Le 45 vite di Kanye West | Rolling Stone Italia
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Le 45 vite di Kanye West

C’è chi dice che sia un genio (lui in primis) e chi una volta l’ha definito un asino, chi ha comprato le sue Yeezy Boost e chi il suo Steam Player, chi ha percorso il suo cammino di fede e chi, invece, l’ha seguito in quello politico. Buon compleanno all’uomo che, da solo, ha vissuto più vite di quante si possa immaginare

Le 45 vite di Kanye West

Kanye West al Coachella 2019

Foto: Rich Fury/Getty Images for Coachella

«It’s Ka-nyay, not Ka-nee». Così una mia amica americana qualche anno fa mi spiegava come si pronunciasse il nome dell’unico inimitabile prodotto Made in USA: Kanye West (kɑ́ːnjɛj wɛ́sd, per gli appassionati di fonetica). Non so cosa stessimo facendo in quel momento, ma era uscito fuori il discorso e l’occasione era stata troppo ghiotta per non chiederglielo, nonostante mi fossi vergognata come un cane. Anni dopo, esattamente oggi, ho scoperto che il mio dubbio di allora non era nulla di straordinario. Perché su YouTube ci sono tanti video che lo chiariscono, almeno quante sono le vite del soggetto in questione: il rapper (not) from the ghetto, il rissoso, il genio, il marito di Kim Kardashian, il fervido credente, eccetera eccetera. Per fortuna dal 2021 le cose sono diventate più semplici – almeno riguardo il suo nome – e per parlare di lui non c’è bisogno di un corso o di un’amica americana. Basta dire: Ye.

Kanye from the Block (mica troppo)

Il contesto borghese in cui cresce, gli ottimi voti scolastici e la frequentazione dell’American Academy of Art e della Chicago State University si inseriscono in un pedigree che lo rendono diverso dagli altri musicisti dell’ambiente hip hop. Presentandosi la prima volta di Gucci vestito, Kanye non sembra avere i panni giusti (in tutti i sensi) per entrare nella Roc-A-Fella Records di Dam Dash e Jigga. Tanto che le parole di allora di Jay-Z nella cover story del 2005 del Time risuonano ancora: «Noi proveniamo dalla strada e abbiamo fatto qualsiasi cosa per affermarci. Poi c’è Kanye, che per quanto ne so non ha mai fatto lo spacciatore in vita sua. Non so come possa funzionare come rapper». Però Kanye ce la fa: nel 2002 firma con Dam Dash e inizia a produrre anche per Jay-Z, ormai suo amico da un pezzo, curando la parte strumentale dell’album The Blueprint. Nel 2004 esce The College Dropout ed è subito chiaro che l’abito non fa il rapper: l’album si certifica triplo platino, riceve dieci nomination ai Grammy (vincendone uno per il miglior album rap), entra nella Billboard 200 e nella lista dei migliori album di sempre. Kanye è ufficialmente «qualcosa di più di quello che fa i beat a Jay-Z», e anche qualcosa di diverso da quello che c’è in circolazione dentro e fuori dalla Roc-A-Fella. Dopo solo un anno esce Late Registration, che bissa il successo ai Grammy; Graduation è il terzo capitolo che arriva nel 2007 e supera le vendite di Curtis di 50 Cent. È però con 808’s & Heartbreak, nel 2008, la svolta decisiva nella sua discografia: la critica si divide, le vendite s’impennano, lo stile segnerà le future produzioni di Drake e The Weeknd. Mica pizza e fichi.

