Ma quali Swifties, è Eminem ad aver inventato il concetto di fandom | Rolling Stone Italia
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Ma quali Swifties, è Eminem ad aver inventato il concetto di fandom

Arriva oggi in alcuni cinema selezionati 'Stans', il documentario che racconta l'universo dei fan/stalker dai capelli biondi ossigenati del rapper di Detroit. Cosa c'è dietro l'isteria collettiva nata attorno a Slim Shady? La recensione

Ma quali Swifties, è Eminem ad aver inventato il concetto di fandom

Eminem

Foto: Michel Linssen/Redferns

Prima delle Swifties. Prima delle Livies. Prima dei Little Monsters. Ma soprattutto, prima che la musica pop desse un nome ai fandom, c’era un rapper bianco, venticinquenne, cresciuto a Detroit, con i capelli ossigenati e la maglietta bianca che stava creando l’armata di seguaci più fedele di sempre.

Non erano semplici fan: la musica sul finire degli anni ’90 ha sfornato decine di band e artisti idolatrati come semi-divinità e amplificati dall’irraggiungibilità della TV. Quelli di Eminem erano diversi. Erano un esercito di adolescenti che per la prima volta nella vita si sono sentiti visti, rappresentati da qualcuno come loro: un ragazzetto un po’ bullo e un po’ bullizzato, strafottente, sarcastico, brillante, autoironico e totalmente outsider rispetto a una scena dominata da artisti neri e per niente accomodanti. A quei fan Eminem ha dedicato un nome (e un pezzo) entrato nell’Oxford Dictionary dal 2017: Stan, la crasi di stalker e fan.

Eminem - Stan (Long Version) ft. Dido

Come nell’omonimo video con protagonista Dido, lo stan è un ultrafan che si identifica totalmente nell’artista che segue, sconfinando dall’ammirazione ad una relazione parasociale in cui immagina di avere un rapporto intimo con l’altra persona anche se la si conosce solo attraverso uno schermo. Chi ricorda il video, non dimenticherà mai almeno due cose: lo sguardo un po’ matto del protagonista-sosia del rapper e la povera Dido incinta scagliata contro il water del bagno in cui il suo compagno-stan si stava ossigenando i capelli. Gli stan non hanno nulla della scanzonata allegria dei fan del pop e in questo Eminem è stato geniale nel trovargli una definizione così calzante. Sono ossessivi, fissativi, hanno personalità complesse che trovano sollievo nella musica perché la terapia era troppo costosa e non ancora così diffusa negli anni ’90. Di stan è ancora pieno il mondo, anche se ora hanno ventotto, trenta o quaranta anni, ed è da questa celebrazione che parte il nuovo documentario di Paramount dedicato ad Eminem (in Italia da oggi al cinema, l’anno prossimo su Paramaount+), o meglio, alla sua fanbase: quando ci si sente visti da qualcuno, proverai gratitudine verso quell’artista per sempre.

In un’ora e mezza circa (come direbbe Matteo Bordone, una durata per cui bisognerebbe mandare i biglietti d’auguri a Natale al regista), Stans non racconta la parabola dell’artista, ma mette i fan al centro con tutte le loro stranezze e prova a indagare le motivazioni profonde dietro l’isteria collettiva generata da quel newbie passato dall’essere un totale sconosciuto ad idolo di una generazione. I fan intervistati sono tra i più diversi che possiamo immaginare: ci sono ventenni trans, afroamericani cresciutelli, sosia francesi che vengono scambiati per l’originale, brave ragazze con la riga di lato e scozzesi completamente ricoperte di tatuaggi a tema Slim Shady.

Ognuno ha scoperto e ascoltato Eminem ad un’età diversa e da un angolo del mondo differente, ma tutti hanno preso un pezzo della storia di Marshall Mathers e l’hanno fatta propria. Perché Eminem è una di quelle persone capaci di diventare narrazioni universali, archetipiche: il rapporto altalenante con la madre, l’assenza del padre, il matrimonio giovane e tossico, la personalità neuro-divergente semplicemente considerata “strana”, gli Stati Uniti profondi e industriali, la musica come unico sogno possibile, l’atteggiamento di chi del mondo ha capito che bisogna prenderlo in giro per essere presi sul serio. La differenza tra Slim Shady e i suoi ascoltatori-stan è che lui ha la penna più irriverente della scena, la lingua più veloce della storia e riesce a rendere il disagio una bandiera da sventolare con orgoglio.

STANS - Official Trailer

Le interviste tirano fuori le storie personali dei fan, che hanno tutti in comune con Slim una qualche forma di dolore, sono dei sopravvissuti a se stessi. C’è chi ha perso nipotini, chi è stato un alcolista, chi ha subito bullismo, una carrellata di casistiche che se fossero una serie TV solo Sam Lavinson potrebbe raccontare. Eminem fa da sfondo a tutte queste storie, apparendo attraverso pochi materiali d’archivio e qualche ripresa in studio. È schivo, introverso, quello che ha da dire lo fa principalmente attraverso la musica, ieri come oggi. I drammi personali di Eminem o li conosci o non li vedi. Si parla sì dell’alcolismo e della dipendenza da farmaci, che l’hanno portato alla scrittura di Recovery. Ci sono le immagini del periodo in cui le dipendenze l’hanno gonfiato e sedato perché un anno dopo aver girato il video di Lose Yourself, il compagno d’infanzia e di palco Proof è morto in una sparatoria a Detroit. C’è il rapporto con la figlia, la sua wake-up call nei periodi più scuri. Ma nessun aspetto della sua vita personale o artistica viene mai approfondito né viene raccontato il processo creativo di un talento naturale che tra gli anni ’90 e gli anni 2000 ha cambiato per sempre la musica rap.

Questo è il vero neo di Stans o, semplicemente, il punto di vista che si è scelto di dare al racconto: è un documentario sui fan per i fan, ma dell’artista non scopriamo nulla di più di quello che già sappiamo. È un viale dei ricordi un po’ sbiadito, attraverso cui ogni millennial che si rispetti rivive la sua fase pantaloni baggy, cappellini Jordan e pomeriggi a guardare TRL, in cui era la TV a decretare i miti del momento al posto dei social, in cui si contavano ancora le copie dei dischi venduti e le major avevano il potere di mandare un artista in orbita. Pochissime sono anche le testimonianze dei suoi collaboratori, Dr.Dre, Jimmy Iovine ed Ed Sheran su tutti, che poco aggiungono rispetto al fenomeno corale che Eminem è stato in grado di creare. Tutto è lasciato alla passione dello spettatore per l’artista.

If you know, you know sembra volerci suggerire Stans: il fenomeno Eminem non lo puoi davvero spiegare perché è stata una congiuntura astrale di momento storico, qualità artistica e personalità incredibile. Lo puoi al massimo rivivere sulla tua pelle e domandarti se esisterà mai un altro artista non del mondo pop capace di creare un senso di appartenenza così viscerale.

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