Rolling Stone Italia

Programmatori musicali, prendete nota: la recensione originale di ‘Thriller’ di Michael Jackson

L'audacia inedita. I testi maturi. La voce come stumento. Il mix di forza e malinconia. Il camp. L'invito alle radio a suonare questi pezzi. Ecco come Rolling Stone recensiva il best seller uscito il 30 novembre 1982

Foto: Liaison/Getty Images

Il 30 novembre 1982 Thriller usciva negli Stati Uniti. Michael Jackson veniva dal successo strepitoso di Off the Wall, ma immaginare che l’album di The Girl Is Mine (il primo e fino a quel momento unico singolo tratto dal disco) sarebbe diventato il più venduto della storia era impossibile. Indovinarne il valore era decisamente più facile. Ecco come lo recensiva all’epoca l’edizione americana di Rolling Stone.

Nei tre anni che ci separano da Off the Wall, l’album solista di Michael Jackson che ha venduto sette milioni di copie e prodotto quattro singoli di successo, la black music s’è allontanata dallo stile ballabile e superpatinato incarnato da quel lavoro. Da Prince a Marvin Gaye, dal rap a Rick James, gli artisti di colore hanno cominciato ad affrontare temi sempre più seri e audaci (cultura, sesso, politica), abbinandoli a musiche sempre più grezze e viscerali. E perciò quand’è uscito il primo singolo dal nuovo album, una ballata melodica e molliccia con un ritornello (cantato con un Paul McCartney scialbo) che recitava “quella dannata ragazza è mia”, si è pensato che Jackson avesse perso il treno.

La leggerezza di quella hit così maledettamente orecchiabile contrasta con la sostanza sorprendente di Thriller. Invece di riproporre il funk spensierato di Off the Wall, Jackson ha messo assieme un LP bello gustoso, in cui i pezzi più ritmati non adombrano messaggi cupi e strazianti. In particolare, nei brani scritti da Jackson il sound quasi ossessivo e teso di Thriller s’accompagna a testi che descrivono un mondo che ha messo l’artista ventiquattrenne sulla difensiva: “Sono lì fuori e ti danno la caccia, è meglio fuggire finché puoi. Non vuoi essere un ragazzo, vuoi essere un uomo”.

Jackson ha risposto a periodo difficile (i suoi genitori hanno divorziato, è stato coinvolto in un caso di presunta paternità) caricando a testa bassa. Ha abbandonato il falsetto da ragazzino di I Want You Back e Don’t Stop ‘Til You Get Enough per usare una voce matura e adulta, un misto di forza e tristezza. Questo nuovo atteggiamento regala a Thriller un’urgenza emotiva che lo rende più profondo di tutti i suoi lavori precedenti e segna un altro spartiacque nello sviluppo creativo d’un performer prodigioso.

Prendiamo Billie Jean, un pezzo funk minimale e insistente il cui messaggio non potrebbe essere più schietto: “Lei dice che sono l’unico, ma il bambino non è mio figlio”. Lo spirito festaiolo di Off the Wall l’ha messo nei guai e ora cerca di arginare l’esuberanza col sospetto: “Cosa intendi quando dici che sono l’unico che ballerà?”, chiede stupito alla sua femme fatale. È una canzone triste, quasi funerea, ma è cantata da un uomo che ha una certezza ferrea e ripete che “Billie Jean non è la mia amante” fino alla dissolvenza finale.

La stessa Billie Jean è menzionata rapidamente nel brano più tosto dell’album, Wanna Be Startin’ Somethin’, in cui Jackson se la prende con la stampa, i gossip e vari altri problemi che lo angosciano. Le emozioni sono talmente crude da far quasi deragliare la canzone. “Qualcuno cerca di far piangere il mio bambino”, si lamenta. La sensazione di paranoia diviene amarezza nel ritornello: “Sei un vegetale, ti mangeranno”. È un pezzo che elettrizza quasi quanto vedere Jackson su un palco, ma è molto più imprevedibile di una sua performance. D’accordo, non sono testi non faranno perdere il sonno a Elvis Costello, ma mostrano che Jackson è andato oltre il “facciamo casino” di Off the Wall.

La grande vitalità della musica neutralizza ogni autocommiserazione. La produzione di Quincy Jones (Jackson ha co-prodotto i brani che ha scritto) è più minimale del solito e fortunatamente per niente sdolcinata. Il punto è che Jones ha lavorato con quello che, forse, è lo strumento più meraviglioso della pop music: la voce di Michael Jackson. Là dove artisti meno dotati hanno bisogno d’una sezione di archi o del suono di un synth, a Jackson basta semplicemente aprire bocca per comunicare emozioni profonde e sentite. La sua bravura e la sua convinzione portano all’eccellenza brani come Baby Be Mine e Wanna Be Startin’ Somethin’ e riescono anche a salvare The Girl Is Mine. Ok, quasi a salvarla.

Forse la canzone migliore è il pezzo AOR Beat It. La voce di Jackson vola in alto sulla melodia, Eddie Van Halen tira fuori un assolo di chitarra al fulmicotone, il ritmo è così solido che ci potresti costruire sopra un centro congressi e il risultato è una canzone elegante e ballabile. Programmatori musicali, prendete nota.

Il difetto più marcato di Jackson è una certa tendenza all’eccesso e anche se qui sembra essersi contenuto, non ha soppresso del tutto questo suo istinto. La fine del secondo lato, specialmente P.Y.T. (Pretty Young Thing), non ha l’audacia di altri brani. E la title track, che di primo acchito suona come metafora della sindrome da accerchiamento che emerge nei momenti migliori dell’LP, scade nel camp un po’ sciocco con una parte recitata da Vincent Price (Count Floyd non era disponibile?).

Michael Jackson non ha mai nascosto la passione per lo showbiz tradizionale e il glamour che esso comporta. I suoi talenti, non solo il canto ma anche la danza e la recitazione, potrebbero renderlo un performer mainstream perfetto. Ma non voglio nemmeno pensarci. La convinzione e la passione che vengono fuori da Thriller lasciano sperare che Jackson sia ancora lontanissimo dal cedere alle lusinghe di Las Vegas. Thriller non sarà il 1999 di Michael Jackson, ma è un passo favoloso nella giusta direzione.

Tradotto da Rolling Stone US.

Iscriviti