Perché Drake pubblica tanti dischi? | Rolling Stone Italia
For All the Dogs

Perché Drake pubblica tanti dischi?

È “solo” prolifico? Persino una star come lui deve adattarsi al sistema dello streaming che impone di continuare a pubblicare musica per rimanere rilevanti? O è l’ultima fiammata di creatività prima di fare come Jay-Z?

Perché Drake pubblica tanti dischi?

Drake

Foto: Prince Williams/WireImage

«Lo so che è estate, ma devo proprio dirvi una cosa». Alla prima tappa del suo It’s All a Blur Tour con 21 Savage, a Chicago, Drake ha fatto un annuncio. «Non so cos’hanno in testa questi tizi che spariscono per tre, quattro, cinque anni per rilassarsi o stronzate del genere». Non è roba che fa per lui, ha aggiunto prima di pubblicizzare il nuovo album For All the Dogs, annunciato per la prima volta con un codice QR inserito nelle pubblicità del suo libro di poesie (libro che peraltro ha suscitato parecchie discussioni).

L’internet ha interpretato queste parole come una stoccata a Kendrick Lamar. In realtà offrono la possibilità di capire la mentalità di Drake. È una megastar che non rilascia interviste (a meno che non siano preparate nei minimi particolari come quelle finte per Vogue e con Howard Stern con 21 Savage) e di conseguenza i fan non hanno ricevuto alcuna spiegazione circa l’ondata di uscite firmate Drake. A settembre 2021 c’è stato il suo sesto album solista Certified Lover Boy e a giugno 2022 l’incursione nell’elettronica di Honestly, Nevermind. Cinque mesi dopo ha fatto triplete con Her Loss con 21 Savage. Ora sta per arrivare For All the Dogs, ma si vocifera anche di un What a Time to Be Alive 2 con Future. In buona sostanza: lo status di Drake gli permetterebbe di ritrarsi anche oggi, eppure si sbatte manco fosse un emergente.

Forse conta il fatto che Drake è cresciuto alla scuola della Young Money. Il suo amicone Lil Wayne è spesso in studio e se non è lì ci sta andando oppure ci è appena stato. La sua etica del lavoro ha contagiato Drake che in Free Smoke raccontava del suo apprendistato in cui “avevo priorità diverse e Weezy aveva tutta l’autorità”. Uno dei precetti di Weezy in quegli anni formativi consisteva nel lavorare sodo come aveva fatto lui per diventare una superstar, creando un flusso incessante di mixtape, feat e dischi. Come ha detto Wayne a Rolling il mese scorso, va ancora in studio tutti i santi giorni. Questa etica del lavoro è il paradigma che ha permesso a Drake di superare molti artisti della sua generazione in quanto a pubblicazioni.

La prolificità di Drake ricorda quella di un altro genio del rap e suo idolo, Jay-Z. Com’è noto, ha iniziato la carriera pubblicando un album all’anno, un ritmo serratissimo per gli standard nell’hip hop di fine anni ’90, inizio 2000. Per più di 15 anni è stato una presenza fissa nella classifica dei rapper più importanti con un flusso ininterrotto di materiale nuovo. Allo stesso modo, Drake è una costante nelle playlist nell’era dello streaming. All’inizio di quest’anno ha pubblicato su Instagram una storia celebrativa dell’ultimo traguardo tagliato: è il primo artista ad aver superato i 75 miliardi di stream.

È ragionevole pensare che le uscite a raffica di Drizzy siano un segno di tempi in cui il ritmo incalzante delle novità impone una presenza quasi costante da parte di chiunque speri di mantenere una certa rilevanza. A Drake va riconosciuto il merito di essere stato oculato nelle uscite, mettendo a tacere molte delle critiche secondo cui stava iniziando a puntare su un suono formulaico. Honestly, Nevermind rappresenta una svolta a livello di sound, verso l’elettronica e la dance, mentre Her Loss è più simile a un lavoro solista di Drake travestito da collaborazione, ma la presenza di 21 regala comunque un certo equilibrio al progetto. Con tre album pubblicati in due anni, è riuscito a mantenere una varietà tale da non annoiare i fan, almeno non ancora, e questo non è poco.

Nel corso dell’It’s All a Blur Tour vengono utilizzati ologrammi e visuals, mentre Drake parla con un amico di famiglia che recita la parte del rapper da giovane. Ricorda le conversazioni di Kanye con “Jesus” durante il Saint Pablo Tour del 2016. Più che un concerto sembra una performance artistica. Il modo in cui ogni dettaglio è studiato ci dice di un artista ancora appassionato al suo mestiere. In fondo Drake avrebbe potuto limitarsi a rappare i suoi successi su un palco minimale e incassare alla grande. E invece desidera creare un’esperienza indimenticabile (e probabilmente molto costosa). La determinazione che sta dietro al suo spettacolo (tanto da spingerlo a pagare una multa di 230 mila dollari pur di portare a termine uno show a Detroit) è la stessa che muove la sua ambizione musicale.

Eppure i fan farebbero bene a non dare Drake per scontato. A febbraio, in un raro momento di franchezza, ha detto a Lil Yachty di avere iniziato a pensare a come sarebbe ritirarsi dalle scene. Non che veda la cosa come imminente, però ha detto che «sto provando a definire mentalmente l’idea di un’uscita di scena piena di grazia». E ancora: «Non sono pronto, ma vorrei continuare a realizzare progetti interessanti e, si spera, apprezzati dalla gente per poi trovare il momento giusto per dire: ora vediamo un po’ che cosa fanno le nuove generazioni».

Drake ama gli sport e sa bene che cosa significa lasciare quando si è al top. Forse questa continua produzione è la sua ultima fiammata creativa prima di fare come Jay-Z, Diddy e Ye che non danno più la priorità alla musica e si dedicano ad attività da investitori multimilionari. Solo il tempo ci dirà cosa accadrà, ma intanto sta per arrivare For All the Dogs.

Da Rolling Stone US.

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