Ops, è sparito il middle-eight | Rolling Stone Italia
Musica nell’era dello streaming

Ops, è sparito il middle-eight

Bridge, special, middle-eight. Un ginepraio di (falsi) sinonimi per indicare un elemento della canzone dato ormai per disperso. È una storia che ha a che fare con l’evoluzione (o l’involuzione) della pop song

Ops, è sparito il middle-eight

Olivia Rodrigo

Foto: Jeff Kravitz/Getty Images for MTV

In una lunga intervista concessa un paio di anni fa a Rick Beato, Sting dice la sua sul songwriting contemporaneo, ravvisando un’ipersemplificazione della struttura con la scomparsa del catartico bridge: «Nella canzone esponi una situazione, “la mia ragazza mi ha lasciato, mi sento solo”… ritornello, ripeti e poi vai al bridge. Lì arriva un accordo diverso: inizi a pensare che forse non è l’unica ragazza per te, forse dovresti cercare altrove, e questo porta a un cambio di tonalità… il bridge è terapia». Per l’ex Police la musica di oggi invece è troppo circolare, «una trappola che gira e rigira, si adatta bene alla canzone successiva, ma non ti dà la liberazione, la consapevolezza di una via d’uscita dalla nostra crisi».

Ragionamento finissimo, in punta di retorica, ma cosa intende Sting con bridge? Nella cangiante tassonomia della popular music si tratta di un termine usato troppo spesso come sinonimo di special e middle-eight; a rigor di logica, però, se il bridge serve appunto a far da ponte tra verse e chorus (o tra chorus e refrain, tanto per complicarci ulteriormente la vita con il glossario), il middle-eight è invece un punto di svolta con funzione di contrasto. Non collega, semmai separa. Quelle otto battute centrali (che poi di solito non sono né otto, né tanto meno sono centrali), preferibilmente piazzate dopo il secondo chorus, stanno lì per dare alla canzone un ultimo sviluppo prima del finale, un accumulo di tensione — ottenuto con cambi di melodia, armonia, testo, arrangiamento — che si risolve riproponendo l’hook, il “gancio” indispensabile per ogni hit degna di tal nome.

Esempi? il pop dell’ultimo secolo — o forse dovremmo dire del secolo scorso? — ne è pieno. Riascoltiamo ad esempio (Sittin’ On) The Dock of The Bay e quel tema che non è né strofa né refrain a 1’26”, benché Otis vi canti “Look like nothing’s gonna change / Everything still remains the same”. Di cambiamenti è sommo intenditore anche David Bowie, che correda la sua Changes (2’28”) con un middle-eight semplice — passaggio da manuale sulla sottodominante — e brevissimo, quattro battute per tornare sul refrain con piglio rinnovato. Ben più lungo e contrastante quello di Born to Run, un’isola all’interno della canzone (da 2’11” a 3’06”) da cui si può tornare sulla “highway jammed with broken heroes”, manco a dirlo, solo attraversando un bridge agli ordini del Boss: “One, two, three, four!”. Il lettore più curioso può andare a cercare momenti simili in The Girl Is Mine, Everybody Hurts o nella Englishman in New York di Sting, con quell’improvviso piano sequenza musicale descritto dall’autore come «un modo per raccontare cosa accade per le strade di New York, dove da ogni vetrina esce una musica diversa».

E come non spendere l’ennesima menzione per i Beatles, che in quelle battute centrali creano il perfetto complemento per i loro chorus carichi di invenzioni melodiche, armoniche, ritmiche e canore? Nell’arte compositiva di Lennon-McCartney il middle-eight assolve in maniera quasi scientifica a quella che Franco Fabbri chiama la funzione del grigio, indicando in John il principale autore di quelle sezioni opportunamente monocordi e ripetitive, concettualmente in contrasto con le strofe: “We can work it out”, esclama l’ottimista Paul, “Life is very short…” risponde il cinico John (curiosamente, nella sua biografia Many Years From Now, Macca capovolge la situazione rivendicando la parte centrale di Norwegian Wood: «Era opera mia: John non riusciva mai a scrivere i middle-eight»). Dopo il grigio, il colore del chorus si fa ancora più acceso proprio per effetto della giustapposizione.

