Bad Bunny ha annunciato alla portoricana che sarà il protagonista dell’halftime show del Super Bowl: seduto in cima a un palo della porta di un campo da football al tramonto, su una spiaggia di Porto Rico, con in testa un cappello pava, le chanclas e un abito ispirato a quelli di Héctor Lavoe. È successo una settimana dopo aver chiuso la storica residency di 31 date all’El Coliseo de Puerto Rico con una diretta streaming da record, la performance d’un singolo artista più vista nella storia di Amazon Music. Si appresta ora a tagliare un altro traguardo culturale d’enorme portata essendo il primo artista a esibirsi nell’intervallo del Super Bowl con canzoni solo in lingua spagnola, un momento significativo che ha implicazioni politiche profondamente divise.
Nessun altro genere sta crescendo negli Stati Uniti quanto la musica latina, con ricavi pari a 1,4 miliardi di dollari. E Bad Bunny è la star assoluta di questa musica. Allo stesso tempo, latinos e lingua spagnola sono diventati bersagli dell’amministrazione Trump, coi migranti che vengono rapiti agli angoli delle strade e fatti sparire. Lo stesso Bad Bunny ha spiegato che ha rinunciato ad andare in tour negli Stati Uniti temendo che l’ICE si presentasse ai suoi concerti, dato che le retate nelle grandi città degli States continentali sono molto più frequenti che a Porto Rico. Perché allora, si chiede qualcuno, ha scelto di esibirsi negli Stati Uniti? Il suo status di latino ispanofono, le dichiarazioni sull’ICE e le critiche a Trump lo hanno reso un bersaglio dei conservatori. Il commentatore politico di destra Benny Johnson lo ha definito un «gigantesco hater di Trump e un attivista anti-ICE» con «zero canzoni in inglese». Altri commentatori online hanno suggerito che dovrebbe essere detenuto o deportato prima dell’esibizione.
Sono reazioni che rimandano a secoli di percezione dei latinos come eterni stranieri, ma riflettono anche il fatto che la maggior parte degli americani ancora non sa che Porto Rico, dove Bad Bunny è nato, cresciuto e dove tuttora vive, è un territorio non incorporato degli Stati Uniti e che i portoricani sono cittadini americani. La sua residency ha avuto luogoo quindi negli Stati Uniti, ma ha costretto gli abitanti dei 50 Stati ad andare a vederlo lì, ricalibrando il concetto di mainland americana e facendo di Porto Rico la mainland per 31 concerti.
Il suo halftime show è quindi l’occasione per decentrare il mainstream che è tradizionalmente bianco e anglofono e per confrontarsi col fatto che la musica latina – cantata in spagnolo – è oramai essa stessa parte del mainstream. Non c’è dubbio che Bad Bunny lo sia: è stato l’artista più ascoltato su Spotify per tre anni consecutivi, dal 2020 al 2022, ha l’album più ascoltato nella storia della piattaforma (Un verano sin ti), quest’anno nessun altro è riuscito ad avere tanti brani tratti da un disco, il suo ultimo Debí tirar más fotos, al numero uno della Billboard Hot 100, su Apple Music e Spotify. L’album è stato celebrato come il suo più portoricano e allo stesso tempo il più politico, senza che questo ne abbia intaccato il consenso.
La popolarità di Bad Bunny non ne ha indebolito il messaggio, semmai lo ha rafforzato. È lecito perciò chiedersi se al Super Bowl sarà in grado di fare passare i suoi messaggi politici che vanno da appelli all’indipendenza di Porto Rico, ai diritti trans e alla fine dell’imperialismo statunitense. Gli sarà dato modo di farlo in uno spazio così rigidamente controllato, che storicamente ha messo a tacere le proteste? Di sicuro la performance di Kendrick Lamar al Super Bowl ha avuto forti connotazioni politiche, basti pensare alla scenografia ispirata al cortile di un carcere, alla formazione di una bandiera americana vivente che si è divisa a metà, all’apparizione di Samuel L. Jackson nei panni dello Zio Sam. Nel 2020, quando Bad Bunny ha preso parte all’halftime show di Jennifer Lopez e Shakira, le due popstar hanno tenuto duro e sono riuscite a includere un messaggio politico mostrando bambini in gabbia, rappresentazione della politica migratoria disumana della prima presidenza Trump.
Dato il sentimento anti-latino che dilaga nel Paese, dare a Bad Bunny lo spazio per mettere in risalto la sua cultura e le sue idee politiche è una scelta audace da parte di Apple Music, Roc Nation e NFL. Ma è anche una scelta logica. Le performance al Super Bowl sono una questione di soldi e di ascolti. Bad Bunny ha dimostrato di essere uno che fa incassi e sicuramente attirerà spettatori, anche se non tutti bianchi e anglofoni. Non a caso aziende come Adidas, Pepsi e Ritz hanno scelto di collaborare con lui. Sono brand mainstream, proprio come Bad Bunny.
La destra reagisce furiosamente all’annuncio di Bad Bunny, i suoi fan gioiscono, tutti hanno un’opinione su quello che sarà sicuramente uno degli show più significativi dal punto di vista culturale nella storia del Super Bowl. Mi viene in mente una cosa che Bad Bunny ha detto al Coachella: «Nunca antes hubo alguien como yo», non c’è mai stato nessuno come me. E forse davvero non c’è mai stato nessuno come Bad Bunny. E però, visto come sta abbattendo ostacoli culturali, in futuro di artisti come lui ce ne saranno altri.
Da Rolling Stone US. Vanessa Díaz è Associate Professor Chicana/o and Latina/o Studies alla Loyola Marymount University e co-autrice del libro di prossima uscita P FKN R: How Bad Bunny Became the Global Voice of Puerto Rican Resistance.