 

 
 
 
 
 
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Kanye il rissoso

Non è che se arrivi dal ghetto sei per forza un poco di buono; non è che se arrivi dai quartieri bene sei automaticamente uno stinco di santo. Nel 2008 Kanye fa nero un paparazzo all’aeroporto di Los Angeles e viene arrestato per vandalismo; la scena è ripresa da un altro paparazzo e finisce online. In un episodio di South Park lo perculano dicendo che è un violento egocentrico, cosa che fa ridere ma anche riflettere, considerato il fattaccio accaduto agli MTV Video Music Awards 2009 che gli vale il titolo di “asino” da parte dell’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. La scena è ormai epica: Taylor Swift sul palco, incredula per aver vinto il premio per il miglior video femminile; sta parlando, quando Kanye le strappa il microfono e dice: «Sono molto felice per te, ti ho fatto finire, però Beyoncé aveva uno dei migliori video di tutti i tempi. Uno dei migliori video di tutti i tempi!». Beyoncé è interdetta, Taylor Swift quasi in lacrime e lui fa spallucce. D’altronde, come spiegherà poi, quel gesto si ascriveva a un disegno divino: «Se Dio non avesse voluto che io corressi sul palco e dicessi che Beyoncé aveva il miglior video, non mi avrebbe fatto sedere in prima fila». Parola di Kanye, che tuttavia si scuserà con Taylor Swift ufficialmente solo sei anni dopo, senza tirare in ballo Dio. Nel frattempo, altri battibecchi: con l’ami-nemico Jay-Z e con Drake, tra dissing, complottismi, condivisioni di indirizzi di casa. Litigiosità, marketing, oppure (come parrebbe) salute mentale?

 

 
 
 
 
 
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Kanye il genio

Nel 2010 è il turno di My Beautiful Dark Twisted Fantasy, che esce dopo un anno di riflessioni (e registrazioni) a Honolulu, nelle Hawaii, e avviene la consacrazione. L’album è acclamato dal pubblico (oltre un milione e mezzo di copie vendute), ma soprattutto dalla critica, che ne elogia non solo la produzione musicale, ma anche la scrittura dei testi e le tematiche affrontate (l’eccesso, la celebrità, l’insicurezza, per dirne qualcuna), fino a fargli vincere un Grammy per il miglior album rap dell’anno, nonché il titolo di miglior album del decennio secondo Pitchfork. Eminem, Rick Ross, Jay-Z, Drake, John Legend, Elton John, Niki Minaj e Rihanna: sono solo alcuni degli artisti che partecipano alle registrazioni. E poi c’è Pusha T, che ha raccontato di come Kanye sia tanto bravo a concentrarsi su ciò che sta registrando quanto a fermarsi d’improvviso perché ha captato da un’altra parte un altro suono, che a quel punto inserisce nel proprio «schedario mentale» per essere rielaborato e inserito nell’album. I successivi Watch the Throne (2011) e Yeezus (2013) ricevono sì buone critiche, ma non risultano all’altezza del capolavoro supremo che aveva fatto dire a chiunque una cosa soltanto: chapeau.

 

 
 
 
 
 
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Kanye Kardashian

Ma cos’è la vita senza l’amore? Persino per un genio della musica c’è posto nel cuore. Occorre tirare in ballo lei: Kim Kardashian. Si conoscono nel 2008, si fidanzano nel 2012, mettono al mondo North nel 2013, si sposano nel 2014 a Firenze, danno il benvenuto a Saint, il secondogenito, verso la fine del 2015. Le cose paiono andare a gonfie vele, ma nel 2016 iniziano a circolare i rumour su una loro possibile separazione. Spoiler: non succede. Ma succede altro: Kim viene sequestrata nella sua stanza d’hotel a Parigi e Kanye finisce in un ospedale psichiatrico, mentre la nascita di Chicago nel 2018 e quella di Psalm nel 2019 (i due bambini avuti da madri surrogate) sembrano portare il sereno. Poi i tweet di fuoco di Kanye nel 2020, che accusa moglie e suocera di rinchiuderlo in casa, fino alla separazione ufficiale l’anno dopo, quando lei inizia a frequentare Pete Davidson, complice l’ospitata al Saturday Night Live. Kanye dice più volte pubblicamente che si sente ancora sposato con Kim e che vuole riparare. Kim replica secca: no. Siamo arrivati al 2022, che per farla breve sono mesi di post e cancella-post su Instagram da parte di lui e carte da firmare per il divorzio da parte di lei. Fino a che il 2 marzo scorso in video-call compare il giudice che dice che sono divorziati. Fine della storia (e degli outfit monocromo in combinata) dei Kimye.

