Mina, inimitabile anche nel marketing | Rolling Stone Italia
Dischi Ultrafonici

Mina, inimitabile anche nel marketing

Indipendenza, innovazione, ironia, credibilità. E il lusso di negarsi al nostro sguardo. La storia di una delle più grandi cantanti di sempre attraverso le scelte in materia di prodotto, prezzo, distribuzione, comunicazione

Mina, inimitabile anche nel marketing

Mina

Foto: Mauro Balletti/PDU

Il libro Mina. La formula di un successo italiano di Frank Pagano, Marco Di Dio Roccazzella, Pierangelo Soldavini (Il Sole 24 Ore) racconta la storia della grande cantante non solo dal punto di vista storico-artistico, ma anche del marketing. In questo estratto Soldavini, giornalista esperto di innovazione e tecnologia, racconta il business case di Mina attraverso il modello delle quattro P: prodotto, prezzo, distribuzione (placement in inglese) e marketing/comunicazione (promotion) «per capire come si mette insieme la formula di un grande successo all’italiana, ma soprattutto che cosa è unico della persona e della cantante, e che cosa è, invece o fortunatamente, ripetibile».

Il Prodotto: la musica prima del business

Mina ha creato la sua etichetta nel 1967, ed è stata tra le prime a farlo. Il primo collaboratore eccellente di Mina in PDU è stato suo padre Giacomo Mazzini, che veniva dall’industria chimica. Il distributore era all’epoca la EMI italiana; quindi, si è appoggiata a una major, ma solo per quello che riguarda l’esecuzione della parte di go-to-market. Questo ha da subito regalato all’artista tutta l’indipendenza creativa di cui aveva bisogno per fiorire e crescere. Il distributore, certo, dava riscontri e commenti, ma non aveva lo stesso potere del discografico classico, con le sue priorità di business. Lo studio della PDU Music & Productions SA (nota come PDU; l’acronimo viene da Platten Durcharbeitung Unternehmungen, cioè “Produzione Dischi Ultrafonici”) era a Milano, e poi si è trasferito a Lugano negli anni Ottanta. La famiglia di Mina si era già spostata in Svizzera nel 1966.

Era un tema di tranquillità e di sicurezza, soprattutto per i bambini e la famiglia. C’era in questo una visione di lungo termine, e tanta chiarezza sulle priorità. «Mina era avanti su tutto, dalle scelte artistiche a quelle commerciali. Mina ha puntato tutto sull’autonomia artistica e della sua vita privata, come prima condizione di vita e di lavoro. E questo ha un impatto immediato sul lavoro e sul prodotto, la musica stessa. La scelta di un’etichetta propria metteva il rischio interamente sull’artista. Mina ha accettato questo rischio imprenditoriale, con una confidenza estrema nel proprio gusto e pubblico. Il caso Mina mostra come fare un proprio percorso sia una cosa fattibile, ripetibile», racconta Pani.

Il prodotto di Mina è, prima di tutto, un prodotto ad alto contenuto innovativo, dal look alla melodia, all’arrangiamento, alla registrazione, fino ad arrivare al formato. Mina è stata la prima a fare l’LP, il Long Playing. Negli anni Sessanta si facevano i singoli, e poi l’album arrivava dopo, perché raccoglieva i successi precedenti, con minore rischio per l’editore/discografico. L’LP, l’album intero e inedito, è molto più rischioso, perché la gente deve acquistare prima di avere assaggiato questo o quel singolo. Mina è stata, poi, la prima a fare dischi di cover, portando, ad esempio, la bossa nova in Italia, negli anni Sessanta. Nessuno la conosceva in Europa, non solo in Italia. Il prodotto, la prima P, è un continuo flusso di innovazione e sperimentazione.

Come si fa a tenere viva la fiamma della creatività e dell’innovazione? Come si fa a fare Ricerca e Sviluppo (R&D), per usare un termine corporate, anche nella musica? Mina è l’unico direttore artistico. Mina ascolta tutto. La sua credibilità e autorevolezza le fanno attrarre materiale da ogni luogo nel mondo. Riceve tremila pezzi inediti l’anno. Adesso gli input arrivano in digitale (grazie alla piattaforma Mina.music). Gli autori mandano MP3, file audio. Ci sono due anni di pipeline di nuovi pezzi sulla lista di attesa di Mina. Due pezzi dell’ultimo disco (Gassa d’amante, 2024) sono arrivati così.

