Non c’è niente da capire e difatti Nevergreen, il documentario di Stefano Pistolini dedicato alla residency di Francesco De Gregori in un piccolo teatro milanese, non spiega niente. È la cronaca di quei giorni senza commenti e con pochissimi stralci d’interviste, comunque mai al protagonista, giusto a qualche ospite. Presentato a Venezia, al cinema dall’11 al 17 settembre, è un racconto fuori da ogni cerimoniale, divismo, culto, retorica o intellettualizzazione. La musica è anche mestiere. Come dice in una scena De Gregori a Zucchero prima di salire sul palco per le prove, «andiamo a lavorare».
Al posto di fare un concerto per 4000 persone coi grandi successi, tra l’ottobre e il novembre 2024 De Gregori ne ha fatti 20 di fronte a 200 persone a sera, una bellissima follia che forse gli è servita anche a combattere la noia derivante dalla routine, replica con alcune variazioni dell’esperimento già fatto alla Garbatella. In repertorio non ha messo le canzoni che noi volevamo ascoltare, ma quelle che lui voleva suonare e farci riscoprire, per il piacere soprattutto di chi conosce bene il suo repertorio e se gli dai Gambadilegno a Parigi può fare a meno di Rimmel. A parte qualche eccezione, non ha fatto quindi le evergreen, ma quelle che non lo sono mai diventate, le nevergreen. E ne ha cambiate tante ogni sera, per un totale di una settantina tra pezzi e cover.
Fedele all’idea del cantautore di fare ascoltare le «perfette sconosciute», Pistolini inizia il film con Sento il fischio del vapore, un pezzo di memoria popolare che De Gregori ha registrato con Giovanna Marini e che all’Out Off canta con la sua vocalist Francesca La Colla. Le dimensioni contano: in quella sala, otto file di sedie o poco più, potevi quasi “toccare” la musica, un’esperienza normale nei piccoli locali, rara quando si tratta di gente del calibro di De Gregori. Nel film non si esce quasi mai dall’Out Off, da quel microcosmo fatto di musica e incontri, tutto si svolge fra quelle mura, al massimo s’intravedono le luci di qualche auto o un tram che passa, ci s’immagina colti durante una pausa sigaretta. Stravaccato sul divano del camerino pieno di quadretti che testimoniano il passato underground del luogo, De Gregori guida il cameraman: «Inquadra tutto, questa è la storia del teatro».
Nel camerino del Teatro Out Off. Foto press
Di quel mese di canzoni Pistolini offre una cronaca secca e minimale, senza aggiungere commenti o letture. Non fa sentire le canzoni per intero, e forse qualcuno si lamenterà. Non ha una visione o una cifra stilistica che sovrappone alla cronaca di quel che è successo. Alterna immagini dietro le quinte e stralci di canzoni fatte nei concerti e durante le prove, includendo anche performance decisamente imperfette, e va bene così. Il sindaco Sala in camerino ringrazia De Gregori, dice che quello che sta facendo è un onore per Milano (il cantautore gli farà ballare il valzer di Buonanotte fiorellino). Il cantante annuncia alla band la presenza in città del sassofonista Amedeo Bianchi e assieme decidono quale canzone fare con lui. Parte Due zingari e si capisce subito che queste «perfette sconosciute» non hanno nulla di meno di canzoni ben più famose. Ci sono anche alcune brevi introduzioni, le spiegazioni delle canzoni che De Gregori dava al pubblico dimostrando un’inclinazione a parlare del suo repertorio che non ha sempre avuto.
Oltre a farti sentire a un passo dalla musica, come succedeva all’Out Off in quelle sere d’autunno, Evergreen è anche una storia di incontri. Pistolini, al terzo film su De Gregori dopo Finestre rotte e Falegnami & filosofi (sulla reunion con Venditti), ne documenta cinque, attribuendo loro un peso notevole. Ci sono Elisa, Ligabue, Zucchero. Jovanotti duetta in Una città per cantare, dice che «quel pezzo raccontava la voglia di scappare di casa e andare, praticamente nella mia vita ho cercato di realizzare il film di questa canzone» e nel backstage parla con De Gregori di quelli che hanno «facce da cappello», loro due per esempio. Malika Ayane in camerino sceglie con De Gregori quali parti di Falso movimento cantare. «La so quasi a memoria, l’avevo consumato Sulla strada». «Ma che brava ragazza», dice lui. Poi Ayane fa da sola Pezzi di vetro e promette al pubblico che a causa di quella canzone che ha devastato la sua e tante adolescenze metterà assieme «un gruppo di autoaiuto nel pianto».
Quando durante le prove si tratta di mettere assieme Via della povertà, vale a dire l’adattamento in italiano di Desolation Row di Bob Dylan, Guido Guglielminetti va su YouTube e fa sentire agli altri un’esibizione di De Gregori avvicinando il telefono al microfono. Decidono che la faranno così e il testo per ora il cantautore lo legge dallo smartphone. E insomma Nevergreen non rivela niente, ma mostra la musica per quel che è, per quel che dovrebbe essere fuori da rituali, dalla retorica, dai protocolli, dai proclami e dalle pretese. Non è un grande spettacolo. È scambio, artigianato, leggerezza, lavoro, imperfezione, quasi una garbata demistificazione del culto del grande cantautore. È solo gente che canta e che suona. Ma se canta e suona San Lorenzo o Il cuoco di Salò, tiene col fiato sospeso un’intera città, 200 persone alla volta.
Foto press
Sento il fischio del vapore
Cose
Due zingari
Via della povertà
Quattro cani
Falso movimento con Malika Ayane
Pezzi di vetro cantata da Malika Ayane
Il vestito del violinista
Caldo e scuro
Stelutis Alpinis con Elisa
Can’t Help Falling in Love con Elisa
Quelli che restano con Elisa
Compagni di viaggio
Deriva
Una città per cantare con Jovanotti
San Lorenzo
Il cuoco di Salò
Alice con Ligabue
Buonanotte all’Italia con Ligabue
Atlantide
Bufalo Bill
Everybody’s Talkin’ con Zucchero
Diamante con Zucchero
Come il giorno con Zucchero
Giusto o sbagliato
Mannaggia la musica
Buonanotte fiorellino
