L’ultimo Natale innocente dei Beach Boys | Rolling Stone Italia
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L’ultimo Natale innocente dei Beach Boys

Stimolato dal ‘Christmas Gift’ di Phil Spector, nel 1964 Brian Wilson incide il suo disco natalizio. È l’addio gioioso e insieme malinconico alla giovinezza, prima delle complicazioni dell’età adulta

L’ultimo Natale innocente dei Beach Boys

I Beach Boys nel 1964: Dennis Wilson, Al Jardine, Brian Wilson, Carl Wilson, Mike Love

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

I Christmas albums sono oramai una prassi, una strategia di mercato bella e buona, ma esistono dischi natalizi che aprono la strada a sperimentazioni sonore come i deliqui dei Rolling Stones (il titolo originale di Their Satanic Majesties Request era Cosmic Christmas) e dei Beatles con le loro pubblicazioni indirizzate al fan club. C’è un’altra band fondamentale che normalmente non viene accostata al Natale, i Beach Boys. Che il gruppo di Brian Wilson abbia pubblicato un disco natalizio nei ’60 non è cosa nota a tutti, eppure The Beach Boys’ Christmas Album è una discreta bombetta che sorprende. Prima di tutto perché siamo nel 1964 e sono ancora lontane le esplosioni psichedeliche e il pop al limite del perfezionismo autistico dei grandi capolavori Pet Sounds e Smile, l’immaginario è ancora saldo sui marosi delle spiagge. E poi perché è il settimo album del gruppo, che è quindi vicino alla maturità musicale.

Brian Wilson viene folgorato dall’ album A Christmas Gift for You from Philles Records di Phil Spector, che nel 1963 tratta gli standard natalizi con il suo wall of sound, ottenendo un disco clamoroso a livello di potenza e arrangiamento, tanto che – oltre al grande successo riscontrato all’epoca – ancora si trova nelle classifiche dei dischi da ascoltare prima di morire. Quel modo di usare gli strumenti, di orchestrare, di comprimere e sovrapporre fino a saturare accende una lampadina nella testa di Brian, tanto che l’album di Spector diventa il suo preferito di sempre. Ha anche partecipato alle session come pianista per Santa Claus Is Coming to Town, ma viene depennato da Spector che non ne apprezza l’esecuzione «sotto gli standard».

Forse anche a causa di questo rifiuto, Wilson decide di dire la sua e prende la palla al balzo per attuare degli esperimenti altrimenti impossibili nella forma dei Beach Boys di allora. Innanzitutto, non si limita a proporre solo cover di classici natalizi, che sono sette, con i restanti cinque che sono brani originali a tema. Ingaggia Dick Reynolds, l’arrangiatore dei Four Freshmen, una band di cui è quasi feticista, per orchestrare gli standard (usando un’orchestra di 41 elementi), occupandosi in prima persona degli inediti. Tra questi c’è un pezzo già pubblicato in una versione più colorita che nell’album viene asciugata: Little Saint Nick era uscito come singolo nel natale del 1963 diventando una hit minore negli Stati Uniti. Anche in questo caso l’ispirazione viene dall’opera natalizia di Spector, che in quel periodo era in fase di progettazione. L’esperimento del singolo motiva Brian ad andare fino in fondo e ad alzare l’asticella.

Nonostante il primo lato di The Beach Boys’ Christmas Album sia realizzato con una strumentazione rock piuttosto classica e minimale, lo sviluppo musicale, che nelle melodie e nelle armonizzazioni osa per la prima volta un pproccio arty più complesso e ambizioso, fa pensare a un viaggio malinconico in cui si sente il sorgere della figura dell’adult child che sarà alla base della poetica di Pet Sounds e di Smile (dischi nei quali l’intimismo e l’introversione non sono poi diversi da un raccoglimento sotto l’albero). Gli arrangiamenti dei classici natalizi sono clamorosi, l’uso dell’orchestra è lussureggiante quanto stuporosa e ci raggiungono gli echi del futuro sviluppo sonico (se pensiamo a Fall Breaks and Back to Winter, con le dovute differenze di visionarietà, è chiaro di cosa parliamo).

Il punto di riferimento è ancora una volta il wall of sound di Spector che in questo album viene imitato, studiato, guardato dalla prospettiva dell’implosione più che dell’esplosione, posando la prima pietra del nuovo stile dei Beach Boys. Soprattutto nell’uso degli overdub vocali e dell’effettistica (come la stereofonia usata in Little Saint Nick, assolutamente pioneristica), nella pratica dei loop e della capacità di usare un registratore quattro tracce come se ce ne fossero cento (citando Bob Dylan quando si esprimeva a proposito di Brian Wilson). In più la performance di voce solista di Brian nella cover di Blue Christmas è strepitosa, tanto che porterà la radio star Jack Wagner a domandargli se fosse l’inizio di una nuova carriera, e dimostra che i Beach Boys hanno in quel momento una potenzialità vocale che vuole saltare la staccionata del formato surf.

A proposito di formato, il singolo The Man with All the Toys dura solo 92 secondi, con un andazzo più weird che non si può tra armonie bizzarre, cori di “oh” stranianti e una sfumata che ricorda le “macetate soffici” del finale di Good Vibrations: segno che i Beach Boys sono attenti tanto alla sintesi quanto al dilatamento temporale (la carol song We Three Kings of Orient Are dura per contrasto più di quattro minuti, la canzone più lunga mai registrata dalla band fino ad allora), pronti a sfornare una musica che non abbia limiti (cosa che sarà il problema principale della maniacalità di Brian Wilson, tanto sparato nell’idea di infinito musicale da perdersi in esso).

Non a caso ci sono altre affinità col periodo che dal ’66 al ’67 apre alla fase “barocca” del gruppo. Innanzitutto la copertina, scattata da quel George Jerman che li ritrarrà allo zoo sulla iconica copertina di Pet Sounds (e paradossalmente, realizzata tra l’ottobre ’63 e il giugno ’64, praticamente indossavano maglioni in piena estate). A ridosso dell’uscita dell’ album Brian Wilson si fumerà il suo primo spinello, seguito da un esaurimento nervoso che lo costringerà a non poter seguire la band in tour. È in pratica l’inizio dell’odissea estatica di quello che è ancora oggi il genio del pop per antonomasia.

Nonostante all’epoca sia stato un grande successo arrivando al sesto posto della classifica americana e sia considerato da molti critici come uno degli album natalizi più importanti del pop tutto, The Beach Boys’ Christmas Album rimane una specie di tesoro occulto e sottovalutato al di fuori dei canoni del genere natalizio. Più che essere un disco per le vacanze invernali è la fotografia di uno stato d’animo che può avere ancora un barlume di innocenza proprio nel Natale, visto come cristallizzazione di una purezza che l’età adulta si porta via brutalmente.

Wilson proverà ancora a trattare il tema del Natale in un album dei Beach Boys, precisamente nel 1977, probabilmente per avere un pretesto a nuove spensierate sperimentazioni (d’altronde il lungimirante Love You è proprio di quell’anno), ma la casa discografica lo rifiuterà con sospetto (Wilson si rifarà da solista nel 2005 con What I Really Want for Christmas) e i Beach Boys lo ricicleranno per la raccolta Ultimate Christmas del 1998.

Poco male: ci resta The Beach Boys’ Christmas Album che è una strenna insuperata per le orecchie attente. D’altronde chi se non Brian Wilson è “l’uomo con tutti i giocattoli”?

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