Rolling Stone Italia

L’ossessione dei fan per i propri idoli nasce dal disagio e dalla solitudine?

Comportamenti problematici, minacce ai “rivali”, social trasformati in campi di battaglia, relazioni sempre più parasociali. Il fandom è andato oltre. Chi studia il fenomeno dice che c’entrano la nostra vita infelice e le tante, troppe ore che passiamo online

Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US

Un mesetto fa, nel bel mezzo della rissa online fra Nicki Minaj e Megan Thee Stallion, TMZ ha rivelato che il cimitero in cui è sepolta la madre di quest’ultima ha dovuto adottare misure di sicurezza stringenti dopo che il luogo è diventato oggetto di doxing sui social da parte di una delle Barbz, le fan di Minaj. Nicki è estranea alla faccenda, ma è un segno di quanto sia caduta in basso la stan culture. Molti si stanno domandando se una simile fissazione per le celebrità non sia sintomo di una qualche forma di disagio.

La stan culture è una forma ossessiva di fandom: i fan piangono per gli snippet di Playboi Carti, fanno partire la musica di Minaj mentre dormono per farla arrivare prima in classifica, acquistano compulsivamente qualsiasi cosa Ye o Travis Scott vendano. I social media hanno offerto a questi fan un campo di battaglia digitale in cui difendere i loro idoli. Chi critica un artista corre il rischio di essere bersaglio di doxing e molestie online. Roba del genere va oltre l’apprezzamento per la musica, è evidente.

In quanto espressione d’un comportamento parasociale nell’ambito della cultura pop, la stan culture non è una novità. Stan di Eminem, che parla di un fan ossessivo e omicida, è una canzone nel 2000, anche se il testo non cita Internet nemmeno una volta. I live streaming hanno offerto un accesso un tempo impensabile alle vite degli artisti che abitualmente utilizzano Instagram e Twitch per coinvolgere i fan. È il genere di attività che fa sì che un artista si trasformi agli occhi del fan da poster su un muro in una persona con cui si può interagire, rafforzando il legame parasociale.

È la stessa dinamica che si mette in moto su X, dove le Barbz di Nicki Minaj festeggiano quando i loro tweet vengono apprezzati o citati dalla rapper, una cosa particolarmente evidente nel dibattito su Hiss di Megan e Big Foot di Nicki, coi sostenitori più accaniti che hanno fatto a gara per dimostrare di essere pronti alla battaglia. Sono interazioni esasperate e sono diventate talmente rilevanti che alcuni potrebbero, e a pieno titolo, diventare protagonisti dell’imminente film-documentario Stans, dedicato ai superfan e prodotto ovviamente da Eminem.

Sally Theran, che insegna psicologia al Wellesley College ed è una psicologa abilitata, e Azadeh Aalai, docente associata di psicologia al Queensborough Community College e professoressa di psicologia presso la NYU, spiegano a Rolling Stone che gli studi sul legame tra fandom ossessivo, social media e musica sono ancora in corso. Theran sottolinea che le relazioni parasociali con i propri idoli succitate sono unilaterali, nel senso che esistono solo nella testa dei fan. «Capita che si facciano conversazioni immaginarie coi propri idoli. Si immaginano i consigli che darebbero, è un po’ come averli per amici».

Non che le relazioni parasociali siano sempre e necessariamente negative. Jimmy Sanderson, all’epoca professore dell’Arizona State University, ha pubblicato nel 2009 uno studio sull’attività del sito web ufficiale dei New Kids On The Block che esplorava la cosiddetta “manutenzione relazionale” tra gruppo e fan. L’analisi ha dimostrato che «i membri del pubblico avevano in comune il modo in cui i NKOTB ne hanno plasmato i valori morali ponendosi come meccanismo di supporto fondamentale durante le esperienze difficili della vita».

