Motta ed Emma Nolde si raccontano a Manuel Agnelli | Rolling Stone Italia
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Motta ed Emma Nolde si raccontano a Manuel Agnelli

Gli ospiti della seconda puntata di ‘Basement Café by Lavazza – Germi Session’, format prodotto da Lavazza e Rolling Stone Italia con Manuel Agnelli padrone di casa, raccontano che cosa si prova a mettersi in gioco scrivendo canzoni e si confrontano su pregi e difetti delle rispettive generazioni

Motta ed Emma Nolde si raccontano a Manuel Agnelli

Foto: Lavazza

C’è chi va di fretta e chi era incazzato e non sapeva bene con chi. Ma anche chi ha rifiutato i maestri del passato per diventare, a sua volta, un maestro. Sono Emma Nolde, Motta e Manuel Agnelli, protagonisti della seconda puntata di Basement Café by Lavazza – Germi Session, il format prodotto da Rolling Stone Italia e Lavazza. Un’esperienza unica, che ha messo a confronto tre generazioni (Gen Y, Gen Z e Gen X) all’interno di Germi, il locale fondato dal frontman degli Afterhours, insieme a Rodrigo D’Erasmo, Francesca Risi e Gianluca Segale nella zona dei Navigli a Milano. Una volta che la “contaminazione” è avvenuta, abbiamo chiesto ai due ospiti qual è stato l’effetto. Sembra più che positivo.

Come vi siete trovati a confrontarvi fra tre generazioni diverse?
Motta: È stato interessante. Anche se sono abituato ad avere a che fare con gente di diverse generazioni, mi sono accorto che confrontandomi con Emma c’è sempre da imparare. Soprattutto da lei che non è certo amante della superficialità.
Emma Nolde: All’inizio ho avuto timore che il mio punto di vista non interessasse o di non avere lo spazio per dirlo, invece è stato il contrario. Era davvero come se fossimo al tavolo di un bar. E sia Manuel che Motta si sono dimostrati realmente interessati a capire la mia generazione. Io tutto quello che ho detto l’ho detto perché lo sentivo necessario.

Emma, la voglia di dire la tua sembra far parte del tuo carattere.
Emma: In generale sì, ma diciamo che se fossimo stati in un vero bar prima di dire la mia avrei aspettato che ci rivedessimo una seconda volta. Così, invece, mi è piaciuto mettermi alla prova. E mi hanno stimolato anche le loro risposte a questi miei interventi molto spontanei.

C’è chi ha vissuto una fase di passaggio, come Motta, chi invece ha vissuto quella di rifiuto delle generazioni precedenti come Manuel, o come Emma che ha raccontato di una generazione sempre insoddisfatta.
Motta: Per me la figura del maestro è fondamentale, vorrei sempre circondarmi di maestri. Forse per noi c’è stata una sorta di presunzione di potercela fare da soli e non ha funzionato. La mia è una generazione di passaggio perché formata da ragazzi incazzatissimi, ma che non sapevamo bene con chi. Non avevamo tanto a fuoco il nemico da combattere, visto che tutto cambiava velocemente. E piano piano l’incazzatura è andata scemando. Vedo che solo recentemente sta tornando.
Emma: La mia invece è una generazione che ha fretta. Ho questa sensazione forte. Un po’ per cause esterne, un po’ perché ci sentiamo arrivati in un punto di non ritorno. Sembra di essere sempre in ritardo, un po’ agli sgoccioli sui grandi problemi. Se Motta si sentiva in ritardo a 30 anni, come cantava, noi ci sentiamo in ritardo a 20 nel non sapere che cosa vogliamo fare da grandi.

Motta, però la tua generazione qualcosa ha generato di interessante?
Motta: Quando ho iniziato io c’era grande voglia di stare insieme e fare musica, senza arrivismo. Questo ha reso tutto molto sano. Avevamo tanti problemi, ma non quello di fare i soldi con la musica. Oggi invece i giovani mi chiedono consiglio sull’ufficio stampa o su come diventare famosi. Ecco, forse in questo siamo stati più focalizzati sull’urgenza di fare musica. Non dico che non ci sia ancora oggi, però prima di sicuro era generalizzata.

