Nel rap italiano c’è un prima Ghali e un dopo Ghali. Il rapper milanese di origini tunisine non è stato solo uno dei protagonisti della generazione 2016, è stato un simbolo politico e culturale dal valore difficilmente quantificabile. Si può dire infatti che il rapper sia stato il personaggio pubblico non bianco più rilevante dell’ultimo decennio in Italia.
La storia artistica e personale di Ghali è strettamente legata a Milano. Nato nel 1993, il rapper cresce nel quartiere periferico di Baggio. Nel 2011 fonda il gruppo Troupe D’Elite, insieme al rapper Ernia, alla cantante Maite e al produttore Fonzie. Nello stesso anno viene messo sotto contratto dall’etichetta Tanta Roba, di proprietà del rapper Guè e del beatmaker Dj Harsh. Inizia a farsi conoscere accompagnando in tour Fedez, all’epoca uno dei rapper più in vista in Italia. L’anno successivo pubblica con i Troupe D’Elite un ep omonimo. Si tratta di un flop, che il mixtape Leader del 2013 non riesce a riscattare.
Il destino del gruppo è ormai segnato. Ghali riparte da solista. Reinventa un immaginario più al passo con le nuove tendenze. Matura artisticamente, sperimentando con la propria voce e collaborando con il produttore d’avanguardia Charlie Charles. Dal 2014 al 2016 pubblica decine di video sul suo canale YouTube e la sua popolarità cresce vertiginosamente. Il 14 ottobre 2016 esce su Spotify il singolo Ninna Nanna, con il quale stabilisce un nuovo record di streaming in Italia, ottenendo il più alto numero di ascolti nel primo giorno dall’uscita fino ad allora raggiunto. L’ascesa di Ghali culmina con la pubblicazione del suo disco d’esordio Album, nel maggio del 2017 e con l’uscita del brano Cara Italia, nell’inverno del 2018.
Quest’ultimo, promosso inizialmente come colonna sonora di uno spot pubblicitario della Vodafone, è un inno all’Italia multiculturale. Ghali è un artista di rottura e il suo percorso racconta precisamente ciò che era ieri e ciò che è oggi la scena rap in Italia. Il rapper di Baggio ha infatti mosso i suoi primi passi in un mondo in cui questo genere non apparteneva ancora a tutti. Con i Troupe D’Elite, Ghali ha potuto sperimentare sulla propria pelle i limiti di un mercato ancora piccolo e poco accogliente. Le possibilità di farcela erano risicatissime, i tempi dei contratti a pioggia delle major discografiche, lì pronte a contendersi il rapper del momento, erano ancora lontani.
La scena in cui Ghali si è affacciato nel 2013 era per di più quasi totalmente composta da persone bianche. Se infatti dalla stessa generazione di Ghali vengono fuori nomi come Maruego, Jamil, Laïoung, Tommy Kuti, Mambolosco e Mboss, andando a ritroso nel tempo i nomi diventano sempre meno. Negli anni 2000, la scena rap bolognese, probabilmente la più multietnica d’Italia, era alimentata dagli storici Mazzini Maghreb, ovvero Royal Mehdi e Mopasha, e Lama Islam – in continuità con una tradizione che fin dalla generazione dei pionieri aveva incluso una figura leggendaria come il compianto Dre Love. Nella stessa fase, a Roma risaltavano i rapper Amir Issaa e Il Turco, e tra Milano e Tunisi operava Karkadan. Da totale outsider, nei primi anni dieci, spiccava invece la web star Bello Figo. Hanno poi avuto una loro rilevanza figure come Johnny Marsiglia, Ion e Amill Leonardo.
Al di là dei nomi qui menzionati – che non pretendono di esaurire in alcun modo il quadro complessivo – parliamo di un contesto assai limitato per motivazioni demografiche e culturali. Nella fase di sdoganamento del rap in Italia, i rapper non bianchi sono stati vittime di pregiudizi e visioni approssimative da parte delle case discografiche. Ne ha parlato, per esempio, il rapper Amir Issaa, raccontando quanto fosse frustrante per lui essere in ogni occasione il rapper di “seconda generazione”: «Inizialmente era colpa della campagna marketing della Virgin, che puntava molto sul fatto che io fossi un rapper di seconda generazione, facendo tra l’altro anche molta confusione sul tema. Mi volevano addirittura spedire in Marocco e ambientare il video lì, a bordo di un cammello. […] Non ti nascondo che all’inizio ci ho un po’ marciato sopra, perché mi garantiva una certa visibilità ed era un buon modo per invitare la gente a considerare anche la mia musica. Però ben presto ha cominciato a darmi fastidio, perché invece non si parlava più della mia musica, ma solo delle mie origini: diventavo un opinionista sugli argomenti più disparati, dal terrorismo islamico in giù».
Quando Ghali inizia la sua ascesa non subisce un trattamento diverso, ma si muove in un contesto molto più favorevole. Il rapper di Baggio, al momento della sua rinascita da solista, ha di fronte a sé una industria discografica più matura, oltre che il conforto incontestabile dei suoi ascolti sulle piattaforme online. Non si tratta della fine dei pregiudizi, tutt’altro: sono i rapporti di forza in campo a essere cambiati. Ghali fonda la sua etichetta, Sto Records, e sviluppa la sua carriera con la maturità di chi ha già una esperienza artistica alle spalle. A livello politico, il rapper diventa, fin da subito, un oggetto da accaparrarsi per la sinistra e un nemico pubblico per la destra.
Fece discutere, in questo senso, la sua ospitata alla trasmissione televisiva Che tempo che fa, condotta da Fabio Fazio, in cui la retorica più stucchevole e paternalista prese il sopravvento, piegando la realtà e l’identità artistica di Ghali alle necessità politiche del momento. Roberto Saviano dipinse l’idilliaca immagine di bambini figli di leghisti che saltano all’urlo di «Salam Alaikum», mentre Fazio parlò «dell’artista che lotta per lo Ius Soli».
Fin da quella ospitata televisiva, Ghali ha saputo dimostrare le sue grandi capacità dialettiche, riuscendo a muoversi nel dibattito politico senza scottarsi. Anzi, il rapper ha avuto l’acume di intravedere la possibilità di piegarlo a suo favore, comprendendo il ruolo che stava assumendo in quella determinata congiuntura storica. Uno come Ghali, semplicemente, non c’era ancora stato in Italia. È come se fosse emersa una porzione di Paese non rappresentata dalla musica popolare italiana. Ghali ha dato voce per la prima volta a milioni di ragazzi e ragazze cresciuti in Italia, figli di genitori stranieri. Ciò che per alcuni può essere stato sorprendente è che una storia come quella di Ghali potesse ottenere un successo così trasversale.
Merito delle sue qualità artistiche ma anche della sua immagine, per certi versi, pacifica. I brani di Ghali difficilmente sono violenti o aggressivi. La narrazione del rapper è quella di un ragazzo cresciuto in un contesto difficile, ma che grazie alla musica si è emancipato dalla propria condizione di marginalità. Attraverso questo messaggio, recepibile anche dal pubblico generalista, Ghali è diventato il cavallo di Troia dell’industria musicale per tanti rapper non bianchi in Italia. In altre parole: se oggi Baby Gang può esprimere la sua rabbia verso la società italiana senza filtri, è anche e soprattutto merito di Ghali, che prima di lui cantava: «Oh eh oh io tvb cara Italia, oh eh oh sei la mia dolce metà».

Tratto da La periferia vi guarda con odio. Come nasce la fobia dei maranza di Gabriel Seroussi (Agenzia X), in uscita il 10 ottobre.













