Le guerre dei Sex Pistols, con e senza John Lydon
Steve Jones, Paul Cook e Glen Matlock raccontano tutti i casini che hanno travolto la formazione dal 1977 in poi. Con l’arrivo del nuovo cantante Frank Carter i drammi sono finiti? E se tornasse Johnny Rotten?
Foto: Jim Dyson/Getty Images
Quando a settembre i Sex Pistols sono saliti sul palco della Bush Hall di Londra col nuovo cantante Frank Carter, nessuno sapeva se la nuova formazione avrebbe funzionato. Del resto i Pistols non avevano mai fatto prima un solo concerto senza John Lydon (alias Johnny Rotten, la figura più rappresentativa del punk inglese anni ’70). Ci stavano provando in quel momento, dopo anni di astio, scambi di battute acide via stampa e una disputa legale che ha portato ai massimi storici le tensioni in seno al gruppo.
«Ero per strada, stavo andando al locale quando qualcuno ha fatto il mio nome, mi ha indicato e ha detto: “Bella sfida!”», ricorda Carter, tatuatissimo 41enne che si è fatto le ossa in vari gruppi punk hardcore del Regno Unito come Gallows e Frank Carter and the Rattlesnakes. «Sono andato avanti per la mia strada, ma quella frase mi è rimasta in testa. Non ci avevo pensato granché fino a quel momento. Però aveva ragione. Ero turbato, nervosissimo».
L’agitazione è finita nel momento in cui il batterista Paul Cook ha attaccato l’intro di Holidays in the Sun e il bassista Glen Matlock e il chitarrista Steve Jones si sono accodati, mentre il pubblico, in gran parte giovane, pogava freneticamente come avevano fatto i loro genitori, e persino i loro nonni, al 100 Club nel lontano 1976. Il caos è andato avanti per tutto il concerto durante il quale hanno fatto per intero l’unico album in studio della band, Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols del 1977 più una cover di No Fun degli Stooges, colonna portante delle loro prime esibizioni.
«È stato come viaggiare indietro nel tempo», racconta Jones. «Pazzesco. Io, Glen e Paul ci guardavamo pensando: “Sta succedendo davvero!”. Era tutto vero».
Dopo che il video dell’esibizione è finito su Internet e sulla stampa britannica sono uscite recensioni entusiastiche, sono arrivate offerte per festival e concerti da headliner, lasciando la band sbalordita. Da allora i Pistols hanno trascorso gli ultimi mesi in giro per l’Europa e l’Australia e, a settembre, inizieranno un tour nordamericano che li porterà negli Stati Uniti per la prima volta dal 2003 (hanno suonato una sola volta a Los Angeles nel 2007 e un’altra a Las Vegas nel 2008).

La formazione originale dei Sex Pistols nel 1976. Foto: Evening Standard/Getty Images
È inutile dire che Lydon non è per nulla contento. «È un circo di pagliacci», ha detto all’Independent. «Per quanto mi riguarda io sono i Pistols e loro no». Al NME ha detto che i concerti erano poco più che karaoke. «Non sarà mai nient’altro che questo. Porca miseria, quanti anni hanno avuto i tre marmittoni di quella band per scrivere canzoni nuove? Ecco cosa mi piacerebbe sentire».
I suoi ex compari non sono certo rimasti sorpresi. «Parla tanto, vero?», replica Matlock, che negli ultimi anni ha suonato il basso nei Blondie. «È una questione di rispetto. Una persona che rispetta il prossimo non direbbe mai una cosa del genere».
«Ha diritto ad avere la sua opinione», dice Cook. «Ha sempre pensato di essere i Pistols, ma credo che non abbia letto le recensioni. Penso che ora come ora, con Frank nella band, siamo migliori. E non so se John ne è al corrente, ma anche io, Steve e Glen eravamo i Sex Pistols» (abbiamo tentato di intervistare Lydon per questo articolo, ma il suo portavoce ha detto: «Temo che a John non vada di farlo. Sono certo che capirete il perché»).
