virata nelle classifiche pop, decisamente più “aperte”. Anche se qualche eccezione più dura e pura c’è: è il caso di In Your Love di Tyler Childers, che arriva poche settimane dopo l’inno conservatore Try That in a Small Town: una canzone che, se la sentite, potrebbe parlare di qualsiasi amore, mentre se vedete il video ci sono pochi dubbi. Childers canta l’amore gay, e nel video si racconta la storia di due minatori che si innamorano, negli anni ’50, e subiscono discriminazioni fino a quando uno di loro muore. «Mio fratello e mio cugino sono gay. Volevo che i miei familiari si sentissero rappresentati dalla musica country, un settore non noto per la sua tolleranza nei confronti della comunità LGBTQ+», ha dichiarato a NPR. Il brano ha fatto ingresso sia nella classifica Hot Country Songs che in quella generale.

Alla voce «cos’è il genio» troviamo invece Lil Nas X, che con la sua Old Town Road ha triggerato e non poco tutto l’universo degli stivali con gli speroni. La canzone, inizialmente caricata solo su SoundCloud, è partita da TikTok e ha debuttato contemporaneamente nella classifica Hot 100 di Billboard, nella classifica Hot Country Songs e nella classifica Hot R&B/Hip-Hop Songs.

L’apparizione di Lil Nas X nella classifica country però è stata brevissima: è stata ufficialmente «rimossa perché la sua inclusione era stata un errore». Per i puristi il brano non era abbastanza country, nonostante fosse pieno di riferimenti all’immaginario cowboy. Ma la domanda (vera) probabilmente era: può un ragazzo nero, di Atlanta, gay, essere incluso in una classifica così?

Chissà. L’esclusione di Old Town Road è però stata utile per aprire un enorme dibattito sui parametri di queste chart, sulle definizioni del genere, e probabilmente la dice anche più lunga sui concetti razziali sui quali si basa il sistema.

E una domanda se la son fatta anche artiste come Yola e Rhiannon Giddens, cantautrici nere che hanno ottenuto un discreto successo nel genere Americana (una sorta di alternative country più legato alla tradizione): «Quello del country come musica da bianchi poveri è un mito costruito da suprematisti», dicono nell’approfondimento che trovate qui.

L’essere catalogati come country serve principalmente per essere trasmessi dalle radio di genere (sono tantissime), per poi finire nelle classifiche. Oggi, però, questo step non è più sempre fondamentale (Lil Nas X docet): c’è TikTok, c’è YouTube (Old Town Road è rimasto numero uno della classifica americana per 19 settimane, per dire).

E mentre i cowboy s’interrogano sempre di più su cosa sia country e cosa no, sono sempre di più gli artisti di successo si schierano. L’ultimo è Zach Bryan, cantautore il cui (bellissimo) disco omonimo è arrivato alla numero uno della classifica Billboard.

In un tweet, Bryan ha mostrato solidarietà alla comunità transgender criticando pubblicamente i suoi colleghi musicisti per la loro intolleranza. Tutto nasce dalla pubblicazione di una campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney, influencer trans molto nota negli USA. Operazione che ha suscitato proteste da parte di conservatori e influencer di destra, inclusi appunto alcuni artisti (tipo Kid Rock).

«Non intendo mancare di rispetto a nessuno, ma penso che insultare le persone transgender sia completamente sbagliato. Viviamo in un Paese in cui tutti possiamo essere semplicemente chi vogliamo essere. È un bel giorno per essere vivi», ha scritto Bryan su Twitter.

Intanto Maren Morris è tornata sull’argomento durante una nuova intervista con il New York Times: «Qualsiasi commento critico viene interpretato come attacco alla musica country come istituzione. Della serie: non solo stai criticando il nostro modo di vivere, ma ogni convinzione fondamentale che abbiamo. Stai criticando Gesù, gli agricoltori, le fabbriche». Come direbbe il saggio Willie Nelson: Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up to Be Cowboys.

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