Per fortuna escono ancora dischi belli. Sono forse sempre meno, o almeno così ci sembra con il passare del tempo, ora che le nostre orecchie sono sempre più appesantite dalla saturazione delle uscite. Ma state tranquilli, quei dischi ci sono, sempre. A dicembre, in tempi di classifiche, è però lecito chiedersi: un disco molto bello può essere l’album dell’anno?
Diciamocelo chiaramente: no. La bellezza di un disco, la sua riuscita, le sue caratteristiche non bastano. L’album dell’anno deve ambire a superare l’opera stessa per incidere sul presente. Deve aprire una conversazione, un dibattito. Dentro e fuori il music business.
Se ci sono molti dischi belli sul mercato, sono pochi quelli che ci fanno venire voglia di parlare, discutere e, perché no, anche bonariamente litigare. E nessuno, nel 2025, ci è riuscito quanto Lux di Rosalía. Dall’uscita dell’imprevedibile primo singolo Berghain – che nominando il celebre locale berlinese ci ha mandato fuori strada rispetto al tripudio orchestrale su cui ruota – Rosalía è diventata la figura dominante della cultura pop di questi mesi. Dopo lo splendido Motomami (il nostro disco dell’anno 2022), chi si sarebbe mai aspettato un tale cambio di registro?
L’ambizione è sempre stata la forza di Rosalía; l’idea di poter trasformare il vecchio in nuovo, gli oggetti del passato in meraviglie del futuro. Così era successo con il flamenco dei primi dischi (Los Angeles e El mal querer), così è accaduto nuovamente con Lux, un tuffo nella musica classica ascoltata ai tempi del conservatorio che qui funge da escamotage sonoro per congiungere la terra con l’ultraterreno. Lux, come da titolo, artwork e capigliatura (la popstar sta girando con un’aureola bionda sui capelli mori) è infatti un dialogo personale dell’artista con Dio. Se già in passato Rosalía aveva apertamente lasciato fluire la propria spiritualità, qui la rende oggetto di discussione dell’opera. Lux è un disco che trascende il terreno e che, proprio con l’aiuto della composizione classica, cerca di creare un ponte con l’infinitezza. Un’ambizione che potrebbe sembrare quasi impossibile in un disco che, di base, parla la lingua del pop.
Eppure Rosalía tenta il salto e nelle 15 tracce del suo album s’innalza, trovandosi a tu per tu con la luce. E la concorrenza, di fronte a quest’opera, scompare. Mio Cristo Piange Diamanti, una delicata dichiarazione d’amore verso una persona amica, si rifà alle arie dell’opera italiana, facendo sbiancare chiunque negli ultimi decenni abbia tentato di scrivere una canzone – in italiano – capace di rendere omaggio alla storia musicale del nostro Paese. Il brano diventa così, quasi per paradosso, la più bella canzone italiana scritta nel 2025. E a scriverla è una popstar spagnola che, per il suo ruolo, nemmeno dovrebbe conoscere le regole e le strutture di quel gioco. Eppure ci riesce, con lo studio, l’attenzione, la cura. E, ancora, non ci si stanca di dirlo: l’ambizione.
In questi mesi abbiamo sottolineato l’importanza storica di un disco come Lux. Non solo per la sua scrittura illuminata, per i grandiosi arrangiamenti orchestrali (gli archi di Reliquia, il coro di Magnolias) o l’arrembante dinamica vocale di Rosalía, ma per l’idea, il pensiero, il concetto. I grandi dischi, infatti, nascono prima di tutto da grandi idee. Perché solo le grandi idee possono dialogare con l’infinitezza.
In un momento storico in cui concedersi totalmente alle proprie ambizioni è un rischio spesso rifiutato in nome dei follower, dell’algoritmo, delle views, Rosalía mette tutto in gioco e riscrive da capo la propria storia. E quello che arriva a noi ascoltatori, se abbiamo la voglia di entrarci dentro, è un album enorme, intrigante, dove le soluzioni armoniche e sonore, così come quelle fonetiche (le ormai celebri 13 lingue utilizzate in Lux e ribattute da ogni rivista di settore), ci conducono in imperiose cattedrali nel cielo.
Lux è un monumento alla musica pop. Il disco dell’anno. E forse, non solo questo.