 

 
 
 
 
 
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Kanye for President

Vi ricordate gli MTV VMAs del 2015, quando Kanye chiede ufficialmente scusa a Taylor Swift? Be’, in realtà Kanye su quel palco fa anche (e soprattutto) un’altra cosa: alla fine di un discorso sulla speranza per un futuro migliore per i nostri figli, si candida alle Presidenziali del 2020. Cosa che poteva sembrare uno scherzo, e che invece conferma poco dopo in un’intervista per Vanity Fair, dove ammette di non sopportare i politici, ma di avere a cuore gli esseri umani. Da lì, il supporto a Donald Trump (perché «votare in base al proprio colore della pelle è schiavitù mentale»), le posizioni antiabortiste, il sostegno alla detenzione di armi purché regolare, all’abolizione della pena capitale, alla reintroduzione della preghiera scolastica. A supportarlo ci sono Elon Musk e ovviamente la (ancora) moglie Kim Kardashian. Alla fine, Kanye si qualifica per l’accesso al voto in dodici Stati, ma il giorno dopo l’inizio delle elezioni si ritira. È il 4 novembre 2020, e ha ottenuto lo 0,1% dei voti negli Stati in cui si era qualificato, circa sessantamila. In un tweet con la foto di lui vicino a una mappa elettorale con i nomi dei vincitori, Kanye svela non solo il suo disappunto generale, ma anche la volontà di candidarsi ancora, questa volta per le presidenziali del 2024. Peccato che non si trovi più quel tweet: «WELP KANYE 2024».

 

 
 
 
 
 
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Kanye for Jesus

La relazione di Kanye con la vita spirituale potrebbe sembrare facile, ma è forse più controversa di quella con l’ex moglie Kim Kardashian. Nel 2004 è in cima alle classifiche con The College Dropout e le tracce sono tutte un successo, ma Jesus Walks vince un Grammy per la migliore canzone rap e si certifica doppio platino, il che non è male per uno che (proprio lì) rappava: «Dicono che puoi rappare su qualsiasi cosa tranne che su Gesù». È con Life of Pablo, nel 2016, che la spinta verso la religione si fa più intensa, con il titolo che richiama l’apostolo Paolo e i cori nobilitati dalle megastar del gospel contemporaneo: Kirk Franklin e Chance the Rapper. Nel 2019 Kanye avvia il progetto Sunday Service Choir, con l’esibizione (su invito) di alcuni suoi pezzi rielaborati in chiave gospel e cristiana, arrivando a portare lo spettacolo al Coachella. Kanye sembra vivere una nuova conversione religiosa, testimoniata anche dall’uscita del nono album, Jesus Is King, che però fa storcere il naso ai credenti, convinti sia solo un mezzo per ottenere più favore nella corsa alle Presidenziali. Nel 2021 è la volta di Donda, l’ultima fatica che porta a una sola conclusione: quei cori gospel non solo non rafforzano il senso di unità della comunità, ma rendono ben più che evidente che Kanye West è sul pulpito. Sì, ma ormai da solo.

