Rolling Stone Italia

Non era un clone di Michael Jackson: riascoltare Rockwell 40 anni dopo

‘Somebody’s Watching Me’ rappresenta il tentativo del figlio di Barry Gordy, fondatore della Motown, di uscire dall’ombra del padre. Con l’aiuto di Dio e di Jacko

Foto: Aaron Rapoport/Corbis/Getty Images

“I always feel like somebody’s watching me”. Molti ricorderanno questo ritornello. È ancora oggi una delle canzoni più suonate a Halloween (per ovvi motivi), ma quando uscì creo più di un misunderstanding. Ricordo quando venne fuori dalla radio nel 1984: avevo 8 anni e venni investito da questo incalzante ritmo synth pop con lo spoken word di un tizio piuttosto inquietante. E poi nel ritornello c’era una voce riconoscibilissima, quella di Michael Jackson. Il tizio invece era un certo Rockwell, autore e arrangiatore del brano. Paradossalmente la maggior parte di noi – chiaramente in fissa per Jackson vista la potenza tellurica con la quale all’epoca il suo Thriller stava sbancando tutto – pensava fosse il suo nuovo singolo e che il feat fosse invece di Rockwell (circolava addirittura la fake news che il ritornello fosse opera di Jackson).

In effetti il mood paranoico del pezzo non si discostava molto dalle tematiche di Thriller, idem per le sonorità che, con basso sintetico e drum machine, lo richiamavano. C’era un richiamo anche nel video, spettrale e sul filo dell’horror, e nel 2017 Somebody’s Watching Me è stata inserita in Scream, una compilation a tema Halloween di Michael Jackson, pur non essendo da lui composta. Il singolo vendette una caterva di copie, ma non abbiamo la certezza che la cosa sia avvenuta solo grazie a Michael. Anzi, a detta di Rockwell è stato grazie a Dio in persona. E, cosa molto più importante, oltre al singolo c’era un album, di cui cade oggi l’anniversario, da molti sottovalutato forse con un pizzico di superficialità.

Per capire Somebody’s Watching Me bisogna innanzitutto conoscere il suo autore. All’anagrafe Kennedy William Gordy, Rockwell è il figlio di Berry Gordy, l’inventore della Motown, l’etichetta black per eccellenza degli anni ’60/’70, fucina di artisti di successo come Stevie Wonder, Diana Ross, Lionel Richie, gli stessi Jackson 5. Gordy, anche produttore e autore di svariati numeri uno, sapeva come riconoscere un successo, ma negli anni ’80 le cose per l’etichetta non vanno così bene. Se nei ’70 la Motown aveva avuto 25 album al primo posto in classifica, negli ’80 riesce a piazzarne solo otto, segno che forse il Re Mida della black music non interpreta più a dovere i tempi.

Clamorosamente, Gordy liquida la prima versione di Somebody’s Watching Me. In soggezione e chiuso in camera a cercare di scrivere delle hit, Rockwell prende coraggio e decide di far ascoltare il suo lavoro al padre, il quale gli dice semplicemente che non vale la pena licenziarsi dal suo impiego fisso. In pratica non riconosce nel pezzo altro che un tentativo goffo di improvvisarsi star del pop. Il rampollo dell’impero Motown è devastato dal giudizio impietoso, i rapporti col padre diventano tesi, tanto che il ragazzo viene cacciato di casa e va a vivere con la ex di Gordy, Ray Singleton, una delle più toste producer e autrici della storia dell’r&b. Sarà proprio lei a capire che il giovane ha tra le mani qualcosa di potenzialmente esplosivo. Una notte lo sente lavorare all’ennesima versione di Somebody’s Watching Me, è convinta che il pezzo farà il botto e decide di presentarlo ad Anthony Nolen, produttore della Motown.

Gordy Jr non vuole però rivelare il suo vero nome e da qui nasce il nome d’arte Rockwell (un gioco di parole con “rock well”, saper rockeggiare bene). Nolen è impressionato e lo è ancor di più scoprendo che si tratta del figlio di Gordy. Il padre, sbalordito, si arrabbia scoprendo che ha ottenuto un contratto proprio con la Motown, forse per il timore di accuse di nepotismo. Perché è vero, Rockwell firma il contratto grazie alle sue qualità, ma dietro di lui c’è comunque un bagaglio di conoscenza diretta, e soprattutto la mano sapiente della Singleton. Ha visto artisti di grosso calibro girare per casa: la Motown è la sua vita, Michael Jackson è quasi un fratello maggiore, i due si frequentano da sempre, Jermaine Jackson era sposato con la sorella di Rockwell.

