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Liberato, ‘sta bachata è nu shock

Nella nuova 'E te veng' a piglià', pubblicata ovviamente il 9 maggio, l'artista rimescola le carte anche dal punto di vista visivo. Ma un po' si sente la mancanza dell'audacia e del sapore street di altri singoli

Così al suo quinto nove maggio, Liberato ha pubblicato il potenziale pezzo dell’estate. O perlomeno quello che, all’interno della sua discografia, più si avvicina per stile, sonorità e intenti ai brani che trovi in radio a luglio. Nel bene e nel male. Perché anche lo stesso Tu t’e scurdat’ ‘e me (secondo singolo in assoluto per lui) era diventato uno degli inni della bella stagione del 2017, ma lì il meccanismo, che poi è il motivo del successo del progetto insieme alla campagna di comunicazione galattica, funzionava perché intorno c’erano un immaginario romantico-street creato da zero e l’unione, a livello musicale, di mondi lontani, per una sorta di ibrido inedito per l’Italia. Questione anche di freschezza, quindi.

Stavolta è diverso: questa nuova E te veng’ a piglià arriva che tutto ciò è già assodato, e certo non rinnega quel modo di intendere una canzone; però gira a largo dalle sperimentazioni tipiche delle uscite più recenti del suo autore, così come dalle sorprese. Nel senso: pur con le sfumature del caso, per la prima volta per lui parliamo di una bachata. E, superata l’attesa messianica, l’airplay ringrazia già da ora, proprio perché si tratta di un episodio molto in stile 2021, insomma meno freak, paradossalmente (visto il suo autore) collaudato: come tale funziona, ma non ti spettina.

Certo, l’effetto novità non manca: banalmente perché la crasi fra neomelodica, tech-house e trap non aveva mai visitato in maniera tanto esplicita i suoni latini; e poi perché il videoclip non è diretto come sempre da Francesco Lettieri (al lavoro sul suo prossimo film Lovely Boy), che finora ha contribuito in maniera decisiva all’estetica del progetto, ma da Enea Colombi. Che per la prima volta per Liberato non lo ambienta a Napoli, ma in Lombardia, e pur con un lavoro sulla fotografia enorme e coerente ai codici del caso si tiene più sul classico – lo stesso simbolico ma meno narrativo – rispetto agli standard. Ma sono appunto aspetti secondari.

Così come va detto che, al di là dello smaccato potenziale radiofonico (che c’è ma non è un dramma in sé), Liberato non ha sacrificato la propria cifra. Vuoi perché il ritornello ballabile arriva dopo uno stop and go col solito bridge magistrale (a proposito: ma che talento è a scriverli?), vuoi perché certi echi latini – tipo le percussioni iniziali, così famigliari, direi persino riconoscibili, da cliché – sono compensati da atmosfera house, cassa, vortice di voci pitchate messo da tappeto alla produzione scheletrica. E soprattutto, dal richiamo costante alla tradizione italiana nel testo da melodramma, da romantico di periferia. Versi come “comm’è brutto ‘a cantà / cu n’eclisse ‘int’ô core” colpiscono perché trovano un punto di contatto credibile fra cantautori e neomelodici.

Eppure, nonostante ciò, rimane il pezzo meno “strano” e di rottura sentito da queste parti. In primis per il recupero della forma-canzone dopo averla lasciata; e poi perché dà l’impressione che Liberato si sia cimentato coi suoni del momento, e basta. Risultando rassicurante, estivo. Dimenticandosi il taglio internazionale, passando per il tipico pezzo latino “visto da qui”. Da battaglia, si direbbe. Pronto per le feste in spiaggia, ma – al contrario di tre anni fa – allineato al resto dei contendenti. Non c’è lo scatto, il colpo che rendeva Tu t’e scurdat’ ‘e me (per citare un’altra hit) un outsider e al tempo stesso un brano-killer, che faceva chiedere a tutti il perché di quel successo. La risposta, qui, è fin troppo evidente.

Non fosse che, oltretutto, la colonna sonora di Ultras (2020) apriva prospettiva ampie, sperimentali, vicine al clubbing, a determinati episodi – per rimanere nel giro – della parte “liquida” di Cosmotronic di Cosmo. Ora si cerca la hit radiofonica senza paura come mai prima. E la sorpresa – se di sorpresa si può parlare – è tutta qui, in questa scelta opposta al passato. Del resto, il brano ha tutto per essere un fenomeno da ascolti, ma anche per suonare come un passo indietro rispetto agli ultimi episodi.

Non voglio dire che il prossimo approdo sia la noia, pure perché l’assenza-presenza del personaggio sembra funzionare gran bene e non figliare eredi interessanti. Il punto, semmai, è che un passaggio così sa di normalizzazione. E però, visto il potenziale del progetto e l’impatto mediatico, anche di occasione persa. Liberato sa essere pop senza che la sua musica lo sia davvero; riesce a prenderti in contropiede, a farti scoprire riferimenti a cui non ti saresti mai avvicinato e a farlo con tanti, in maniera trasversale. Questa rilettura piaciona di una moda può servire da sottofondo per l’estate, non certo per farci innamorare di lui.

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