Non è la prima volta che i Sex Pistols cercano di andare avanti senza un membro fondatore. Era il febbraio del 1977 quando presero una delle decisioni più scellerate della storia del rock: cacciare Matlock, uno dei principali artefici del sound del gruppo e autore principale delle canzoni, per sostituirlo con Sid Vicious. Il fatto che Vicious fosse eroinomane e non sapesse suonare il basso o scrivere canzoni non sembrava preoccupare né Lydon né il manager dei Pistols, Malcolm McLaren, le due menti dietro al piano.
«Sid è diventato un simbolo», dice Cook. «Dal punto di vista dell’immagine era fantastico, era molto aggressivo, la band aveva un aspetto fantastico, ma non era in grado di scrivere grandi canzoni. È imploso tutto con suo arrivo. Non siamo riusciti a gestire la cosa e siamo diventati il nemico pubblico numero uno. È difficile spiegare la reazione della stampa, quello che è successo al punk allora. Era davvero esagerato».
Guardando improvvisamente i Sex Pistols da fuori, Matlock era inorridito dalle provocazioni della band nel periodo con Sid Vicious, tra cui il famigerato tour negli Stati Uniti del 1978, in cui McLaren (mancato nel 2010) li ha portati a suonare nei bar honky tonk del Texas, sperando di suscitare una reazione ostile da parte del pubblico. «Ci hanno tirato addosso di tutto: topi morti, orecchie di maiale, monete, bottiglie», racconta Cook. «Solo a parlarne so che avrò gli incubi stanotte».
«Era diventato un cartone animato», dice Matlock.
Il Sex Pistols cartoon show è terminato a poco più di una settimana dall’inizio del loro primo tour negli Stati Uniti, nel gennaio 1978. E nessuno si è stupito. «Non poteva durare», spiega Jones. «Devi tenere a mente che avevamo 19, 20 anni. E in quel momento eravamo tutti fuori di testa» (Vicious è morto per un’overdose di eroina un anno dopo, mentre era in attesa del processo per l’omicidio della sua ragazza, Nancy Spungen).

Vicious e Lydon a Dallas, Texas, nel 1978. Foto: Jay Dickman/Corbis/Getty Images
In seguito Lydon ha mantenuto un alto profilo coi Public Image Ltd, che hanno pure avuto hit radiofoniche come Rise e This Is Not a Love Song. Matlock ha collaborato con Iggy Pop e Johnny Thunders, Jones e Cook hanno tentato di continuare insieme con i Professionals, ma hanno faticato a farsi notare nell’era di MTV. «Vivevo alla giornata», dice Jones. «Non sapevo mai come avrei fatto a pagare l’affitto».
«Ci odiamo ancora a morte», ha detto Lydon ai giornalisti stipati dentro al 100 Club, nel marzo del 1996. «Ma abbiamo individuato una causa che ci accomuna e sono i vostri soldi».
Era il periodo delle reunion di Eagles, Kiss, Fleetwood Mac, Page & Plant e di molti altri gruppi anni ’70, allettati da guadagni enormi. I Sex Pistols si erano uniti al carrozzone. «Queste sono le persone che hanno scritto le canzoni e ora vorremmo essere pagati», ha detto Lydon. «Nel corso degli anni un sacco di stronzi hanno campato alle nostre spalle e noi non abbiamo visto un centesimo».
Non stava esagerando più di tanto. I Pistols, nella loro prima incarnazione, non erano mai usciti dal circuito dei club e vivevano di salari quasi da fame elargiti settimanalmente da McLaren. La reunion era un’occasione per fare finalmente un po’ di soldi, suonare in posti adeguati e riparare al torto epocale di aver allontanato Matlock dalla band. «Questi sono i membri originali», ha detto Lydon indicando Cook, Jones e Matlock. «Sid era solo un attaccapanni vuoto per riempire un posto vacante sul palco».

I Sex Pistols nel 1996. Foto: Getty Images
Il tempismo era perfetto. Dopo una ventina d’anni la nostalgia cominciava a farsi sentire e il punk era ormai diventato mainstream, grazie a band nuove come Green Day, Rancid e Offspring. Così è stato definito un itinerario ambizioso di 72 concerti che ha portato il gruppo in Europa, Nord America, Australia, Inghilterra, Giappone e Sud America tra giugno e dicembre 1996.