L’articolazione interna di una canzone, sostiene ancora Fabbri, «ha a che fare con tattiche e strategie dell’attenzione e della convinzione; le parti di una canzone si succedono con funzioni paragonabili alle parti dell’orazione teorizzate dalla retorica». Indipendentemente dagli artifici utilizzati, l’obiettivo minimo rimane lo stesso: ottenere l’attenzione dell’ascoltatore, farsi ricordare. Affascinare, insomma, ricorrendo alla più classica delle strategie: fuggire, sparire, negarsi. Come si negano le prodezze compositive dei Beatles in quelle poche ma decisive battute, come si eclissano gli andamenti reggae di Sting, le cavalcate del Boss, i registri confidenziali di Otis Redding e Michael Stipe, sospendendo il piacere tra contrasto, memoria e ricomparsa degli hook orecchiabili. È la strategia del commesso viaggiatore, che dopo aver mostrato la confezione di spazzole le mette via perché il cliente chieda di rivederle un’ultima volta. Il middle-eight è la mano che chiude la valigia.

Ora, dicono, questa raffinata arte della seduzione musicale sarebbe sul punto di sparire. Sul Guardian del 9 dicembre 2022 Hannah J. Davies aveva già lanciato l’allarme intitolando “Is TikTok killing off the pop music bridge?” e chiedendosi, in definitiva, se la causa fosse da imputare ai nostri galoppanti deficit di attenzione o ad una naturale evoluzione della forma canzone. Sophia Ikirmawi, editrice musicale, le aveva risposto indicando come fattore determinante non tanto TikTok quanto lo streaming tout court. Una modalità di fruizione che in effetti suggerisce un ragionamento semplicissimo: se hai un album di canzoni corte e semplici l’utente può ascoltarlo per intero più velocemente, il numero di riproduzioni sale, e con esso gli incassi. È vero che piattaforme come TikTok (ma anche Instagram), basandosi su ripetizioni di brevi frammenti, potrebbero invogliare alla ripetitività, ma d’altra parte lo stesso principio del loop è alla base del processo di produzione a monte, se si pensa alle modalità d’impiego di Ableton, DAW e compagnia campionante. Ma il rischio di determinismo tecnologico, con simili premesse, è davvero dietro l’angolo.

La vera domanda, però, si pone anch’essa a monte: è proprio vero che bridge e middle-eight si stanno estinguendo? Proviamo a rispondere con un semplice esercizio: ascoltiamo due Top 50 annuali in sequenza, prendendo come estremi cronologici il 1998 e il 2023 e stando ben attenti a resistere all’effetto nostalgia, così da concentrarci sulla struttura e tentare una rapida analisi in tempo reale. In effetti, dei 50 brani più gettonati nel 1998 secondo Billboard, ben 18 — un buon terzo del totale — presentano sezioni chiaramente identificabili come middle-eight. Anzi, la loro forma complessiva ci risulta così familiare e standardizzata da suggerire con discreto anticipo al nostro inconscio musicale l’arrivo di quella sezione. Come a dire: si sente che a questo punto deve succedere qualcos’altro.

Al contrario, la Top 50 globale compilata da Spotify a fine settembre 2023 presenta soltanto due canzoni con un inequivocabile middle-eight da manuale: Vampire di Olivia Rodrigo e Blank Space di Taylor Swift. L’acclamata regina del pop, peraltro, compare in classifica con altri due singoli — Cruel Summer e Anti-Hero — nel corso dei quali si arriva comunque a una sorta di zona grigia, un punto di contrasto non meglio identificato. Sarà pure una statistica elementare, tagliata con l’accetta, ma è un punto di vista che ci dice molto sulle norme musicali attuali, collocando tra l’altro le due summenzionate popstar in un contesto a parte, che a dispetto delle apparenze si rivela quello più legato al vecchio codice della canzone.

Ma c’è dell’altro. Innanzitutto, partendo proprio dagli pseudo-middle-eight di Cruel Summer e Anti-Hero, è lecito concludere che se la forma canzone si è davvero ipersemplificata, a maggior ragione è inderogabile aggiornare i termini tradizionali di middle-eight, bridge, verse, chorus, in base al mutato codice genetico della pop song. Ma soprattutto ne consegue che a livello funzionale, comunque li si voglia etichettare, certi passaggi continuano a farsi carico del contrasto, di un grigio ottenuto non più partendo dalla palette melodico-armonica, ma piuttosto variando i parametri del timbro, della dinamica e soprattutto della texture, in un regime di generi e attese anch’esso trasformato.

Che si giochi su una distanza di tre minuti o di dieci secondi, la sfida è sempre quella: sedurre, farsi ricordare e desiderare. Anche se a volte ci si dimentica le spazzole in valigia.