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L’asino e l’Intelligenza Artificiale: un intervento di Massimo Zamboni

Questa sera il musicista e scrittore sarà ospite della Milanesiana in una serata a tema AI. Un estratto dalla sua lettura: il progresso tecnologico che cambia il nostro orizzonte mentale, l’entusiasmo per la macchina intelligente, le reti neurali che non conoscono l’istinto, il desiderio, la fragilità

Foto: Diego Cuoghi

Questa sera Massimo Zamboni sarà ospite di La Milanesiana, la rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. L’appuntamento a cui partecipa il musicista e scrittore (Volvo Studio, ore 21) si chiama “Connessioni perdute” e fa parte di un ciclo dedicato all’Intelligenza Artificiale. Il programma prevede un prologo teatrale di Andrea Pennacchi, una lettura tratta dal libro di Johann Hari L’attenzione rubata (La nave di Teseo) e la lettura e concerto di Zamboni. Ecco un estratto dal suo intervento dedicato all’Intelligenza Artificiale e al tema della Milanesiana: il ritorno.

Il tema di questa Milanesiana è – lo sapete – il Ritorno. Declinato in sottotemi, come quello di questa sera, che riguarda la locuzione Intelligenza Artificiale. Ritorno è una parola bellissima, tra le più dense dell’intero lessico. L’antico Nostos, il rientro a casa, al luogo perduto, al nostro sé più profondo. Se accettiamo che l’infanzia sia la nostra vera patria, là dove si distilla il condensato del nostro destino successivo, lo stacco incolmabile che ne deriva prende la sembianza di un dolore localizzato che si innalza nella malinconia, per l’impossibilità di essere attuato fino in fondo. Siamo naufraghi in questo senso, e mai ci verrà concesso l’approdo che gli dei concessero a Ulisse/Odisseo. Questo dolore è irredimibile, inciso negli uomini fino a diventarne natura.

Come tutto questo si accordi all’idea di una convivenza – o meglio, di un utilizzo – di una Intelligenza Artificiale pare difficile da accettare. L’artificio si pone come un superamento della natura; e prevede un Artifex, un manovratore esperto, al ruolo del comando. Quanti manovratori esperti dirigano questo irrompere dell’Intelligenza Artificiale nel nostro orizzonte mentale o quotidiano, mascherati dall’ineluttabilità del progresso tecnologico, non lo sapremo mai. Agiscono sulla sostanza stessa del mondo, sulla realtà rappresentata, rendendola simile a quella che intendono rappresentare. Una locuzione come Intelligenza Artificiale in quanto metafora culturale crea un senso cui è richiesto di adattarsi, inducendo il mondo a un cambiamento predeterminato. È, di fatto, un sistema pervasivo e persuasivo che tutto vorrebbe assomigliare a sé. Accettando questa rappresentazione del mondo ne accettiamo di fatto le regole conseguenti, che prevedono il nostro progressivo essere messi al margine.

Eppure per ridicolizzare l’attuale entusiasmo per la macchina intelligente basterebbe un semplice sguardo dalla finestra, oppure adottare il colpo d’occhio di un animale, o accettare la mutabilità del tempo, farsi sorprendere dall’infinità del fogliame, innalzare a valore le capacità fisiche del nostro corpo. Ma si dice, occorrono sistemi in grado di elaborare la moltitudine dei dati e trarne indicazioni. Ma si è anche detto – nientemeno che il grande imperatore del mongoli, Gengis Khan, si era degnato di dirlo – che i numeri sono soltanto quantità, e la quantità è paura. E che le stelle non vanno enumerate.

Resta il dubbio se le macchine possano avere un pensiero autonomo, se si stiano organizzando per averlo. Certamente possono ripensare, organizzando i dati ricevuti in schemi che non prevedono empatia, affetto, pianto per le sventure altrui, desiderio, fantasticheria, abbandono. Non sono concessi loro il rimescolamento, la deriva genetica. Ancora più, non è concesso loro il Ritorno.

Agli animali è concesso invece. Perché così sono loro: si sanno semplicemente ritirare – nessuno dica dove – intuiti i tempi duri tra gli uomini. E poi ritornano. Appena vi sia la minima praticabilità ambientale tornano là dove erano spariti, e sono sempre stati. L’istinto li guida. Una intelligenza verificata cui affidarsi. E non solo pensano; ma ripensano. Sapete, c’è un asino che vive con noi nei prati di casa, e lo trovo spesso assorto nelle sue meditazioni. Lo guardo in piedi tra l’erba, fermo, lo sguardo a terra. Associa, rimugina, ripensa alle sue avventure; come quella volta che, assalito dai lupi, si è difeso a calci e morsi, vedendo sterminare tutte le pecore attorno a sé. Quell’episodio gli ha lasciato, oltre a una cicatrice sul muso, un pensiero profondo, l’idea della fragilità. E che dire di altri ritorni, come quello del lupo? Quale Intelligenza Artificiale saprebbe quantificarlo?

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