 

 
 
 
 
 
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Kanye il re della moda

Mentre è sulla cresta dell’onda musicale e del gossip, nel 2015 Kanye fonda la sua linea di moda: Yeezy. Il progetto nasce nel 2009, quando lui e l’amico Virgil Abloh – diventato in seguito il fondatore del marchio Off-White e direttore creativo per Louis Vuitton – fanno uno stage da Fendi per apprendere le basi del fashion design. Da lì, nel 2011 Kanye decide di fondare una propria linea, che chiama con le iniziali del nome della madre: D.W. (Donda West). Un fiasco: chiuderà i battenti dopo due collezioni. È solo nel 2013 e grazie alla collaborazione con il brand francese A.P.C. per una capsule di tre pezzi (jeans, maglia e felpa) che le cose iniziano a girare bene. Fino a che, l’anno dopo, il Kanye designer fa il botto grazie alle sue Yeezy Boost, le scarpe realizzate in collaborazione con Adidas. Nel 2015, il marchio Yeezy inizia una produzione di capi che siano indossabili da tutti e di ottimi materiali, ma gli addetti ai lavori storcono il naso. Kanye la butta sulla discriminante del non essere gay, concludendo: «Non mi aspetto di essere capito, la moda non è logica o pratica. La moda è un’emozione. A volte mi spezza il cuore. A volte invece è solo swag». Sta di fatto che il Kanye re della moda ha messo becco in tutti i guardaroba delle sue ex, in primis di Kim Kardashian, diventata icona della moda (anche) grazie a lui. O forse no?

 

 
 
 
 
 
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Kanye il bipolare

Sono passati tre anni dal ricovero coatto per esaurimento nervoso quando il nostro viene ospitato in una puntata dello show My Next Guest Needs No Introduction di David Letterman, su Netflix. È il 2019, Kanye ha i capelli platino e vuole parlare di quel disturbo bipolare che aveva già reso pubblico l’anno prima, durante il tour di Ye: «Non mi era mai stato diagnosticato fino ai 39 anni. Una diagnosi di disturbo mentale. Credo che tutti quelli che abbiano qualcosa di simile, come ho detto nell’album, non debbano vederla come una disabilità, ma come un superpotere». Tutto sommato, che ci fosse qualcosa che non andava si poteva anche dedurre alla luce di certi episodi: le suddette mattate agli MTV VMAs, oppure il riferimento pubblico all’aborto che lui e Kim avevano meditato di fare quando aspettavano la loro primogenita e per il quale Kim era rimasta di sasso. Per non parlare dei tweet contro questo e quello, o dei post su Instagram pubblicati e cancellati, tutti a proposito dell’ex moglie e del nuovo compagno. O, ancora, degli evidenti deliri di onnipotenza, che sono sempre apparsi, per l’appunto, deliranti. Ma c’è una cosa buona: che Kanye ne abbia parlato. Anche se non ha un buon rapporto con le medicine, ree di bloccargli la creatività artistica. Ma questo è un altro discorso.

 

 
 
 
 
 
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Kanye, anzi Ye

E qui torniamo al punto di partenza. A quel nome particolare che in lingua swahili significa ‘l’unico’: Kanye. Tuttavia, tanto sforzo per dirlo bene non è valso a niente, perché dopo la richiesta del 14 agosto 2021, dal 19 ottobre scorso Kanye West non si chiama più Kanye West, bensì Ye. Punto. Un giudice di Los Angeles ha messo fine alla storia. Il motivo che sta dietro questa scelta è che Ye è la parola più ricorrente nella Bibbia, nonché il soprannome di Kanye da sempre. Ma chi è, oggi, Ye? Sicuramente un artista di altissimo livello che ha appena pubblicato l’album Donda 2, e il credente che ha ritrovato la strada di Dio senza però riuscire a indicarla agli altri. Ha un disturbo mentale, ma ormai è così affare pubblico da giustificare le mattate che, ancora adesso, ogni tanto lo rendono un caso. Ed è anche l’appassionato di moda che fa discutere perché si presenta a un evento con una maschera nera sul viso che, be’, non gli permette di vedere l’evento. Ma più di tutto, Ye è ancora uno dei prodotti più originali che ci siano in circolazione e l’uomo che, da solo, ha vissuto (e vive) più vite di quante si possa immaginare. Tanto che per ricostruirlo da zero ci vorrebbe ben più che un video tutorial su YouTube.

 

 
 
 
 
 
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