Ma qual è il pezzo perfetto, da Mina? È sempre quello emozionale. «Non è necessariamente un pezzo tecnico. Ti deve prendere la pancia. È il melodramma, come modello di forma e stile. Sono canzoni melodiche, veramente italiane, appassionate. Mina è tante cantanti diverse, con stile diverso. Alcuni pezzi degli anni Sessanta e Settanta sono diventati evergreen: Insieme, Amor mio, Se telefonando, Mi sei scoppiato dentro il cuore, Città vuota. C’è una canzone perfetta per ogni decade, come Questione di feeling, Acqua e sale. Ci vuole emozione, intuito, talento vero. Le sue scelte sono scelte di coraggio, rischio», riconosce Pani. Mina fa un prodotto di qualità, perché è artistic-oriented, non business-oriented. La musica viene prima di tutto, anche degli incassi e degli affari. Il segreto sta nell’innovazione.

La sperimentazione basata sulla qualità – senza pressioni commerciali che possano diluire la sostanza –, i grandi volumi di pezzi nuovi e disponibili a essere interpretati e il continuo flusso di collaborazioni e cover producono statisticamente un capolavoro per ogni decade, se non di più. Il modello di business di Mina è un caso di prodotto di altissima qualità, perché pesca da un mare magno di stimoli e sollecitazioni, che fa invidia alle major. Gli autori si rivolgono a lei, perché sanno di trovare una voce unica, rispettosa della musica e della qualità, prima ancora che del successo economico. È un ciclo virtuoso, che produce valore e qualità in maniera sistematica.

Il Prezzo: portfolio e audience

Il prezzo è, nel modello delle quattro P, il luogo di incontro tra un marchio e la sua audience. Il punto prezzo determina chi vedi, con chi parli, chi vuoi rendere un tuo fan.

Ora, l’industria musicale ha la stranezza del price alignment. Il range di prezzo per una canzone o un disco è allineato, più o meno, per tutti. La musica doveva essere mass market, fin dagli inizi del Novecento. Il disco era un prodotto democratico. È rimasta questa visione. I dischi costano tutti uguali. Nonostante l’industria della musica sia molto simile a quella del lusso, o dell’artigianato, è prevalso il bisogno di allineare il costo unitario del prodotto, senza le distinzioni che ci sono, per esempio nel mondo delle borse o dell’abbigliamento, tra Zara ed Hermès, per citare due estremi.

Mina non ha un vero e proprio portfolio di prodotti e servizi. Oggi gli artisti producono musica, eventi, merchandising, contenuti, libri, e così via. Anche nel caso del lancio di un nuovo disco, Mina fa pochi contenuti per promuoverlo. «Un domani, forse, Mina può diventare una marca. Questa è una cosa che potrebbe accadere in una fase post-musicale. La creatività di Mina si può affiancare a un grande brand italiano, con collaborazioni nella moda o negli accessori, fino ad altri campi. La sana follia creatrice e l’innovazione continua di Mina si possono coniugare a prodotti e categorie adiacenti. Brandizzare Mina, la sua arte e il suo metodo potrebbe essere l’evoluzione naturale del marchio di oggi. Mauro Balletti, fotografo e pittore, che ha fatto le copertine, è forse la sua prima vera collaborazione», ammette Pani.

L’architettura di marca di Mina è fatta di contenuti gratuiti, ma molto curati, che sono quelli resi disponibili dall’artista, in maniera intenzionale ma sempre naturale, sul digitale. Il cuore del portfolio di Mina sono i dischi, che entrano al prezzo standard di mercato, ogni anno. In aggiunta, ci sono le collaborazioni strategiche che Mina ha intrapreso con marchi che l’hanno cercata – del calibro di TIM, Barilla, FIAT – e con organi di stampa per i quali ha scritto articoli nel corso degli anni.

La maniera di porsi di Mina è sempre autentica, genuina, autoironica e mai banale. Per questo, il pubblico l’ha sempre seguita. L’ascoltatore medio di Mina oggi ha 25-35 anni, ovvero chi è uscito dai suoi teen e cerca qualcosa di diverso, qualitativo e sempre attuale. Mina non ha perso gli altri suoi fan, ma il suo spirito innovativo le ha permesso di comunicare con i giovani, decade dopo decade. La scelta dell’isolamento è stata la via che le ha permesso di curare la propria discografia in prima persona, non facendo altro, ed eliminando il noise di serate, interviste e comparsate TV. Lo sforzo di ricerca e di qualità le ha permesso di essere sempre credibile.