«Negli anni ’70 si sentiva sempre dire: “Quei tizi non sanno suonare”», dice oggi Jones. «Quel tour è stato anche un modo per dire: ora vi facciamo vedere che sappiamo suonare. E gli show sono stati grandiosi. Avrei voluto continuare per un altro anno, perché avevo un gran bisogno di soldi».
Tutti e quattro avevano bisogno di guadagnare, ma il ritmo massacrante ha sfibrato nel giro di pochi mesi Cook e Matlock. «Sono riemersi vecchi rancori e sono successe le stesse cose di un tempo», racconta Cook. «John non è una persona con cui è facile andare d’accordo. Ad essere sincero, non vedevo l’ora che finisse. La cosa è andata avanti troppo a lungo».
In seguito hanno fatto due concerti nel 2002, una dozzina di show negli Stati Uniti nel 2003 e a sette nel Regno Unito per il 30° anniversario, nel 2007. L’estate dopo hanno accettato di fare 32 concerti, quasi tutti nell’ambito di festival. Come successo nel 1996, si è rivelato un periodo troppo lungo per un gruppo di persone che, a eccezione di Cook e Jones, non si volevano particolarmente bene. Il tour è anche coinciso con la crisi finanziaria globale del 2008. «All’inizio pensavamo di ricevere una certa somma di denaro, ma ne abbiamo vista la metà», racconta Jones. «Stavamo guadagnando spiccioli. Così mi sono detto: “Fanculo, ho chiuso”. Era una situazione tossica».
Dopo quattro concerti appena, Jones stava già pensando di prendere provvedimenti drastici per chiudere il tour al Festival dell’Isola di Wight, in Inghilterra. Il suo espediente disperato, che alla fine non ha messo in atto, consisteva in una caduta dal palco. «Volevo rompermi il polso di proposito», racconta. «Dopo lo show sono salito sul traghetto e ho pensato: “Portatemi via da qui”. Non volevo più avere intorno Lydon, cazzo!».
Mancavano ancora 28 concerti. Nell’autobiografia del 2016 Lonely Boy, Jones descrive una scena particolarmente imbarazzante su un aereo privato, dopo uno show, quando il personale di bordo ha detto a Lydon che doveva spegnere la sigaretta che stava fumando. «Rotten va su tutte le furie», scrive Jones. «È come un bambino del cazzo che fa i capricci: batte sulla porta della cabina del pilota, cerca di aprire i finestrini e i portelloni della fusoliera, in pratica mette a rischio tutte le nostre vite per fumare una sigaretta. Sono le due di notte, siamo tutti stremati e cerchiamo di dormire, ma nessuno ci riesce perché un uomo di più di 50 anni fa i capricci perché non ha avuto ciò che voleva».
La band è riluttante a svelare altri dettagli sull’atteggiamento di Lydon durante quel tour. «Ci sono state molti episodi tipo quello dell’aereo», spiega Matlock. «Non era una bella cosa. Era infantile. Da bambino quanto ti comporti male vieni messe in castigo da mamma e papà. Ma a qualcuno non credo sia mai successo. Indovina di chi parlo…».

Lydon coi Pistols all’Isola di Wight nel 2008. Foto: Matt Cardy/Getty Images
Il tour si è poi chiuso il 5 settembre 2008, con un festival a Vitoria-Gasteiz, in Spagna. La serata è rimasta ben impressa nella memoria di Jones e Matlock, perché i problemi sono iniziati prima ancora di salire sul palco: Lydon, non si sa quanto accidentalmente, ha starnutito un enorme blocco di moccio sul retro dei pantaloni di Matlock. «C’era un asciugamano, sopra al mio amplificatore, e sono andato a prenderlo per pulirmi», racconta. «Quando sono andato a fare i cori per la prima volta, un bicchiere pieno di qualcosa che spero fosse birra mi ha colpito in faccia. Sono andato per prendere l’asciugamano sull’amplificatore, ma non potevo usarlo perché sapevo che era sporco del moccio di Johnny Rotten. Questo è ciò che ricordo e riassume un po’ tutta la situazione».