Dopo un estemporaneo ascolto della traccia a casa Jackson, un entusiasta Michael chiede ingenuamente chi avrebbe cantato i cori nel disco: «boh, non lo so», «posso farlo io!». Con l’aggiunta della voce del cognato Jermaine, la hit è assicurata. Per continuare a nascondersi, Rockwell non accredita i due Jackson nel disco e parla a volte con finto accento inglese nelle interviste. È un segreto di Pulcinella che però crea una tensione ambigua che gli permette di fare breccia nelle masse, cosa che probabilmente non sarebbe successa se si fosse saputo che era un figlio d’arte.

In quando alla mano di Dio, leggenda vuole che Rockwell, frustrato dopo vari tentativi di comporre una canzone decente, si sia messo in ginocchio chiedendo a Dio di dargli lo spunto per scrivere una hit, con la promessa di comunicare a tutti il grande potere del Signore se fosse accaduto. A quanto pare il padreterno lo esaudisce, anche se solo per il breve spazio di un album costruito sul singolo da cui prende il titolo. Per giudicare il disco di Rockwell bisogna però ragionare non tanto sul fatto che ci siano riempitivi o meno, ma sul sound. Per essere un album volutamente commerciale, è fin troppo monolitico e – volendo – alienante: drum machine a stecca, bassoni sintetizzati, atmosfere in un certo senso claustrofobiche, come se i Soft Cell si fossero incrociati agli Imagination scivolando in sconci territori hip hop (nelle parti in cui lo spoken word incontra il rap), con un approccio EBM di sguincio. Insomma è post disco monolitica (e attenzione, con una autoironia di solito assente in prodotti del genere) in cui è evidente la sottotraccia DIY. La sensazione, ascoltando l’album, è che tutti possano comprarsi un synth e una batteria elettronica, registrare un disco e arrivare in cima alle classifiche (questo fermo restando che ci suonano fior di musicisti, tra i quali Russell Ferrante e Ricky Lawson degli Yellowjackets).

Il secondo singolo Obscene Phone Caller è stata una hit minore anche perché il testo che sviluppa il tema delle telefonate anonime a sfondo sessuale è stato censurato. È un numero muscolare di r&b elettronico, con evidenti citazioni di Maniac di Giorgio Moroder e Sex Over the Phone dei Village People, che pare abbia ispirato i Jacksons per Torture (nella quale casualmente Michael era la voce principale insieme a Jermaine). Nell’album ci sono anche la ballad Knife da festa delle medie in versione apocalittica e Wasting Away, che avrebbe potuto essere un ottimo singolo, con un tiro stile Beat It di Jacko, diretto e senza fronzoli, e lo stesso vale per la new romantic Foreign Country. Nella musica gli Human League e i Kajagoogoo si fondono, nel testo ansiogeno a proposito di un fantomatico viaggio in Iraq e sul rischio di clash culturale/politico che ne deriva ci sono citazioni di Adam Ant e Culture Club: è il pezzo in cui Rockwell ha investito di più nell’arrangiamento, complesso e con maggiore dispendio di tracce e di arpeggiatori a pioggia.

Rockwell non ha una gran voce, i testi sono di una semplicità a volte imbarazzante (ma non era la stessa cosa per i Kraftwerk?), le canzoni si reggono su una fune e sotto le attende il baratro, ma il cantante ha la capacità di rappresentare gli sforzi dei teenager per creare qualcosa di personale, senza timore di giudizi e figuracce. Disco d’oro negli Stati Uniti, Somebody’s Watching Me mette in musica senza pudore alcuno le frustrazioni artistiche dell’autore e della sua generazione in cerca di emancipazione dai loro padri.

È la rivincita di Rockwell su un genitore ingombrante che alla fine dovrà ammettere di aver sbagliato, anche perché il disco sarà uno degli ultimi exploit commerciali della Motown anni ’80, che si ritroverà poco dopo nelle mani della MCA per saldare i conti in rosso. Le prove seguenti non andranno molto lontano (nonostante il singolo He’s a Cobra, stavolta con l’ospitata di Stevie Wonder) e Rockwell si ritirerà dalla musica per dedicarsi a opere di carità.

Probabilmente la sensazione che qualcuno lo stesse guardando con una certa insistenza mentre tentava di bissare il successo del primo album si è trasformata in amara realtà. Forse quegli occhi addosso erano proprio di Dio, che come Paganini non ripete i miracoli, seppur musicali.

Iscriviti