Le lettere inedite di Luigi Tenco: «Nessuno mi ha mai considerato un cretino» | Rolling Stone Italia
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Le lettere inedite di Luigi Tenco: «Nessuno mi ha mai considerato un cretino»

Un nuovo libro de Il Saggiatore riunisce materiale del cantautore tra cui scritti alla madre, alla fidanzata (segreta) Valeria e una lettera aperta scritta a pochi giorni dalla morte. Ne pubblichiamo tre estratti

Le lettere inedite di Luigi Tenco: «Nessuno mi ha mai considerato un cretino»

Luigi Tenco canta 'Ciao amore ciao' al 17° Festival di Sanremo, 26 gennaio 1967

Foto: Mondadori via Getty Images

Lettera alla madre

6 aprile 1963

Cara mamma
Luigi cattivo non ti scrive molto sovente in quanto è a Roma per concludere alcune questioni che lo tengono occupato anche più che a Milano. D’altronde tu lo sai che io sto bene e che al minimo accenno ti farei subito sapere che cosa mi serve. Se non scrivo è perché non ho notizie importanti. Comunque sarò a casa la settimana entrante, per Pasqua e così mi racconterai di come vanno le cose a te e alla tua salute. Uno di questi giorni prima di partire, telefonerò ad Evelina. Non so se avrò tempo e voglia di andarla a trovare, ma telefonarle le telefonerò senz’altro. Roy è sempre qui a Roma in quanto forse verrà assunto da una ditta di qui. Non è sicuro ancora comunque conviene tentare. Ci vediamo presto comunque. Cerca di stare bene e non essere preoccupata (per me almeno).
Ciao. Bacioni da Luigi

Lettera a Valeria

16 gennaio 1967

Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace… a volte sono ingiusto, egoista, arrogante. Penso ai miei problemi e non sempre mi rendo conto di ciò che hai passato e stai passando. Potrai perdonarmi, amore mio? Il fatto è che io, io non vorrei mai che tu ti allontanassi da me; quando questo succede mi sento così spaventato e solo come se tutta la solitudine del mondo mi pesasse sulle spalle. Sarà l’ultima volta! Al diavolo anche Sanremo, vada come vada, a questo punto, non me ne frega più di niente: voglio che passi, che finisca, voglio uscire da questo gran casino in cui mi sono infilato. Prometto: ti ascolterò tesi e tesine, parleremo di Dna, deficit idrico, zea mays e… di noi soprattutto. Appena avrai discusso la tesi, faremo una cosa che non abbiamo fatto ancora, ce ne andremo per un periodo di tempo, tu ed io da soli. Andremo… in Africa… in Kenia. Guarda nel secondo cassetto della scrivania e comincia a fare qualche programma. Tesoro, avremo i giorni e le notti tutte per noi: potremo parlare, prendere il sole, fare l’amore, dimenticare i problemi che abbiamo vissuto, le angosce, i momenti bui. Potremo riscoprire il senso della vita.
Ciao, Luigi.

Torna presto: queste mie mani sono piene di carezze per te e io… io non sopporto la tua assenza.

Courtesy of Il Saggiatore

Lettera aperta

25 gennaio 1967

Quando un Paese riesce a esprimere in chiave moderna una sua musica tipica (come è avvenuto per la bossanova e il cha cha cha), per un certo periodo di tempo il mondo intero impazzisce. In Italia, purtroppo, il grosso sbaglio è quello di guardare al mercato mondiale e imitarlo, quando ci sarebbe da noi un patrimonio musicale vastissimo e pieno di folklore. Bisognerebbe prendere melodie tipiche italiane e inserirle in un sound moderno, come fanno i negri con il rhythm and blues o come hanno fatto i Beatles che hanno dato un suono di oggi alle marcette scozzesi, invece di suonare con la zampogna.
In Italia si è vittime del provincialismo perché sanno apprezzare solamente quello che viene dall’estero; ed è un provincialismo per di più apprezzato dalla stampa, dalla radio e dalla televisione. Nessuno fa niente per la nostra musica. Eppure il patrimonio folkloristico è così vario che ogni cantante e compositore potrebbero attingervi mantenendo la propria personalità. Se uno vuol fare la protesta, può protestare; se un altro vuole far ballare la gente, può farla ballare; ce ne sarebbe per tutti. Dopo Sanremo 1966 la polemica sui capelloni si è accesa di tinte assurde; come sempre hanno fatto di ogni erba un fascio, dicendone di tutti i colori. Gli argomenti preferiti da certa gente sono che i capelloni non lavorano, che si tratta di esseri sporchi, intellettualmente ritardati; bene, a questo punto io mi proclamo un capellone, mi sento uno di loro. Eppure lavoro sodo, mi lavo regolarmente e fino a questo momento, con tutti i difetti che mi possono attribuire, nessuno mi ha mai considerato un cretino.

Estratte da Lontano, Lontano di Luigi Tenco. A cura di Enrico de Angelis ed Enrico Deregibus (Il Saggiatore, 2024)

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