Potente e straziante: l’ultimo tour di Bob Marley | Rolling Stone Italia
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Potente e straziante: l’ultimo tour di Bob Marley

Il chitarrista Al Anderson racconta il giro di concerti del 1980 che è passato anche da San Siro. Il trionfo, la malattia, le cure, la morte. «Era un leone ferito, ma non si è arreso»

Potente e straziante: l’ultimo tour di Bob Marley

Bob Marley nel 1980

Foto: Mike Prior/Redferns/Getty Images

Bob Marley ha iniziato il tour di Uprising nella tarda primavera del 1980. C’erano tutte le premesse affinché il re del reggae, che sulla copertina illustrata appariva in posa trionfante con le braccia alzate al cielo, lasciasse un segno ancora più profondo nella cultura popolare. Il singolo Could You Be Loved era popolare nei club americani, un fatto raro per Marley, ed europei. Per la sua prima esibizione in assoluto in Italia era previsto il pienone allo stadio. Negli Stati Uniti per lanciarlo presso il grande pubblico di colore erano stati organizzati due concerti come co-headliner dei Commodores di Lionel Richie al Madison Square Garden di New York.

Ad accompagnarlo erano i Wailers, i chitarristi Al Anderson e Junior Marvin, i tastieristi Tyrone Downie ed Earl “Wya” Lindo, il bassista Aston “Family Man” Barrett e suo fratello e batterista Carlton Barrett. Con loro le I-Threes, il trio vocale femminile composto da Rita Marley, Marcia Griffiths e Judy Mowatt. Marley si stava preparando anche dal punto di vista fisico, com’era solito fare. «Si allenava di continuo, anche coi pesi», ricorda oggi Anderson. «Prima dei tour correvamo per aumentare il fiato e ci serviva perché eravamo sempre di corsa. E lui sul palco non smetteva un momento di muoversi».

Il tour che doveva rappresentare la conferma definitiva dello status di Marley è stato invece il suo canto del cigno, la sua ultima serie di concerti. «Aveva lavorato duramente per metterlo assieme. Era lui il responsabile di tutto, dal punto di vista finanziario ma anche spirituale. Ci ha messo il cuore, in quel tour. La band era al top. È andato tutto alla perfezione… fino a un certo punto».

Il tour è iniziato a Zurigo a fine maggio ed è proseguito in Europa fino a fine luglio. Che Marley forse incredibilmente popolare era evidente a chiunque comprasse un biglietto. Il primo concerto americano, a Boston, è iniziato con oltre un’ora di ritardo a causa dei problemi di sicurezza causati dall’assembramento. Come diceva talvolta Marley al pubblico, «take it easy, take it good». I concerti duravano dall’ora e mezza alle due ore. Prima il set delle I-Threes, poi Downie incitava il pubblico ad acclamare Marley, che spesso saliva sul palco indossando una camicia decorata coi colori della bandiera giamaicana. I set epici che seguivano erano un viaggio nel suo repertorio di Marley, dai grandi inni come I Shot the Sheriff e No Woman, No Cry a Burnin’ and Lootin’ e Zimbabwe.

Bob Marley in Italia 1980

Chi c’era racconta di performance intense e appassionate. Marley si muoveva in continuazione, a volte correva sul posto. Era tranquillo solo quando cantava Redemption Song alla chitarra acustica. «A volte la band lo accompagnava, a volte la faceva in acustico, da solo», dice Anderson. «E funzionava sempre molto bene. Non era solito mettersi lì a suonare la chitarra acustica da solo, ma quando l’ha fatto la gente lo ha apprezzato». In altri momenti, erano le chitarre di Anderson e Marvin a smuovere la musica, con le doppie tastiere di Downie e Lindo a stendere una base sincopata particolarmente evidente in Exodus e Zion Train.

Un momento del concerto, quello in cui Marley cantava “You running, you running / But you can’t run from yourself” (Running Away) si sarebbe rivelato profetico in modo inquietante. Tre anni prima gli era stato diagnosticato un melanoma lentigginoso acrale, una forma rara e aggressiva di cancro della pelle. Proprio durante il tour di Uprising cominciava a manifestarsi l’impatto della malattia, soprattutto dopo l’inizio degli show americani seguiti al faticoso ciclo di concerti in Europa. Mentre si trovava a New York per i concerti coi Commodores, Marley è caduto facendo jogging a Central Park, episodio attribuito a un tumore al cervello. «Avrebbe dovuto idratarsi e riposare», dice Anderson, «ma non voleva rinunciare a fare attività fisica».

Nonostante tutto, Marley ha insistito per fare almeno un altro concerto. Si racconta che al suo arrivo allo Stanley Theatre di Pittsburgh il 30 settembre era apparso magro e visibilmente debilitato, un cambiamento netto rispetto alla forma fisica di solo pochi mesi prima. È comunque riuscito a portare a termine un concerto (vedi l’album dal vivo postumo Live Forever) che è parso il culmine di una vita e di una visione. «Ci sono stati momenti in cui appariva stanco, aveva evidentemente bisogno di una pausa», ricorda Anderson. «Avevamo fatto un tour dietro l’altro, eppure a Pittsburgh era indiavolato. Da fuori non si sarebbe detto che non stava bene».

Bob Marley & Earl "Wire" Lindo - Redemption Song (Live on Jamaica TV 1980)

Secondo quanto scrive Timothy White in Catch a Fire, la più importante biografia dedicata a Marley, la moglie Rita non era stata informata del collasso del marito a New York, ma ha insistito affinché il tour fosse cancellato. I concerti rimanenti, fra cui quelli a Philadelphia, Washington D.C. e Vancouver, sono stati annullati, ufficialmente a causa della stanchezza del cantante (nel comunicato non si menzionava il cancro). Marley è stato ricoverato in segreto al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, dove gli esami hanno confermato il peggio: il cancro si era diffuso a fegato, polmoni e cervello. Essendo rastafariano, Marley ha rifiutato di sottoporsi a un intervento chirurgico per rimuovere il tumore. Ha iniziato delle cure che lo hanno portato da New York al Messico, a Miami e poi in Baviera, in Germania. «Decise che si sarebbe occupato della sua salute per poi tornare a cantare, scrivere canzoni e fare tour», dice Anderson. «Era un leone ferito, ma non si è arreso».

Secondo chitarrista, che era con lui in quel frangente ed è uno dei pochi membri sopravvissuti della band, quando un medico ha detto a Marley che la fine era vicina, lui ha insistito per essere riportato dalla Germania alla Giamaica. È morto a Miami l’11 maggio 1981, mentre stava tornando nel suo Paese. Aveva solo 36 anni. Mentre si trovava a New York, prima d’essere ricoverato d’urgenza in ospedale, aveva cominciato a pensare al suo lascito e all’ascesa del reggae nella cultura popolare, come se sapesse che la musica sarebbe sopravvissuta dopo di lui: «Col passare del tempo, la gente scoprirà quant’è reale questa cosa».

No Woman No Cry (Live At The Stanley Theatre, 9/23/1980)

Da Rolling Stone US.

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