Più tardi quella sera, non rendendosi conto di trovarsi nei Paesi Baschi, Lydon ha detto: «Viva la Spagna!». «Lì la gente non ama gli spagnoli», dice Jones. «Non erano contenti e hanno iniziato a tirarci di tutto».
L’ultimo capitolo della saga dei Pistols è iniziato in sordina, l’anno scorso, in una piccola caffetteria del quartiere londinese di Soho. Per volere di Cook, il gruppo stava iniziando a preparare uno show per salvare l’amato locale di Shepherd’s Bush, la Bush Hall. L’idea era di suonare Never Mind the Bollocks con una serie di cantanti ospiti, a rotazione.
«Erano stati fatti un paio di nomi, non vi dico chi, che non mi piacevano molto», racconta Matlock. «Poi mio figlio Louis mi ha sentito parlare con il nostro manager. Pensavo che non ci fosse nessun altro in casa, ma Louis è entrato e ha detto: “No, no, no…”».
Louis Matlock ha un suo gruppo, i Dead!, che qualche anno fa è andato in tour con Frank Carter and the Rattlesnakes. Era certo che Carter sarebbe stato perfetto per questo ingaggio, in grado di interpretare i testi di Lydon senza scadere nell’imitazione. Incuriosito, Glen Matlock ha chiesto di incontrare il cantante in un bar per sottoporgli l’idea. «Sono rimasto scioccato dalla sua proposta», racconta Carter. «Pensavo che volesse solo conoscermi e passare un po’ di tempo insieme».
Jones era a casa sua, a Los Angeles, ma Matlock ha invitato Carter a suonare in una sala prove di West London con lui e Cook. Gli ha concesso solo due giorni per prepararsi. «Sono entrato nella sala e ho dimenticato ogni cosa», dice Carter. «Ascolto quel disco da quando avevo 12 anni e all’improvviso attaccavo troppo presto, arrivavo tardi, dimenticavo le parole. Ricordo che sono uscito da là e ho chiamato mia madre. Le ho detto: “Ho appena suonato con un paio di Pistols e sento di avere fatto schifo”. Lei ha risposto: “Be’, è punk”. “Ma non volevo andasse così”».
Matlock e Cook erano di altro avviso e l’hanno invitato a tornare, qualche giorno dopo, per provare anche con Jones. Era la prima volta che i tre suonavano insieme dalla fine del tour del 2008. Negli anni successivi, Cook e Jones avevano formato il supergruppo dei Generation Sex con Billy Idol e Tony James dei Generation X. È durato solo poche date, ma ha provato che una qualche forma di band poteva esistere anche senza Lydon. «Non ci avevo mai pensato fino a quando non abbiamo fatto quella cosa con Billy», dice Jones. «Credo che quella sia stato l’inizio di tutto».
Proprio in quel periodo, nel mondo dei Sex Pistols si è scatenato l’inferno a causa della miniserie Pistol di Danny Boyle basata sull’autobiografia di Jones. La serie ha fatto infuriare Matlock perché lo descriveva come un adolescente privilegiato e fuori dal mondo, estraneo al vero punk. E si è ancora più incattivito vedendo una scena in cui Jones lo licenziava nel bagno di un pub, su ordine di McLaren. Matlock insiste sul fatto che lui ha lasciato il gruppo di sua spontanea volontà, sfinito dai litigi continui con Lydon e il manager. «Ho raccontato a Danny Boyle quello che è successo e lui mi ha ignorato», dice Matlock. «Non sarà un grosso problema, ma per me è importante. La serie si presenta come un quasi-documentario, ma in questo modo la gente non sa com’è andata davvero».
«Credo che Glen non ne sia uscito granché bene», dice Cook. «Concordo con lui. Ma non avevamo alcun controllo, soprattutto dopo il coinvolgimento di Danny Boyle». Jones scrolla le spalle: «Io e Glen ne abbiamo parlato, ma non c’è modo di risolvere questa cosa. Sì, credo che abbia fatto un po’ da capro espiatorio. Danny Boyle ha voluto così, ma io ero contento perché si trattava del mio libro e mi piaceva. E comunque non è un documentario: è un biopic».
