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Piccola guida a Giovanni Truppi per persone cool

Il truppiverso come inversione a U dell'estetica del metaverso, il truppismo come linguaggio basato sul disordine creativo, il superamento del senso del ridicolo insito nell'espressione di pensieri sinceri

Piccola guida a Giovanni Truppi per persone cool

Giovanni Truppi

Foto: Claudia Pajewski

Nel nuovo disco di Giovanni Truppi, Infinite possibilità per esseri finiti (uscito ieri, anche per coerenza col titolo, senza limiti sulle piattaforme digitali e a tiratura ridotta in vinile) l’eterogeneità delle ispirazioni musicali del cantautore napoletano è più ingente che mai. Nelle 18 tracce, prodotte con Marco Buccelli e Niccolò Contessa, si passa con flessibilità da mixtape dalla cassa dritta ai paesaggi sonori, dal rap sofisticato all’ambient dei fratelli Eno. E, nonostante il tono di voce generale adottato nei testi sia quello consolidato del flusso di coscienza ritmico (non si fa mancare perfino l’occasione di debuttare nel genere dello spoken word), gli arrangiamenti sono così variegati da permettere a un paio di brani di raggiungere i picchi assoluti dell’orecchiabilità truppiana. Se La felicità rasenta il territorio del tormentone d’autore, Temporale è di fatto quello che ciascuno dei pochi ma agguerriti fautori del Truppi mainstream, d’ora in avanti, includerà nei propri wet dreams fantastorici come pezzo annunciato da Amadeus, una certa sera del febbraio 2022.

Ma questo album ha anche altri meriti, tra cui portare alle estreme conseguenze due concetti chiave: il primo è rappresentato dal truppiverso in quanto luogo crossmediale dell’anima; il secondo dal truppismo in quanto forma fondamentalistica di onestà intellettuale. Insieme queste nozioni possono fungere da possibile, piccola guida a Giovanni Truppi per persone cool, categoria umana tradizionalmente svantaggiata rispetto alla comprensione dell’opera dell’artista.

Giovanni Truppi - La felicità

Il truppismo è il linguaggio di programmazione su cui gira il truppiverso. Per fortuna è open source. I cool non commettano l’errore di considerare scontata o troppo autoreferenziale la spontaneità jazzistica con cui Truppi mette in musica la sua mente, come quando canta: “Per andare avanti a volte devo tornare indietro: come le cose che si chiamano Pietro”. I flussi della coscienza altrui, del resto, anche i più apparentemente vaneggianti o ordinari, possono essere utili anche a noi, fosse solo nella misura in cui aprono una piccola crepa nella diga delle nostre incoscienze. «Volevo trovare pace nel mio rapporto con il caos, accettandolo e offrendone una visione», ci ha spiegato Truppi.

D’altro canto è l’onestà intellettuale è la vera Cenerentola del panorama musicale italiano. Quando è presente è dovuta perlopiù a fenomeni paradossalmente antitetici a Truppi, come lo Young Signorino delle origini, che fu così inappuntabile nella sua espressione del sé che preferì comunicarla senza verbalizzare alcunché, nella sua – ormai dimenticata – Mmh ha ha ha.

In una realtà così disordinata come la nostra l’unico modo di continuare a non capirci niente con un briciolo di dignità artistica è la scelta di fare ulteriore disordine, ma in modo creativo e curato: «Volevo che questo disco fosse frammentario. Lo immaginavo come un mare di parole all’interno del quale avrebbero galleggiato le canzoni».

A volte il truppismo arriva a tingersi di cringe, come quando il nostro ha erezioni al telefono e sente il diritto-dovere di scriverlo in Moondrone (traccia 5); canzone che, peraltro, verte su temi alti, da Rumore bianco di De Lillo: “Vorrei morire prima io di te”. Per fortuna in questo album non c’è una congettura o un giudizio che suonino un po’ pretenziosi o, per altri versi, naïf, che non siano subito dolcemente compensati dalla musica, che li sorregge come fa un vero amico nel momento del bisogno. La musica universalizza i testi personalissimi di Truppi; e i testi rendono la sua musica intima e significativa.

I mini live di anteprima del disco, come quello allo Spazio Rossellini cui abbiamo partecipato a Roma, sono stati scuole di ballo di gruppo per pensieri, in cui i passi da apprendere erano associazioni di idee (che raggiungono il livello del boss finale in Le persone e le cose, traccia 9) e metafore freestyle. Il migliore insegnamento di Truppi è, infatti: impara a riconoscere e a vincere il senso del ridicolo che c’è nell’espressione dei pensieri davvero sinceri. Se non riesci ancora a essere te stesso, almeno comincia dal pensare come te stesso.

Cari cool, mentre tutto il resto della nostra scena musicale, indie o industriale che sia, non fa altro che cercare di venderci, in microconfezioni o multipack, finemente decorate come latte di sardine portoghesi o banali e chiassose come cartoni di cereali americani, tonnellate su tonnellate di pesce in scatola, sfamandoci per qualche secondo con pose, scostumatezze, duplicità; Truppi è uno dei pochi che continua a tenderci la proverbiale lenza di Confucio, mirando a svezzare le nostre menti per tutta la vita, ovvero per il lasso di tempo determinato che però sembra infinito, se paragonato alla durata di una canzone.

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