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Mani in alto: Orville Peck è tornato, e vi colpisce al cuore

Icona di costume o ultimo innovatore della scena country? Il nuovo singolo (e video) ‘C’mon Baby, Cry’ dice: entrambe le cose. L’artista canadese segue le radici della tradizione USA, ma con il suo spirito queer inedito

Quello di Orville Peck è stato uno degli ultimi concerti pre-pandemia più entusiasmanti a cui ho partecipato. A Lisbona, alla Casa do Alentejo, nell’ottobre 2019 per presentare il suo primo album Pony. Chi l’avrebbe mai detto che da lì a poco sarebbe diventato un’icona mondiale di stile, dividendo il palco con gente come Diplo, Harry Styles, Shania Twain e Miley Cyrus, e finendo nelle soundtrack di Euphoria e Scream.

Bronco è il titolo del nuovo album in uscita l’8 aprile, anticipato venerdì scorso da quattro brani in anteprima e dal videoclip di C’mon Baby, Cry, il nuovo singolo, ambientato in un bar che trasuda Nashville da ogni dettaglio, con protagonista Orville vestito di luci e lustrini.

I temi del nuovo video sono gli stessi di sempre: un manipolo di cowgirl, riferimenti all’estetica camp, litri di alcol e una storia d’amore con un affascinante avventore dall’aria triste. Il brano è una ballad che affonda le radici nel country blues per approdare al dream pop più contemporaneo e incalzante. A tratti ricorda un po’ il sound di Phil Spector, ed è perfetto per la sua voce calda e profonda, capace di passare al falsetto con estrema facilità in un giro di toro meccanico.

Ma chi è Orville Peck, questo personaggio misterioso venerato dagli hipster di West Hollywood e da Trixie Mattel? Per chi non lo conoscesse ancora, basterà una sbirciata sul suo profilo Instagram: Orville è un Lone Ranger ricoperto di tatuaggi e dal volto mascherato – una specie di cugino canadese di M¥SS KETA – che ama sorprendere i fan con i suoi look strabilianti, attingendo sia dal mondo cowboy che dallo spirito skate e punk. La sua peculiarità è infatti quella di sovvertire un po’ le carte del tradizionale immaginario country: un look macho ma al contempo eccentrico, che strizza l’occhio alla scena omosessuale e queer. I simboli classici ci sono tutti, inclusi i rodei e le sale da ballo polverose, ma è tutto raccontato attraverso una lente ironica e molto teatrale.

E se la sua immagine è spiazzante e inconfondibile (è ormai un’icona da farsi tatuare sul braccio!), le sue canzoni sono tutt’altro che innovative. Orville è un musicista intimamente ancorato alla scena country, nonostante tutto. I suoi riferimenti sono Dolly Parton, Willie Nelson, Johnny Cash. Ma non solo. Si percepisce un pizzico di rock alternative, a tratti shoegaze, ed è assurdo come riesca a tenere le fila di tutte queste influenze senza perdere di credibilità.

Soprattutto nella dimensione di un live, dove si capisce subito se un artista è bravo o se ti sta prendendo in giro: Orville riesce a incollarti come un magnete alla sua chitarra, alla sua band (pazzesca!) e a farti ballare sui suoi ritmi trascinanti, fino ad emozionarti. Perché la sua voce è come un buon bicchiere di whisky: potente, vellutata e ricca di colori, capace di scaldarti il cuore nelle sere più fredde.

Eccolo che torna a guardarci, con quegli occhi blu ghiaccio. Che cosa avrà in serbo per noi, il nostro Orville, sotto quella maschera in latex e le sue lunghe frange? Di sicuro ci aspettiamo un nuovo album che confermi il suo talento, lontano dalle mode e dalle facili tentazioni. Ma soprattutto un disco dallo spettro musicale ampio, che sia allo stesso tempo monumentale e intimo, magari con qualche spruzzata di sano folk e un po’ di Scott Walker dentro.

Le carte da giocare le ha tutte in mano, e potrebbe davvero conquistare il grande pubblico, non solo quello del Coachella o di una sfilata di Dior. Basterebbe trovare quel po’ di coraggio in più per dimostrare a tutti di non essere una meteora, ma una personalità prima di tutto musicale, oltre che di costume. Se riuscirà nel suo intento, allora c’è da preparare le valigie: cappello, camicia a quadri, stivali, skate e si vola subito da lui. Yee-haw!

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