I Villanelle hanno due sole canzoni su Spotify. Non hanno mai suonato fuori dall’Inghilterra, a parte due rapide apparizioni a Malta e in Germania. Pubblicheranno un EP, ma non c’è ancora una data ufficiale. L’album di debutto è poco più di un sogno lontano. Eppure hanno già aperto i concerti dei Jet e di Liam Gallagher nei palazzetti del Regno Unito e hanno un seguito di fan che cantano in coro canzoni che non sono nemmeno state registrate e che sono disponibili solo in traballanti video amatoriali su YouTube.
Uno dei motivi per cui ci sono riusciti è che i Villanelle sono un trio ossessionato dai Nirvana e hanno praticamente ricostruito il suono di Nevermind aggiungendoci un tocco di Arctic Monkeys. Facendolo, hanno fatto conoscere a una nuova generazione uno stile da anni quasi completamente scomparso. «Adoro il sound dei Nirvana», dice il frontman Gene Gallagher. «Ci sono band che sembrano spaventate dall’idea di prendere ispirazione dal passato, vogliono sembrare a tutti i costi nuove di zecca. Ma a me quel suono piace e lo voglio usare».
C’è un altro motivo per cui i Villanelle ci sono riusciti a fare tutte quelle cose: Gene Gallagher è il figlio di Liam degli Oasis e questo ovviamente ha dato loro molte possibilità, non ultima quella di aprire l’anno scorso i concerti per il trentennale di Definitely Maybe. Sono arrivate ovviamente anche le inevitabili accuse di aver beneficiato di nepotismo ed è difficile spariscano del tutto. «Ha molti vantaggi», dice Gallagher a proposito dell’essere figlio di un’icona rock. «Voglio dire, i pro superano di gran lunga i contro, al 100%. In quanto ai contro… non devi farti abbattere, ma guardare avanti, continuare a spingere, prendere le cose come vengono, incanalare l’energia».
Cresciuto nell’Inghilterra a cavallo del nuovo millennio, da bambino Gallagher era ossessionato dai Beatles. È stata la madre Nicole Appleton delle All Saints a fargli scoprire i gruppi grunge anni ’90. È la musica che gli ha aperto la mente e gli ha indicato la via. «Sapevo che sarei diventato in musicista prima ancora prima di suonare uno strumento. E quando mi sono esibito per la prima volta di fronte a un pubblico, ne sono diventato dipendente. Ho capito che l’avrei fatto per tutta la vita».
I Villanelle sono nati solo un paio d’anni fa, quando tramite amici comuni Gallagher ha incontrato il bassista Jack Schiavo in un bar. Hanno iniziato a parlare di mettere in piedi una band dopo aver scoperto di amare entrambi Beatles, Nirvana e Alice in Chains. Il chitarrista Ben Taylor è entrato nel gruppo poco dopo. Gliene hanno parlato degli amici e l’hanno contattato su Instagram (il batterista Andrew Richmond non fa più parte del gruppo da quest’anno, dal vivo suonano con Louis Semlekan-Faith, ma sono ufficialmente un trio).
Hanno sempre saputo di voler emulare il suono delle amatissime band anni ’90. «Qualunque genere o stile sembra nuovo se non l’hai mai sentito prima», dice Taylor. «Quindi sì, in un certo senso si può dire che stiamo riportando nel presente qualcosa del passato, ma per molta gente è roba fresca».
Dopo sette mesi passati a scrivere e provare, hanno fatto il loro primo concerto al Troubadour, nel quartiere di Earl’s Court, a Londra. «Ero nervoso come credo sia chiunque al primo concerto», ricorda Gallagher. «Me la stavo facendo sotto e mi sono fatto un paio di birre per farmi coraggio. E poi me la sono goduta». In quell’occasione hanno fatto solo pezzi originali, una regola che seguono ancora oggi. «Mai voluto essere una cover band», spiega il cantante. «Nessuno conosceva le nostre canzoni? Ce ne siamo fatti una ragione».
Dopo qualche mese di concerti in piccoli club londinesi, hanno messo assieme un buon repertorio, ma non hanno pubblicato nulla, lo hanno fatto solo a settembre quando è uscita Hinge. «Tutte le nostre canzoni esistono in una molteplicità di versioni», racconta Schiavo. «Una volta che le registriamo e vano su Spotify, diventano una cosa fissa per sempre. Tenerle nel cassetto a lungo ci ha permesso di essere soddisfatti del risultato».
Nel giugno 2024 hanno suonato davanti a 20 mila persone nei palazzetti inglesi durante il tour di Definitely Maybe. «Il battesimo del fuoco», ricorda Schiavo. «Ci ha permesso di affiatarci sul palco e quando siamo tornati a suonare nei club eravamo molto più solidi. Ci ha permesso di crescere in fretta».
La band apriva i concerti con Measly Means, che da allora è diventata una parte fondamentale del live set. Pubblicarla come secondo singolo è parsa una scelta ovvia. «È nello stile di Hinge, ma anticipa quel che verrà», spiega Gallagher. «È potente, fa venire voglia di mettersi a saltare».
Al momento, i Villanelle non hanno altri impegni in calendario oltre a un giro di concerti nei club britannici a dicembre. Ma hanno grandi piani per il 2026, tra cui l’uscita del primo EP in primavera e il primo tour negli Stati Uniti. «Sarà una buona occasione per far conoscere il nostro suono, capire con quale pubblico funziona e con quale no, e ripartire da lì», dice Schiavo.
La loro ascesa è coincisa col tour della reunion degli Oasis. Si sono divertiti molto ad andare ai concerti insieme quando avevano del tempo libero, ma hanno dovuto anche affrontare richieste infinite di biglietti gratis. «Ce li chiedono in continuazione», dice Gallagher, «pure la gente che non conosco continua a chiedermene».
La gente non smette nemmeno di paragonare i Villanelle ai Nirvana, ma la cosa non lo infastidisce granché. «A quanto pare le persone non afferrano la differenza fra copiare qualcuno e averlo come fonte di ispirazione», dice Gallagher. «E comunque è meglio essere paragonati ai Nirvana che a degli scarsi».












