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L’ultima frontiera dei fan delle popstar: difenderne i piani marketing

Stagisti digitali a titolo gratuito, lodano il «duro lavoro» dei loro milionari adorati e bacchettano chi non s’allinea alle loro strategie commerciali. Il caso di 'Renaissance' di Beyoncé

Foto: Mason Poole/A.M.P.A.S. via Getty Images

Succede che i distributori inviino ai negozi di dischi le copie fisiche dell’album di Beyoncé Renaissance e che questi lo mettano in vendita con qualche giorno d’anticipo. Non è la prima volta che accade. La distribuzione dei supporti fisici non è controllata e istantanea come quella digitale e in un mondo in cui le vendite dei CD sono in molti casi irrilevanti persino il nuovo album d’una megastar può finire anzitempo sugli scaffali. Di solito se ne accorgono pochissimi fan fortunati che ancora s’aggirano nel mondo reale, s’imbattono nel CD due o tre giorni prima dell’uscita ufficiale e lo comprano. Nel mondo digitale tutti aspettano la mezzanotte o l’una tra giovedì e venerdì per celebrare l’arrivo dell’opera ultima dell’inarrivabile star. All’una e mezza il sicuro verdetto: è capolavoro.

Ieri c’è stato lo spillover dal mondo reale a quello digitale. Alcuni fan hanno trovato e comprato Renaissance nei negozi francesi e hanno avuto la malaugurata idea di twittare la foto del CD, delle copie sugli scaffali del negozio e dello scontrino (15 euro e 99). Una delle persone che l’hanno fatto, tale Bianca, ha messo in chiaro che non avrebbe copiato e fatto girare l’album. Ha comunque cancellato il tweet con la foto di Renaissance, non si capisce se stufa dei «ciao bella, me lo rippi?» o dei «brutta sciagurata, stai mandando all’aria i piani della Suprema».

Intanto girano per i social anteprime delle canzoni, chissà se si tratta delle originali, fatto sta che gli utenti si dividono tra chi le ascolta, chi si rifiuta di farlo, chi è combattuto e perciò soffre tanto, ma tanto tanto tanto. Ne parlano i siti di news, ne parla la CNN, Renaissance è pur sempre uno degli album pop più attesi dell’anno. Arriva la reazione dei sudditi di Queen Bey, centinaia di tweet di persone evidentemente con un sacco di tempo a disposizione che s’affretta a far sapere al mondo che è uno schifo, che è uno scandalo. Non solo il fatto che girino file audio dell’album, quello è un reato, siam tutti d’accordo. È uno scandalo che qualche suddito infedele ascolti l’album prima della data indicata dalla Regina. L’aggettivo su cui c’è maggior consenso è “irrispettoso”.

Il punto non è: aspetterò d’ascoltare la versione originale in buona qualità audio in modo da godermi pienamente l’esperienza. C’è chi lo scrive ed è ragionevole. Il punto è quell’aggettivo: irrispettoso. La sudditanza alla campagna marketing di Beyoncé è riassunta dalle istruzioni inviate dal fan club Beyhive ai suoi membri: «Avete aspettato sei anni e non potete aspettare altre 30 maledette ore? È pazzesco. È irrispettoso nei confronti di Beyoncé e del suo duro, duro lavoro». Lei, si legge, «vuole che lo si ascolti tutti assieme quando lo decide lei. Se la data di pubblicazione è questo venerdì un motivo c’è. Non ha scelto un giorno a caso». Il punto: «Vogliamo ascoltarlo quando lei vuole che lo si faccia».

Per un attimo ho pensato a un atto di sottomissione parasessuale: gli slave con le copie del CD per le mani e la master che li frusta e intima loro di non togliere il cellophane. E invece è adesione a un piano commerciale definito in un ufficio di Los Angeles o in una villa di Bel Air. E quindi mi domando: quand’è che i fan sono diventati talmente appassionati di marketing da diventare cortigiani digitali, utili soldatini che corrono in soccorso dell’artista se qualcuno ne scompiglia anche solo vagamente i piani? Possibile che il legame emotivo a una star arrivi a questo?

Il fanatismo esiste dacché c’è il pop. Erano fanatiche le fan dei Rolling Stones che bagnavano le sedie durante i concerti, lo erano i fan di Eddie Vedder che lo trattavano come un mezzo profeta, lo sono quelli di Bob Dylan che ancora frugherebbero nella sua spazzatura per avere indizi sulla vita dell’Altissimo. I rapporti di reciproca utilità tra case discografiche e fan club ci sono sempre stati. Qui però c’è qualcosa di diverso e quello di Beyoncé non è certo l’unico caso. Sui social c’è sempre un qualche utile volontario appartenente a un esercito, a una army, a un gruppuscolo di combattenti nella Sierra Maestra del pop pronto non solo a partecipare a campagne marketing, ma anche a bacchettare chi non vi si allinea. Mi chiedo quando sia occorsa questa trasformazione, questa capitalizzazione dell’adorazione.

È successo, forse, quando le scelte strategiche sono entrate a far parte della narrazione sulla musica e hanno cominciato a contribuire in modo determinante a definire i personaggi? Un esempio: Taylor Swift non è più solo l’autrice di Folklore e di 1989, è anche l’artista audace che ha sfidato la sua ex casa discografica pubblicando versioni risuonate e ricantate dei suoi album, per riappropriarsene. In questo senso, Beyoncé è un fenomeno e, paradossalmente, Renaissance è da questo punto di vista la sua uscita meno interessante da una decina d’anni a questa parte. L’artista che ha pubblicato senza alcun preavviso Beyoncé nel dicembre 2013, tanto da far coniare l’espressione “pulling a Beyoncé”, e che ha strutturato il successivo Lemonade come visual album disponibile per un certo periodo di tempo su una sola piattaforma, ha lanciato Renaissance in modo tutto sommato tradizionale: un singolo come antipasto; post sui social per comunicare titolo, copertina, tracklist e spirito dell’opera; una cover story con una grossa rivista. L’incidente delle tracce disponibili su Internet è l’unico evento movimentato in un percorso d’avvicinamento alla pubblicazione piuttosto ordinario.

Il fatto che le scelte strategiche accendano gli animi dei fan forse ha a che fare anche col mezzo in cui si esprimono. Quando ho cominciato a frequentare Internet mi sono stupito del tono spudorato e sfidante col quale gli utenti si rivolgevano ai cantanti nei commenti sui social. Forse l’abbiamo dimenticato, ma nel mondo reale c’erano i fan che correvano dietro ai loro idoli, quelli che li ignoravano e poi i Mark David Chapman, che noi persone normali (chiedo scusa per la parolaccia) consideravamo psicopatici. I social hanno creato una nuova categoria che nel mondo reale corrisponderebbe suppergiù a gente che fermerebbe un cantante per strada per dirgliene quattro sul suo orientamento politico, su quella tale dichiarazione fatta alla stampa, sull’ultimo abito indossato in tv. Detto in breve: disagiati.

Siccome Internet è un posto dov’è tutto bianco o nero, dove vince la polarizzazione delle opinioni, s’è sviluppata parallelamente e di segno opposto l’automercatizzazione dei fan, la cui devozione verso l’idolo non si esplicita più attraverso la contemplazione, l’emulazione o il desiderio sessuale, ma tramite l’adesione alle sue strategie, comprese quelle commerciali. Stiamo diventando tutti #TeamQualcosa ossequiosi persino verso i riti delle release dates. Che tempi viviamo. Anni fa volevi essere la rock star oppure volevi scopartela, oggi vuoi diventare lo stagista del suo Marketing Assistant. Ovviamente senza compenso.

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