Il duetto con Blanco nel 2024 la dice lunga sul suo rapporto con le nuove generazioni. «Mina è avanti, agli occhi dei nuovi artisti. La generazione di oggi guarda a lei come a un’artista coraggiosa e credibile. Questo è arrivato anche ai nuovi giovani. Le scelte di Mina sono solo artistiche, e non economiche. L’arte guida sui soldi. Il focus del suo fare business è centrato sul rispetto della sua visione creativa e artistica. E questo ha pagato nel lungo periodo. La sua è una storia di coerenza, intelligenza e talento. A 85 anni, Mina è l’unica artista al mondo ad andare in Top 10 con un disco nuovo di canzoni inedite. L’unica a sottrarsi alle regole del business, ma senza essere vocal sulle sue scelte, con l’obiettivo di creare solo buzz e click facili, diremmo noi», dice Pani.

Questo focus sulla qualità della musica e questa interazione con i fan senza eccessi, decorazioni, inutili contenuti che servono solo ai social media, permettono a Mina di offrire un rapporto qualità-prezzo ineguagliabile, per un’industria che si regge solo e prevalentemente sull’innovazione. Il grosso del fatturato annuale della PDU è fatto di nuovi lanci. Il catalogo è responsabile di meno di un quarto del fatturato. Questo distingue Mina da tutte le vecchie glorie del panorama musicale italiano e internazionale, che hanno lo sguardo rivolto al passato.

Mina è solo e continuamente proiettata al futuro, distillando i contenuti gratuiti, puntando sulla qualità dei dischi e scegliendo accuratamente partnership (a pagamento, per essere chiari) a lungo termine che possano aggiungere valore all’equity di entrambe le parti. Per usare un linguaggio di business, l’architettura dell’offerta di Mina – dai contenuti gratuiti fino a quelli a pagamento, come i dischi – è snella e curata, in tutte le sue parti, per dare a ogni euro speso tutto il valore di una voce che si è dedicata alla musica, e alla musica solamente, per tutta la vita.

La Distribuzione: sempre a modo suo

La Mina prima del ritiro dalle scene aveva nella TV il suo medium di espressione. Per tutti era la ragazza del sabato sera. La TV aveva lei come simbolo e interprete principale dell’Italia del cambiamento.

La Mina del post-ritiro si è sempre e soprattutto affidata alla musica come canale di comunicazione con la propria audience. Mina produce un disco all’anno, e, a volte, il disco è doppio. Per qualsiasi artista questo è tantissimo. L’artista medio produce un disco ogni quattro-cinque anni. Il doppio può essere uno di cover e uno di canzoni nuove. Mina ha oltre 109 album all’attivo in carriera. Questo è stato possibile grazie a efficienza e focus, avendo eliminato il noise di tutto il resto.

La distribuzione e il go-to-market sono sempre stati assolutamente essenziali, cioè ridotti all’osso. La PDU produce un comunicato stampa e di solito dà la notizia al TG1. Il team ha sempre profuso uno straordinario sforzo creativo per approdare sul mercato. Mina è stata ed è meno disponibile anche nel promuovere qualsiasi nuovo lavoro. «La copertina è una parte creativa essenziale, ed è quasi l’undicesima canzone. Se vogliamo, è un’arte antica quella del controllo dell’immagine. Pensiamo ad Augusto, sempre raffigurato nella sua giovinezza. La copertina è disegnata come se fosse il cartellone, la vetrina. Deve dare impatto al messaggio dell’artista. E anche questo è frutto di una collaborazione di lungo termine, allineata attorno a valori di purezza e qualità», conclude Pani.

La PDU non è un’azienda meramente business-oriented. È una piccola impresa al servizio del talento e delle idee di Mina. Questo approccio paga solo nel lungo periodo. È il capitalismo del passato, dove il fondatore mette cuore, idee, risorse e rischio. È simile al caso di Giorgio Armani, che abbiamo trattato in un altro libro del Sole 24 Ore.

Mina non cede mai alle facili tentazioni. Mina ha sempre un suo gusto personale, una sua impronta su ciò che tocca. La PDU è un’azienda piccola, anche perché l’industria della musica è piccola in assoluto. Il mercato dei diritti applicati alla musica (dall’autore al performer, al possessore del master ecc.) si aggira sui 30 miliardi di dollari l’anno (dato IFPI, Global Music Report 2025), che per un mercato globale sono davvero pochi. Per fare un paragone, il mercato del lusso vale 1,5 trilioni di dollari (dato Bain & Company in collaborazione con Altagamma, 2024). Nella musica, molto più che nella moda, domina l’innovazione. Ogni giorno vengono lanciate 120mila nuove canzoni sulle piattaforme di streaming, dove Spotify è responsabile per circa un terzo degli ascolti in streaming. Per essere rilevanti, senza un seguito sui social poderoso, occorre puntare sulla qualità, autenticità e un rapporto con i fan fondato sulla musica prima del business. Mina ha scelto questo percorso.