Un problema molto più grande si è presentato quando Lydon ha intentato una causa legale contro i suoi compagni di band, in Inghilterra, sostenendo che non potevano usare la musica dei Sex Pistols per la serie senza un accordo unanime. «Sarebbe come raccontare la storia della Seconda guerra mondiale senza Winston Churchill», ha dichiarato all’inglese i Paper. «L’idea di bypassare l’uomo che ha scritto tutte le tue canzoni e che ti ha dato l’immagine è ridicola».
Alla fine un giudice ha stabilito che bastava la maggioranza semplice della band per dare in licenza la musica. Se Matlock si fosse schierato dalla parte di Lydon, il verdetto sarebbe stato probabilmente di segno opposto. «In un certo senso il mio voto era decisivo», dice Matlock. «Ma se una persona non ti ha portato il giusto rispetto nel corso degli anni, difficilmente stai dalla sua parte. Interpretatelo come credete».

Frank Carter. Foto: Lucy North/PA Images/Getty Images
È una chiara riprova del fatto che, nonostante tutti gli attriti passati, Matlock era dalla parte di Jones e Cook e contro Lydon. E ora, con Carter alla voce, il gruppo potrebbe aver trovato un assetto abbastanza stabile da poter fare concerti senza ulteriori drammi. A differenza di band come Yes, Journey e Judas Priest, che quando hanno avuto bisogno di un nuovo frontman si sono rivolte a imitatori che militavano in tribute band, Carter non tenta minimamente di copiare Lydon.
«È come il banditore di un circo e porta una tonnellata di energia», dice Jones. «Va tra la gente, la incita a fare crowdsurfing, la fa girare in cerchio. È pazzesco da vedere. A volte, quando si butta là in mezzo, penso che lo uccideranno. Ma è brillante e la sua voce è fantastica. Non sta cercando di essere Johnny Rotten».
I Sex Pistols inizieranno il tour americano il 16 settembre alla Longhorn Ballroom, in Texas, 47 anni dopo aver schivato orecchie di maiale e topi morti su quello stesso palco. «Mi piace credere che l’America non mi tratterà in quel modo», dice Carter. «Lo scopriremo, no?».
Qualunque cosa accada alla Longhorn Ballroom, non bisogna aspettarsi di sentire nuove canzoni. Il repertorio dei Sex Pistols resta fermo al 1977. «Non so se la gente vuole ascoltare nuovi pezzi: dovrebbero essere all’altezza delle vecchie cose», dice Cook.
Carter non riesce a immaginare come potrebbe funzionare. «Sarebbe una band diversa», spiega. «E le parole le ha scritte tutte John. Forse se potessi scrivere insieme a John alcuni testi… ma credo che il problema sia che non siamo d’accordo su molte cose».
Non esiste un universo in cui Lydon sarebbe disposto a scrivere dei testi per l’incarnazione dei Sex Pistols con Frank Carter. Ma ne esiste uno in cui entrambe le parti in causa potrebbero accantonare i rancori e acconsentire a una reunion dei Sex Pistols, magari per il 50° anniversario di Never Mind the Bollocks nel 2027? «Un giorno mi piacerebbe rivederli», dice Carter. «E se mai io avessi l’opportunità di fare da ponte, di essere una specie di tramite tra loro per riaprire le comunicazioni, interverrei e farei anche questo. E poi mi defilerei in un batter d’occhio». Cook però non riesce nemmeno a immaginare uno scenario del genere. «Noi non vorremmo farlo e John neppure, dopo quello che è successo. Quindi, così è. E comunque non lo farei con John». Matlock concorda. «La gente a volte si mette con le spalle al muro da sé».
Eppure moltissime band hanno detto cose simili poco prima delle loro reunion pagate fior di quattrini. «Hai pronunciato la parola magica: soldi», dice Jones ridendo. «Quanti? Vedremo. Dipende se mi servirà una cucina nuova o che altro».












