«Non è più possibile ricreare il sound dell’album»: la E Street Band ricorda le session di ‘Born in the U.S.A.’ | Rolling Stone Italia
1984-2024

«Non è più possibile ricreare il sound dell’album»: la E Street Band ricorda le session di ‘Born in the U.S.A.’

Il discone del 1984 di Bruce Springsteen visto da Roy Bittan e Max Weinberg: demo e outtake, l’apporto di Steve Van Zandt, lo spirito dell’album. «A volte devi seguire l’istinto mettendo giù due soli accordi e un riff»

«Non è più possibile ricreare il sound dell’album»: la E Street Band ricorda le session di ‘Born in the U.S.A.’

Bruce Springsteen nel tour di ‘Born in the U.S.A.’

Foto: Disney General Entertainment Content/Getty Images

Nel 1984 Max Weinberg della E Street Band ha visto alcune prove di copertina del nuovo album di Bruce Springsteen. Ne ha notata in particolare una, uno scatto di Annie Leibovitz del sedere del cantante. «Ho detto scherzando: “Questa mi piace perché è esattamente quel che vedo di solito io”. Sono tutti scoppiati a ridere e hanno scelto proprio quella».

È una delle tante cose che il batterista della E Street Band e il tastierista Roy Bittan dicono nella nuova puntata del podcast Rolling Stone Music Now dedicato alla realizzazione di Born in the U.S.A. e alla Brucemania innescata dal disco. Ecco cos’hanno raccontato.

I demo di ‘Nebraska’ con la band non erano molto buoni, erano…

«Quelle registrazioni sono in qualche modo leggendarie e la cosa interessante è che non sono molto buone», dice Weinberg. «Sono buonissime! Solo che non c’entravano nulla con quel che Bruce voleva fare in quel momento. Ricordo le registrazioni, molto in stile E Street e in linea col modo in cui facciamo quei pezzi adesso. Era un bel disco rock». Detto questo, Weinberg spiega che per ovvi motivi non ci sono versioni rock di ballate come My Father’s House, che era nello stile del Bob Dylan di John Wesley Harding.

Roy Bittan è orgoglioso della semplicità della title track

«Ci sono solo due accordi, ma a volte non devi aver paura di essere, come dire, primitivo e seguire il tuo istinto mettendo giù due accordi e un riff, roba base rock’n’roll. Ho usato un sintetizzatore, ma è irrilevante. Avrei potuto suonarla al piano alla stessa maniera».

Le parti di chitarra acustica di Steve Van Zandt non vanno sottovalutate

«Non potrò mai sottolineare a sufficienza quanto Steve sia stato importante per dare la giusta spinta ritmica alle canzoni», dice Weinberg. «La struttura fornita dalla sua chitarra acustica, che ascoltavo parecchio mentre registravamo, era molto simile a quella di Keith Richards, ad esempio su Street Fighting Man».

Per la band, outtake come ‘My Love Will Not Let You Down’ erano potenzialmente delle hit

«Non facevamo che ripeterci che erano tutte canzoni da numero uno in classifica», dice Bittan. «Bruce scriveva andando in una direzione, quando poi veniva fuori qualcosa d’altro si metteva a scrivere seguendo una nuova direzione. Quando alla fine trovava la cosa che voleva dire, mandava a quel paese tutte le altre canzoni, che fossero potenziali hit o meno».

Il primo a sentire ‘My Hometown’ è stato Weinberg

«Una delle volte che sono andato a casa sua» ricorda il batterista «io dormivo nella camera da letto accanto alla sua. Era notte fonda e lui componeva. Lo sentivo letteralmente dall’altra parte della porta che scriveva My Hometown alla chitarra acustica. Quando la portò affinché la registrassimo, era una versione fatta con la batteria Linn, col ritmo che è poi finito sul disco. Voleva che risuonassi le parti della drum machine. Ho sovrainciso la mia parte sulla registrazione che aveva fatto a casa».

Non è più possibile ricreare il sound dell’album

Oggi è quasi impossibile riprodurre con precisione i suoni di tastiera dell’album e questo a causa delle stranezze del sintetizzatore analogico Yamaha CS-80 usato da Bittan (per Dancing in the Dark ha usato invece un sintetizzatore digitale). «Per certi versi era uno strumento rozzo, pieno di interruttori a levetta», racconta Bittan. «Mi pare ci fossero quattro levette che azionavano i filtri coi quali regolare il suono. La cosa strana è che in realtà non si trattava di interruttori tradizionali a posizioni fisse. Li spostavi e poi in bocca al lupo se li volevi riportare al punto in cui erano il giorno prima, non c’era modo di ritrovare con precisione la posizione. E questa cosa è curiosa, non capirò mai come hanno fatto a creare uno strumento tanto avanzato senza capire come far funzionare di preciso i comandi».

Da Rolling Stone US.

Altre notizie su:  Bruce Springsteen