La distribuzione del modello Mina è classica: dalle catene a Spotify, a YouTube per contenuti gratuiti. Il rapporto sviluppato su queste piattaforme è fatto di un toolkit senza fronzoli, puro, e che mette al centro il pezzo, più dell’artista. È musica, allo stato puro e crudo, servita sulle piattaforme fisiche di ieri e su quelle digitali di oggi.

Il Marketing: tradizionale, e poi non tradizionale

C’è stata tanta innovazione nel modo di comunicare di Mina, fin dai tempi della TV. Quello spirito d’innovazione è esploso con la libertà del ritiro dalle scene. Gli strumenti per promuovere il suo lavoro, nell’epoca post-ritiro, sono sempre scarni, e la sua squadra è costretta a innovare anche nel marketing, partendo dal poco. «Michele Di Lernia, collaboratore di Mina, riusciva a fare molto con il poco che aveva, il famoso pacchetto marketing di Mina. L’azienda è stata la prima a inventare l’espositore da banco per CD in autogrill. Vendeva il corner, come se fosse un prodotto di impulso. La copertina dell’album era pensata e diventava vetrina, o cartellone pubblicitario, come nel caso dell’album con Celentano (Mina Celentano, 1998). Nel periodo pubblico e privato, Mina ha sempre fatto scelte personali. Il suo è un fare marketing con poco, fare il massimo possibile, andando a prendere gli spazi della moda e automotive nelle grandi città per esempio», ricorda Pani.

Negli anni Sessanta, Mina nasce come una stella moderna, capace di gestire mostri sacri, da Sordi a De Sica, da Totò a Battisti, e non aveva che poco più di vent’anni. L’Italia si è identificata in questa ragazza, alta, moderna, credibile, di un talento originale. La sua innovazione e la leggerezza nel fare le cose, senza strafare, sono state il filo conduttore di quello che è venuto anche dopo. Il menu dell’innovazione di Mina è amplissimo. Mina è in continua trasformazione, artistica e fenomenologica attraverso le sue copertine; vent’anni prima di Madonna e trent’anni prima di Lady Gaga. Il suo lavoro è stato quello di capire il repertorio musicale, conoscere la musica a fondo prima, per poi proporla al pubblico in una sua versione, curata, sempre personale e di impatto.

Oggi, per esempio, viene considerata una delle migliori voci femminili di sempre dai musicisti. La stessa cosa vale come interprete per la musica napoletana, la bossa nova o la musica latina. Mina rispetta la musica. Ha un rigore filologico, ne fa uno studio profondo, ne porta un enorme rispetto, in ogni singola creazione. Quando va ad approcciarsi in maniera filologica a un genere, o a un repertorio, lo fa da musicista. Impara prima il modo di cantare di un genere, per poi farlo proprio.

Questo sistema ha sempre funzionato? Per la PDU gli anni 2005-2008 sono stati difficili. È stato il momento in cui il supporto fisico stava scomparendo, e il digitale non si era ancora affermato su larga scala. I cantanti erano tornati a esibirsi dal vivo, per fare cassa. Hanno dovuto cambiare pelle. La PDU, avviata nel 1967 dal padre di Mina, nasceva da una visione imprenditoriale solida e lungimirante. Proveniente dal mondo industriale e chimico, Giacomo Mazzini incarnava il modello del vecchio imprenditore: concreto, previdente, abituato a “mettere il fieno in cascina” prima di tempi di magra o difficili.

Resistendo così al periodo di transizione, con l’avvento del digitale il fatturato ha ripreso a crescere. E oggi che il vinile e il CD stanno vivendo una nuova stagione di riscoperta la PDU, forte di un’identità ben definita, si mantiene stabile, grazie a un equilibrio tra fisico e digitale. «Il catalogo dei vecchi successi fa il 20% del fatturato, per cui occorre innovare ogni anno, il tutto in un contesto dove bisogna lottare per farsi pagare. Bisogna andare a recuperare i diritti. È una continua battaglia quella di recuperare i soldi. Quella della musica è un’industria anomala e difficile, dominata da un’oligarchia e dai grandi del tech e dalle tre major multinazionali del disco», ammette Pani.

Il marketing più interessante per i lettori di oggi è il quello del ritiro, essenziale, schivo, basato su pochi messaggi, chiari e profondi. Un marketing da brand del lusso, anzi da quiet luxury, come direbbero gli esperti. Un marketing della privazione, fatto di poche immagini forti, eterne, astratte e autoironiche. Un marketing dal linguaggio cinematografico, che ha quasi la pretesa di voler restare, in un contesto dove tutto dura pochi secondi.

Tratto da Mina. La formula di un successo italiano di Frank Pagano, Marco Di Dio Roccazzella, Pierangelo Soldavini (Il Sole 24 Ore, in edicola e libreria)

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