Alla mia domanda Elisa si gira verso Ferdinando Salzano, che organizza il concerto. «Io una cifra l’ho immaginata», dice lei. «Credo fra il 30 e il 35% in più», dice lui. «Anch’io pensavo a qualcosa del genere». I due stanno dicendo che le scelte fatte per ridurre l’impatto ambientale del concerto del 18 giugno a San Siro hanno causato un incremento dei costi del 30-35%. Oggi la consapevolezza ecologica la paghi a prezzo di mercato, senza contare l’impegno supplementare che ci vuole rispetto a un normale concerto e le ore di lavoro necessarie per portare a termine l’impresa in un Paese dove certe buone pratiche sono tutte da implementare, se non da inventare. «Ma il punto più importante è un altro e cioè che se tutti gli artisti usassero le medesime attenzioni, i prezzi calerebbero e quel 30% in più si azzererebbe».
È il messaggio che sta a cuore a Elisa, è l’invito che rivolge ai colleghi: fatelo anche voi. Un invito fatto senza alcun senso di superiorità e senza cercare di mettere qualcuno spalle al muro, ma con un certo senso d’urgenza e il giusto ottimismo. «Sono certa che questa cosa smuoverà le acque, è la dimostrazione che si può fare, incoraggerà altri artisti a farlo». La parola chiave è concretezza. Non esistono concerti sostenibili al 100%, ma qualcosa si può, anzi si deve fare sfidando chi ti accusa di greenwashing, chi è convinto che siano tutte stupidaggini, chi dice che è una goccia nel mare e tanto vale non fare niente.
Qualcuno deve pur incominciare. All’estero ci sono i Coldplay che hanno trasformato l’ecologismo in spettacolo e i Massive Attack che per molti rappresentano lo standard della sostenibilità concertistica, quelli che hanno preso più seriamente l’impegno di ridurre le emissioni (e che per una coincidenza suoneranno alle porte di Milano proprio il 18 giugno). Da noi c’è Elisa, prima artista italiana a farsi portatrice per le Nazioni Unite della promozione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Vanno da «ridurre l’impatto ambientale negativo pro capite delle città» a «fare in modo che le persone abbiano in tutto il mondo le informazioni rilevanti e la consapevolezza in tema di sviluppo sostenibile e stili di vita in armonia con la natura». Elisa la mette così: «Dobbiamo favorire il cambiamento di paradigma dall’antropocentrismo all’ecocentrismo».
«Per prima cosa», spiega in un incontro coi giornalisti in vista del concerto sold out del 18 giugno, «abbiamo scelto di alimentare il palco non col diesel, ma con biocombustibile composto da materie di scarto e biomassa agricola. Già questo permette di ridurre del 70% le emissioni. È il primo show alimentato da biofuel fatto a San Siro. Pensate solo se lo facessimo tutti e non per un singolo concerto, ma in tour». C’è poi il tema non secondario della mobilità: solo per il concerto di Elisa 50 mila persone si muoveranno producendo un certo impatto. Un vecchio studio commissionato dai Radiohead aveva mostrato che l’80% delle emissioni di un loro tour era dovuta ai trasporti. Immaginate cos’hanno provocato su questo fronte i concerti a San Siro di star mondiali come Taylor Swift, con gente venuta a Milano da ogni parte del mondo. «Abbiamo chiesto e ottenuto dal Comune di Milano un aumento dei mezzi pubblici», dice Elisa a proposito della mobilità cittadina nel giorno del concerto. Tutto è utile. «Grazie a VestiSolidale ci sarà una raccolta di indumenti usati fuori dallo stadio. Abbiamo migliorato la raccolta differenziata, anche se non è facile cambiare le abitudini di chi ha in appalto il food & beverage dello stadio».
Molte delle azioni intraprese in vista del concerto sono il frutto della sinergia tra soggetti pubblici e privati, che parrebbe secondo artista e organizzatore il modo più efficace per fare le cose. «La misura dei dati inerenti alle emissioni, un fatto importante per migliorare i protocolli, sarà affidata a soggetti indipendenti» come Tetis e JustonEarth. Sarà insomma l’occasione per mostrare cosa di può fare, raccogliere informazioni, sensibilizzare.
Siccome azzerare le emissioni è impossibile, Elisa ha lanciato con la sua Fondazione Lotus il progetto del parco sonoro Plantasia il cui nome è ispirato al concept ambientalista anni ’70 Mother Earth’s Plantasia di Mort Garson. Sarà finanziato da fondi pubblici e da un crowdfunding e sorgerà su un’ex cava contaminata in via Quarenghi a Milano, a pochissimi chilometri dallo stadio. «L’area sarà bonificata attraverso tecniche di fitobonifica», dice entusiasta Elisa, «ovvero con l’uso di specie vegetali che assorbono le sostanze tossiche». Con l’entusiasmo di una ragazzina dice che la fitobonifica «è una figata». Dopo la bonifica nell’area verranno installati altoparlanti che diffonderanno musica classica, «che ha un effetto benefico sulle piante».