È vero che la serie di Donald Glover Sciame è basata su una fan ossessionata da un’artista vagamente ispirata a Beyoncé, ma secondo Theran Queen B è una figura positiva per la fanbase. «È autorealizzata. È una potenza. È l’artefice di ciò che ha ottenuto. Se sei una quattordicenne e pensi a chi ti piacerebbe essere, iniziare a interiorizzare alcune delle caratteristiche di Beyoncé potrebbe essere utile e importante».

Secondo Aalai, le figure che hanno maggiori probabilità di attirare relazioni parasociali sono quelle abili nel suscitare un senso di connessione coi fan. I testi di Taylor Swift, ad esempio, hanno stimolato una «fanbase forte e leale», l’immagine di Britney Spears sui social, poco patinata, «aumenta la percezione che sia autentica, dando la sensazione di conoscerla davvero, un elemento che può rafforzare il legame emotivo che si crea. È una delle proprietà tipiche dello sviluppo di una relazione parasociale più profonda».

Le persone maggiormente predisposte alle relazioni parasociali sono in genere i più giovani (e quindi più suggestionabili) e/o chi ha pochissimi rapporti interpersonali. Entrambe le professoresse affermano che l’isolamento del lockdown ha accentuato il comportamento parasociale in modi che i ricercatori stanno ancora studiando. «L’uso dei social media e, in genere, l’utilizzo della tecnologia è aumentato soprattutto nelle fasi iniziali della pandemia, quando le persone erano in gran parte isolate. E questo potrebbe aver intensificato ulteriormente questo tipo di legame», dice Theran. «Molte persone, quando si sentono sole e isolate, guardano alle figure pubbliche per trovare un qualche appiglio. Per loro può essere utile una relazione immaginaria in cui soddisfano dei bisogni. Non può sostituirne una reale, di persona, ma rappresenta una sua integrazione».

La cura per la solitudine è quindi lo standom ossessivo? Probabilmente no, ma alcuni si aggrappano a qualunque cosa possa aiutarli a sopravvivere all’epidemia di isolamento post-quarantena. Molte persone si sono rinchiuse, durante il lockdown, e non si sono mai riadattate a vivere nel mondo esterno, mentre altre non possono farlo per motivi di salute. Un recente articolo dell’Atlantic ha analizzato il modo in cui le interazioni nella vita reale sono state sostituite dall’incremento delle ore passate davanti a uno schermo. Non per nulla streamer, tiktoker e podcaster sono fenomeni in ascesa: stanno traendo vantaggio da una generazione che trascorre da sola una quantità impressionante di tempo. Il sindaco di New York Eric Adams vuol far causa ai social per aver «alimentato la crisi nazionale che investe la salute mentale dei giovani».

Il fandom quando diventa ossessivo merita quindi di essere classificato come malattia mentale? È troppo presto per dirlo, rispondono Theran e Alai, gli studi sono troppo recenti. «Potrei ipotizzare qualcosa di simile al disturbo ossessivo-compulsivo come diagnosi provvisoria, che è un po’ il punto di partenza della maggior parte delle diagnosi», dice Theran, che invita a distinguere «una persona normale che è super interessata a una figura mediatica e una che va oltre. Quello che vogliamo identificare è uno schema di comportamento che va a interferire con la qualità della vita. E alla maggior parte delle persone con interazioni parasociali questo non accade».

«Dovrebbero esserci molti studi per arrivare a identificare una patologia o un disturbo specifico», dice Aalai. «Penso che resterà ancora una questione marginale nel quadro delle relazioni parasociali problematiche. Non credo che la relazione parasociale di per sé inneschi fenomeni negativi, a meno che non si parli di una figura pubblica problematica».

Secondo Theran, la diffusione di Instagram e Twitter ha aumentato la percezione della raggiungibilità dei personaggi pubblici. «Non tutti riescono ad accettare che i social delle loro celebrità preferite sono spesso gestiti da professionisti e che quindi non stanno interagendo con la persona a cui sono interessati». Aalai sottolinea il fatto che i social, e in particolare X, hanno creato community che intrattengono relazioni parasociali con i personaggi pubblici. «La relazione parasociale è tra l’utente e il personaggio famoso, ma può essere rafforzata ulteriormente o ampliata in presenza di una community numerosa di fan». Non sempre è un male: incontrare altre persone che amano lo stesso artista può essere positivo per chi soffre di solitudine. Anche il fatto che i fan agiscano per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle uscite dei loro beniamini lo è, per lo meno fino a quando non trasformano le loro timeline in zone di guerra digitale.

