Oasis, la reunion raccontata dal tastierista: «Li guardi e pensi: sono come me» | Rolling Stone Italia
Un’esperienza inclusiva

Oasis, la reunion raccontata dal tastierista: «Li guardi e pensi: sono come me»

Christian Madden ha fatto parte della live band del 2025 e ora ne scrive in una sorta di saggio sul fenomeno. Se vi interessa saperlo, sì, i Gallagher «dopo essersi perdonati» sono andati d’accordo. E a differenza dei Blur...

Oasis, la reunion raccontata dal tastierista: «Li guardi e pensi: sono come me»

Gli Oasis a Wembley, settembre 2025

Foto: Harriet K. Bols

«Il tour più grande al mondo nel 2025 si è appena chiuso e io nel mio piccolo ne ho fatto parte». Inizia così il racconto della reunion degli Oasis firmato da Christian Madden, tastierista aggiunto alla live band. «Chiaramente le mie parole si perderanno in un mare di iperboli. Se volete farvi un’idea di cos’è stato il tour, andate su YouTube o Instagram. Magari persino su TikTok (anche se non ci sono mai stato e sotto sotto sono convinto che sia stato progettato dal Partito Comunista Cinese per accelerare la stupidità di noialtri occidentali). Lì troverete infiniti reel e video di gente entusiasta, fuochi d’artificio che dipingono di colori sgargianti il cielo sopra gli stadi stracolmi, Liam che abbraccia Noel, Liam che tiene in equilibrio i tamburelli sulla testa, gente che fa il Poznań. Sembra speciale. Lo è stato davvero».

Madden, classe 1976, è tra i fondatori degli Earlies, nonché session man molto richiesto che suona con Liam Gallagher dai tempi del debutto solista As You Were. Nel suo scritto, che ha pubblicato su Substack col titolo “To Be Included”, offre «l’umile prospettiva della persona meno famosa della band più famosa in tour quest’anno, un signor nessuno al centro di un uragano mediatico. Ho camminato indisturbato tra le persone a Heaton Park e mi sono unito alla massa di gente che marciava lungo Wembley Way, in uniforme. Mi ha ricordato di quand’ero vestito dalla testa ai piedi di granata e azzurro (i colori del Burnley, ndr) con una bandiera in mano, diretto alla finale dello Sherpa Van Trophy del 1988. Ho incontrato tantissime persone nell’area friends & family. Mi chiedevano se mi era piaciuto il concerto e se li avevo già visti o se era la mia prima volta. A volte sono stato al gioco, a volte ho risposto: “Faccio parte della cazzo di band!”. A quel punto mi chiedevano un selfie che immagino riguarderanno fra qualche anno chiedendosi: ma chi era quel tizio?».

Com’è stato essere parte del più grande evento concertistico del 2025? Da una parte Madden dice che è stato come qualsiasi altro tour, la routine prima del concerto e poi sul palco dove «se qualcuno sbaglia, lo guardi per vedere se è ok, se si è ripreso. Magari gli sorridi per fargli capire che non è importante. A volte invece sbagli tu e ti guardi attorno per vedere se qualcuno se n’è accorto. Sei tutt’uno con la band, un universo autosufficiente in cui nient’altro conta o sembra reale. E invece è reale e questa è la parte che l’ha reso diverso dalle altre tournée. Alzavi lo sguardo e vedevi una distesa infinita di persone. A volte si muovevano come nelle curve calcistiche degli anni ’80, prima che andasse tutto storto. A volte alzavi lo sguardo e vedevi un mare di luci di telefoni ondeggiare nel buio, uno spettacolo di una bellezza inquietante. A volte mi toglievo gli in-ear e ascoltavo la meravigliosa cacofonia di 80 mila persone che cantano all’unisono. Il pubblico ha reso tutto diverso».

F*ckin' in the Bushes + Hello - Oasis live in Buenos Aires - 2025

Oltre a raccontare che per uno come lui «reduce da un tour passato a dormire su un bus e a mangiare panini» stare con gli Oasis è stata un’esperienza decisamente diversa e indimenticabile, Madden si vede già come il personaggio di Jude Law in I Heart Huckabees – Le strane cincidenze della vita che non la smette di parlare di Shania Twain. «Finirò per odiare il suono della mia voce che ripete sempre gli stessi aneddoti. Magari comincerò ad abbellire le storie, come fanno tutti prima o poi. Mi faranno anche domande e ad alcune risponderò. Andavano davvero d’accordo? Sì, andavano d’accordo. Niente di eclatante, solo persone affettuose in modo genuino che dopo essersi perdonate hanno iniziato a guardare avanti, con cautela. Quello che avete visto era reale. Qual è stato il concerto migliore, dov’è stato il pubblico migliore? Sono stati tutti fantastici, tutti incredibili eccetera. Tutti i concerti in Sud America sono stati pazzeschi, ma direi Buenos Aires, il secondo show. La gente è dovuta passare attraverso controlli di sicurezza durati un’ora e quand’è arrivato il momento… è esplosa».