Cosa ha cambiato, per voi e la vostra generazione questo accesso così semplice a qualsiasi informazione?
Emma: Ci ha messo di fronte a questa narrazione di chi ce l’ha fatta prima di te, e lo sta facendo mentre tu sei intento spesso in attività che non ti piacciono. Tutto ciò aumenta la sensazione di fretta.
Motta: Io il passaggio l’ho vissuto più dall’analogico al digitale del fare musica. Quando ho realizzato i provini de La fine dei vent’anni da solo in una stanzetta è stato utile per trasformare quella solitudine in qualcosa di bello, ma è una cosa che può diventare anche una gabbia. Dal punto di vista musicale, avere la possibilità di farcela con pochi soldi lo trovo molto positivo.

Un po’ come ha raccontato Manuel Agnelli dopo l’avvento del punk e con il do it yourself.
Motta: Esatto! E come ha fatto Billie Eilish con il fratello in un garage, che non trovo che sia diverso dall’approccio che avevano i Nirvana. Questo ha portato a dei progetti molto interessanti.

Emma, a un certo punto hai detto: «Non ci sappiamo più annoiare».
Emma: Per i giovani di oggi è così. Annoiarsi è visto come qualcosa di negativo e da reprimere. Io stessa lo vivo male. Tante volte vorrei annoiarmi ma non ci riesco. Siamo circondati da storie di chi sembra fare solo cose belle, quando semplicemente pubblicano solo quello e non altro. Invece il momento di vuoto è fondamentale, il lasciare spazio a qualcosa che non conosci, altrimenti ti precludi tutte le possibilità, quell’inciampare in qualcosa di inaspettato ma che potrebbe piacerti.

Oggi le ideologie e gli ideali sembrano sempre più rarefatti. Rimane ancora qualcosa in cui credere, almeno secondo Emma?
Emma: La mia generazione sente di avere in mano tutti i cambiamenti. Siamo quelli che fanno parlare chi non aveva voce. Ci sono tante controindicazioni, perché tutti i progressi portano dentro qualcosa di negativo, ma è anche una generazione che sente di voler combattere per i diritti che non sono ancora riconosciuti, più che per un partito o per un altro. I ragazzi di oggi sono circondati da storie simili alle loro e queste li fanno riunire per manifestare, dal clima alle questioni LGBT.

In Dormi, che hai eseguito nella puntata, canti: “Passerà il tempo senza che tu tе ne accorga. Provare a cambiare il mondo è una lotta pеrsa. E io non vorrei mai che tu ti sentissi sconfitta”.
Emma: Rispecchia questo voler cambiare e tutte le difficoltà che incontriamo. Non a caso l’ho scritta nel 2020, dove cambiare le cose era impossibile, c’era qualcosa di molto più grande con cui fare i conti.

Qual è il più bel complimento che avete ricevuto per la vostra musica?
Motta: Ricordo la reazione unanime della critica dopo il mio primo disco, dopo anni di lavoro e un senso di vergogna a mettersi a nudo. Quando riesci a essere te stesso e vieni apprezzato per qualcosa che non va di moda è una grandissima conquista.
Emma: Per quanto sia triste, quando una ragazza che ha ascoltato la mia canzone La stessa parte della luna mi ha confessato di averla scelta durante il funerale di una persona a lei molto cara. È stata una testimonianza che mi ha davvero emozionato.

Motta, cosa ruberesti ai due interlocutori di questa esperienza?
Motta: Con Manuel ci siamo confrontati tanto negli ultimi due anni. È una persona meravigliosa e un artista fortissimo, con un modo unico di raccontare certe emozioni. Nel processo di sintesi in una canzone a livello testuale è tra i più forti di tutti. Di Emma ruberei, oltre all’età, una certa visione delle cose che è genuina. Dopo aver fatto di tutto per cercare di diventare grandi si fa di tutto per tornare bambini. La verità sta nel mezzo, ma l’età di Emma è fragilissima, ma anche quella in cui a livello espressivo si dicono le cose più forti con grande naturalezza.

Lascerei a Emma la chiusura. Una canzone non cambierà il mondo, ma…
Emma: Ma cambierà te.

Potete godervi la seconda puntata sul canale YouTube del Basement, cliccando qui. Buona visione!

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