Sì, perché oggi i beef non coinvolgono più solo gli artisti, ma anche le rispettive fanbase, come si è visto su X e Reddit nei casi di Nicki vs Cardi B o Drake vs Kanye. C’è chi ha lanciato una “emergenza Swiftie” esortando gli altri fan ad ascoltare in streaming Texas Hold ’Em di Beyoncé per evitare che il “nemico” Kanye West andasse al primo posto in classifica. Kanye ha commentato la cosa in un post su Instagram, poi cancellato, dicendo agli Swifties che «non sono vostro nemico, ehm, ma non sono nemmeno vostro amico, LOL».

I peggiori esempi di relazioni parasociali si manifestano nei fan affetti da quelle che Alai chiama «vulnerabilità di fondo». Come esempio limite, cita l’ex presidente Donald Trump che ha incitato i suoi sostenitori a prendere d’assalto il Campidoglio il 6 gennaio 2021. Ma anche i fan di Kurt Cobain che si sono suicidati come ha fatto lui nel 1994. «La maggior parte dei fan dei Nirvana non lo farà mai. Stiamo parlando di un segmento molto specifico dei suoi fan, già emotivamente instabili, che lo hanno emulato».

Ci sono esempi meno gravi, ma comunque preoccupanti. Le Barbz sono famose per le molestie agli artisti rivali e per il doxing contro chi critica la loro rapper preferita. A novembre, la cantante ha pubblicato una story su Instagram per chiedere «di non minacciare nessuno a mio nome, sia su Internet che di persona, che sia per scherzo o meno. Io non lo faccio e non l’ho mai tollerato».

Il comportamento problematico, osserva Aalai,«non è per forza incoraggiato dal personaggio pubblico. A volte si tratta semplicemente di fanbase che si prendono la briga di assumere questi atteggiamenti e, forse, anche di usare il loro fandom come schermo per mascherare comportamenti problematici o antisociali». Si potrebbe quindi sostenere «che molti di questi comportamenti vengono normalizzati sui social media», citando certi fan di sesso maschile che perseguitano le donne che hanno accusato di violenza i loro artisti preferiti. Ma è difficile trarre conclusioni «perché non abbiamo ancora i risultati degli studi necessari per inquadrare queste situazioni specifiche».

Le due docenti concordano sul fatto che le relazioni parasociali non sono intrinsecamente problematiche e possono anzi portare dei benefici, ma divergono leggermente su come classificare i fan estremi che fanno doxing e molestie nel nome del loro beniamino. Per Theran quest’ultima «è una categoria a parte rispetto a chi investe in relazioni parasociali». Aalai afferma, invece, che si tratta in buona sostanza di una versione distorta del comportamento parasociale, alimentata da situazioni pregresse: «Direi che la possibilità che diventi un atteggiamento ossessivo o problematico è abbinata a una predisposizione di fondo per le malattie mentali».

Le relazioni parasociali, lo standom violento e la natura dei social media basati sulla ricerca di attenzione si fondono fino a rendere il fandom musicale un campo minato. I litigi fra artisti si trasformano in sfide tra fanbase a chi ce l’ha più lungo. Chiunque muova una critica legittima a un artista si espone a potenziali attacchi. Ecco perché, secondo Theran, le figure pubbliche dovrebbero responsabilizzarsi circa il modo in cui coinvolgono e incitano i fan, un po’ come Taylor Swift che ha detto ai suoi di non importunare i suoi ex.

«Un fandom tanto devoto rappresenta un superpotere, sta all’artista decidere come usarlo», dice Theran. «La storia giudicherà chi lo utilizza in modo distruttivo».

Da Rolling Stone US.

Iscriviti