La domanda che tutti si fanno: «Ci saranno altri concerti nel 2026 o più in là? Me lo chiederanno spesso. Davvero pensate che lo sappia? In fin dei conti sono solo una formica operaia».

Madden non riesce a credere a quant’è stata positiva la reazione della stampa dopo il primo concerto a Cardiff a luglio. «Da quel momento nessuno ha più osato agitare le acque. Prima, però, stavano affilando i coltelli. Oggi ho scrollato i vecchi articoli del Guardian sul dynamic pricing, i problemi di Ticketmaster, i fan spennati sui siti di rivendita, eccetera. Ho scrollato fino ad arrivare al pezzo in cui Simon Price definisce gli Oasis “la forza pop-culturale più dannosa della recente storia britannica”» e li mette a confronto con altri gruppi che in qualche modo hanno rappresentato la classe lavoratrice come Pulp e Manic Street Preachers. «Ma è proprio confrontando gli Oasis ci loro pari che se ne comprende il fascino», spiega Madden. «I Pulp erano palesemente colti, spiritosi, cool. I testi di Jarvis erano spesso autobiografici e la loro era una versione decisamente raffinata della musica degli outsider. I Manic Street Preachers sembravano studenti di sociologia che volevano che il mondo sapesse quel che avevano imparato sulle ingiustizie del mondo. Damon Albarn e i Blur volevano in modo ancora più evidente farvi vedere quant’erano intelligenti, quanti libri avevano letto, quant’era vasta la loro conoscenza, quant’erano interdisciplinari. Ed è tutto vero: Albarn è intelligente e lo ammiro tantissimo. Lo invidio anche un po’».

Foto: Big Brother Recordings

«Se Simon Price sta freneticamente togliendo il follow a chiunque abbia postato scene di gioia dal Live ’25 e si sta grattando la testa chiedendosi come diavolo è possibile che questa banda di “buzzurri da centro commerciale” abbia conquistato il mondo con il loro “andamento greve, senza funk e senza sex appeal”, sarò lieto di illuminarlo. È un’esperienza inclusiva. Esatto, Madden ha appena detto che gli Oasis sono inclusivi. Prendono allegramente in prestito dalle fonti più ovvie, quelle che tutti conoscono e amano. Usano progressioni di accordi che i bambini imparano quando cominciano a studiare la chitarra. Trentacinque anni fa imparavano a suonare House of the Rising Sun o Bad, Bad Leroy Brown, oggi Wonderwall o Live Forever. I testi che lui liquida come “piatte banalità” sono sufficientemente vaghi e aperti a interpretazioni da permettere alla gente di ogni continente di investirli di significati personali. Le melodie sono in un registro che chiunque, uomo o donna, giovane o vecchio, può cantare. Sono semplici e memorabili, e ti restano attaccate anche se non compri dischi. La musica è inclusiva e poi c’è la band. Chi vuole criticarla noterà che sul palco ci sono solo uomini bianchi ed è un’obiezione legittima. Ma la cosa che ho sempre trovato affascinante è proprio il loro essere un gruppo di uomini dall’aspetto ordinario, vestiti come gente che esce nel weekend, con capacità musicali medie e non virtuosistiche, che suonavano canzoni. Niente sembrava imperscrutabile o irraggiungibile».

«La gente guardava gli Oasis e pensava: “Non sono meglio di me, potrei farlo anch’io”. Tanta gente si è messa in una band dopo averli visti all’epoca. A dirla tutta, molti non avrebbero dovuto farlo, ma è proprio questo che li rende inclusivi e accoglienti: fanno sembrare tutto più facile e raggiungibile di quanto sia nella realtà, non ostentano nulla, l’abilità c’è ma è nascosta. Guardi gli Oasis e pensi: “Sono come me, potrei essere in quella band”. E per sei mesi quest’anno, io ci sono stato».