Sabato 1 novembre 2025, il Gran Teatro Geox di Padova ospiterà Voci per Gaza, una grande serata di solidarietà per raccogliere fondi destinati a portare arti bionici ai bambini mutilati e ad aprire un centro stabile di riabilitazione a Gaza. Un evento che nasce dalla Comunità palestinese del Nord-Est e che vedrà sfilare sul palco un fronte artistico importante: Moni Ovadia, Omar Suleiman, Paolo Rossi, Giorgio Canali, Le Orme, Giancane, Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri, Piotta (unplugged), Management del Dolore Post-Operatorio, Kento, Diplomático e il Collettivo Ninco Nanco, Auroro Borealo, Rossana De Pace, Don Nandino Capovilla, Luisa Morgantini, Marco Mascia, Vasco Mirandola, Silvia Girotto, Shayma Aljaal e molti altri. Una sorta di abbraccio collettivo in nome dell’arte, della giustizia e di una parola che in molti per anni hanno avuto timore a pronunciare: genocidio.
Pierpaolo Capovilla, tra i promotori, ci ha spiegato perché sarà importante esserci: «Di fronte all’abisso morale che stiamo subendo, siamo tutti testimoni di una strage insensata che è il genocidio del popolo palestinese. Non possiamo tirarci indietro. Io vivo questo periodo storico con un’angoscia pazzesca, ma grazie al cielo il nostro Paese si è sollevato con migliaia di ragazzi in piazza in segno di solidarietà e fratellanza». Il concerto sarà il debutto di una campagna di finanziamento internazionale per l’acquisto di arti bionici per i bambini palestinesi e per la costruzione di una clinica a Gaza. «Sono dispositivi complessi e costosi», spiega Capovilla, «ma vogliamo portarli direttamente lì. Dobbiamo ricostruire dignità, non pietismo».
Un messaggio condiviso anche da Khaled Al Zeer, presidente della Comunità palestinese del Nord-Est, che coordina il progetto: «Abbiamo incontrato un’azienda padovana all’avanguardia nel settore delle protesi bioniche. Con queste, non con quelle soltanto “estetiche”, i bambini potranno tornare a muovere gambe, braccia e dita per giocare e persino fare sport. In Italia formeremo il personale sanitario di Gaza, così che in futuro possano produrre direttamente sul loro territorio. Oggi ci sono oltre 3000 bambini mutilati, spesso senza anestesia perché Israele, considerandolo un prodotto militare, ne aveva vietato l’uso. E lo facciamo perché vogliamo restituire una vita normale a gente che ha sofferto e ricostruire un sistema sanitario degno di questo nome».
La raccolta fondi servirà da subito a fornire almeno 500 protesi bioniche e a inaugurare un centro di riabilitazione fisica e psicologica, anche con il sostegno di Emergency, Medici Senza Frontiere e Unicef. «Non vogliamo deportazioni “umanitarie”», ribadisce Al Zeer, «ma aiutarli a casa loro con grande dignità».
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E mentre il mondo sembra svegliarsi tardi, Capovilla torna su quella parola, genocidio, che per mesi è stata un tabù: «C’è un retaggio culturale che ci blocca, legato all’Olocausto, ma anche un retaggio ideologico, nel senso marxiano di falsa coscienza, che serve al potere per mantenersi. Quando Ghali la pronunciò a Sanremo, scoppiò il finimondo. Ora, tardivamente, la realtà costringe tutti a riconoscerla». Il cantautore veneto, poi, non ha risparmiato critiche proprio al mondo della musica a cui appartiene: «C’è chi ha paura di perdere lavoro e soldi? Perché il sionismo è tentacolare, anche nello spettacolo, condiziona manager e case discografiche. Guardate Nick Cave o i Radiohead, incapaci di prendere una posizione netta. In particolare Cave mi lascia basito, non riesco più nemmeno ad ascoltare la sua musica. Invece gli artisti hanno il sacrosanto dovere di schierarsi. Si vive una volta sola e bisogna fare le scelte giuste». Anche perché, aggiunge, «da anni sappiamo che il progetto sionista è coloniale e a nocumento del popolo palestinese. Leggo Haaretz, il quotidiano israeliano progressista, e dei sondaggi danno all’82% gli israeliani ebrei che sostengono l’espulsione dei residenti di Gaza. È una società vittima della propria propaganda. Persino in discoteca si ballano canzoni che incitano all’odio».
Ma denunciare tutto questo, spiega, è ancora un rischio: «Ti danno dell’antisemita. Ma io non lo sono, perché il popolo palestinese è semita. O ci sono semiti più semiti degli altri? Io sono antifascista e antisionista da quando sono nato». Infine, ha ribadito perché, nonostante il piano di pace, è necessario non abbassare la guardia: «Somiglia più a un piano urbanistico per la Riviera di Gaza. Il capitalismo si è tolto la maschera: il re è nudo. Conta solo il profitto. Viviamo nell’illusione di società libere, ma abbiamo una sola libertà: consumare. Non dobbiamo dimenticare che la lotta di classe è il cuore della democrazia. Quando la pace sociale si impone, il capitalismo si mangia i diritti che avevamo conquistato. Basta guardarsi intorno mentre tagliano la sanità, la scuola, il welfare. Perché non dobbiamo dimenticare che la democrazia non è solo votare, ma è avere dei diritti».
In questo modo Voci per Gaza non sarà solo un concerto, ma un atto politico e umano: una chiamata per risvegliare una coscienza collettiva anche attraverso la musica.