Foto press
«La mia speranza è ispirare un cambiamento nell’atteggiamento». Elisa potrebbe averlo detto a proposito di San Siro e invece è una sua citazione di tre anni fa, quando ha presentato i concerti estivi di Back to the Future. Il cambiamento non è arrivato, ma lei non demorde. Il progetto di San Siro è figlio anche di quel tour fatto seguendo un protocollo per i live, il primo in Italia, che prevedeva tra le altre cose la riduzione dei mezzi in viaggio per le strade, la selezione di venue quanto più sostenibili, l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, la messa a dimora di 2300 alberi. Non è andato tutto bene. È stato ad esempio lanciato un progetto di formazione sul tema della sostenibilità diretto ai promoter locali che sono una parte importante della filiera della musica dal vivo nell’ottica del contenimento delle emissioni e dell’implementazione di buone pratiche. Ha risposto solo il 50% di essi. «È stato un tour faticoso ed esplorativo», ricorda Elisa, «ci ha fatto capire qual è la situazione in Italia della sostenibilità nella musica».
Ora vuole fare di più. «Mi muove il senso civico. Farlo non è un obbligo per nessuno, ma un impegno morale sì, specie in questo momento di negazionismo spettacolarizzato da parte di capi di stato irresponsabili e questo mentre gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più evidenti. Non aspettiamo oltre, abbiamo bisogno di azioni concrete, di prenderci degli impegni, di assumerci responsabilità nei confronti delle nuove generazioni. Mi piacerebbe fosse una cosa normale». Non teme di essere accusata di fare greenwashing. «Sono serena e circondata da professionisti competenti, è stato fatto un lavoro serio». Sa però che il tema incute timore ai colleghi. Chi fa qualcosa è spesso deriso da destra e criticato da sinistra. Meglio non fare nulla e se serve nascondersi dietro al più classico degli alibi italiani: non è colpa mia, ma del sistema. Quando fai un concerto allo stadio la prima preoccupazione è riempirlo, non farti venire un gran mal di testa studiando modi per ridurre le emissioni. «Gli artisti hanno paura di fare qualcosa e risultare incoerenti, hanno paura di sbagliare, di esporsi mediaticamente».
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Elisa non vuole rivelare troppo del concerto, se non che durerà almeno due ore e tre quarti, forse tre. Sono 28 anni che fa dischi e non ce la fa a escludere certe canzoni dalla scaletta. «A livello estetico sarà tutto fondato sui concetti di interconnessione ed ecocentrismo. Ci sarà un momento in cui cercherò di rendere meno astratta la parola sostenibilità. Dirò che siamo acqua, siamo aria, siamo vento, noi siamo uno. Voglio far capire che questa cosa ci riguarda tutti». Sapendo che il suono a San Siro è sporco e impastato, non vuole caricarlo troppo e perciò ha ridotto al minimo la formazione. Ci saranno Andrea Rigonat alla chitarra, Matteo Bassi al basso, Giovanni Cilio alla batteria, Will Medini alle tastiere, oltre alle sue quattro vocalist perché le piace pensare alla musica come a una cosa corale, in tutti i sensi. L’unico ospite per ora confermato è Cesare Cremonini, che ospiterà a sua volta Elisa allo stadio.
Il repertorio sarà una sorta di best of perché al di là dell’impegno ambientalista è il primo San Siro della cantante ed è pur sempre la celebrazione di una carriera. Elisa recupererà però anche canzoni che ama e che non sono particolarmente popolari. «Inizierò con un pezzo quasi degli esordi, mi commuove portarlo su un palco dove non avrei mai pensato di arrivare. Mi piace farlo per me e per i fan che hanno tanto voluto questo concerto allo stadio. Mi sono sforzata, mi cambierò persino un sacco di volte». Aggiunge ridendo e parlando di sé in terza persona: «Ammirevole sforzo della Toffoli».
E poi c’è la storia di quando Elisa ha sentito al telefono Brian Eno per parlare di una possibile collaborazione che poi non è andata in porto. «In quell’occasione mi ha detto una cosa bella: i cambiamenti sistemici sono difficilissimi da mettere in atto perché chi è al potere è imbrigliato in una rete di interessi, si muove in un campo minato. E quindi i cambiamenti sistemici avvengono paradossalmente dal basso. Li possiamo fare noi artisti che siamo persone libere». E forse è questo il cambiamento di paradigma di cui c’è bisogno tra i cantanti italiani: dall’egocentrismo all’ecocentrismo.