La verità sulla trollata dei Velvet Sundown, il gruppo AI più famoso del mondo | Rolling Stone Italia
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La verità sulla trollata dei Velvet Sundown, il gruppo AI più famoso del mondo

«È una beffa artistica, è marketing», dice un portavoce della band fittizia. E invece è il futuro che ci aspetta: intelligenza artificiale sempre più potente, playlist per l’ascolto passivo, zero argini ai falsi. Che incubo

La verità sulla trollata dei Velvet Sundown, il gruppo AI più famoso del mondo

La foto dei Velvet Sundown generata dall’IA

Foto: Velvet Sundown

Aggiornamento: dopo la pubblicazione di questo articolo da parte dell’edizione americana di Rolling Stone, la persona che si nasconde dietro allo pseudonimo di Eric Frelon ha detto di non essere in realtà legato al gruppo e di avere messo in atto, anche attraverso l’uso di vari account social e tecniche di social engineering, una truffa ai danni dei media. La band ha scritto su X di non avere rapporti con Frelon.

I Velvet Sundown, la “band” fittizia diventata virale dopo aver attirato dal nulla più di 750 mila ascoltatori mensili su Spotify, ha ammesso di avere utilizzato la piattaforma di intelligenza artificiale generativa Suno per creare la propria musica. La mossa, dice a Rolling un portavoce del gruppo, è una «beffa artistica». Prima d’ora, e dopo che vari media hanno scritto della loro strana popolarità, la “band” aveva negato ripetutamente e con fermezza su X di avere usato l’IA. Ora però Andrew Frelon, pseudonimo del portavoce e «membro aggiunto» del gruppo, ammette che «è tutto marketing, è una trollata. Alla gente non importava di quel che facevamo, ora all’improvviso stiamo parlando con Rolling Stone. Forse non abbiamo sbagliato».

«Le beffe artistiche m’appassionano», spiega Frelon. «I Leeds 13, un gruppo di studenti d’arte del Regno Unito, si fecero, tipo, delle foto finte mentre spendevano i soldi della borsa di studio in spiaggia o qualcosa del genere. È stato uno scandalo enorme. Sono fenomeni interessanti… Viviamo in un mondo in cui le cose finte possono avere un impatto maggiore di quelle vere. È assurdo, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. Dovremmo ignorarelo? Dovremmo ignorare tutto ciò che si colloca sullo spettro fra il vero e il falso, e che mescola le due cose? Oppure dovremmo buttarci nella mischia e far sì che diventi il linguaggio nativo emergente di internet?».

Durante la nostra telefonata, Frelon ha inizialmente sostenuto che l’IA era stata usata solo nella fase di ideazione della musica. Ha poi ha ammesso l’uso di Suno, ma «non nel prodotto finale». Infine ha riconosciuto che alcune canzoni («non voglio dire quali») sono state generate con Suno. «Non l’ho detto a nessun altro». Frelon ha anche confermato l’uso della funzione Persona di Suno – la stessa utilizzata da Timbaland per la sua controversa artista fittizia TaTa – per far sì che la voce del cantante fosse coerente nei vari brani. Continua però a sostenere che non è stata usata in tutte le canzoni.

Alcuni si sono chiesti se ci sia stata una qualche forma di manipolazione delle playlist per far crescere il numero di ascoltatori dei Velvet Sundown su Spotify. Frelon schiva la domanda. «Non gestisco io le cose dietro le quinte di Spotify, quindi non posso dire di per certo cos’è successo. So che siamo finiti in alcune playlist con un sacco di follower e da lì le cose sono cresciute». Le playlist sono state usate per spingere la “band”? «Non ho una risposta da darti perché non sono coinvolto. Non voglio dire cose non vere».

 

Il dibattito attorno ai Velvet Sundown è iniziato a giugno, quando due album del “gruppo” sono apparsi improvvisamente su Spotify, Amazon Music, Apple Music e altre piattaforme di streaming. Una band di cui nessuno aveva mai sentito parlare, e che non sembrava avere alcuna presenza su Internet, si è ritrovata all’improvviso con centinaia di migliaia di ascoltatori facendo una musica descritta come «una fusione tra texture psichedeliche degli anni ’70, alt pop cinematico e soul analogico».

Quanto è reale tutto questo? Canzoni come Dust on the Wind sembrano una versione generica del rock anni ’70 e le “fotografie” del gruppo sembrano chiaramente generate dall’IA, Deezer ha aggiunto al loro album il disclaimer «alcune tracce potrebbero essere state create usando intelligenza artificiale». Secondo il sito Music Ally la maggior parte delle playlist Spotify in cui appariva la band provenivano da appena quattro account. E nessuno sa di preciso come il catalogo della band sia finito in una playlist di canzoni sulla guerra in Vietnam.

All’inizio di questa settimana, la “band” ha risposto su X affermando che è «assolutamente folle che i cosiddetti giornalisti continuino a sostenere la teoria pigra e infondata secondo cui i Velvet Sundown sarebbero generati dall’IA, senza avere alcuna prova… Non è uno scherzo. Questa è la nostra musica, scritta durante lunghe notti sudate in un piccolo bungalow in California, con strumenti veri, menti vere e anima vera» («Allora fate un’apparizione in diretta tv», ha replicato un utente, «Provatelo, fate un vero video», ha scritto un altro).

Drift Beyond the Flame

Spotify non ha alcuna regola che limiti la musica generata dall’intelligenza artificiale. In passato, dice Glenn McDonald, ex data alchemist di Spotify, «gli ascoltatori falsi erano un problema più grande della musica falsa, ora forse è il contrario». La visibilità dei Velvet Sundown sulla piattaforma potrebbe essere secondo McDonald il risultato di diversi fattori, tra cui i cambiamenti dei criteri con cui Spotify raccomanda musica agli utenti, criteri che si sono allontanati da «algoritmi comprensibili basati sull’ascolto umano reale e sulle comunità» per orientarsi verso sistemi guidati dall’IA che «possono scegliere brani da raccomandare basandosi sulle caratteristiche del sound».

Messi assieme, dice McDonald, questi fattori «aumentano la causalità del sistema, mettendo meno argini al fatto che una band finta abbia successo. La maggior parte delle fake bands non ottiene in ogni caso successo, e ovviamente nessuno se ne accorge se un gruppo creato con l’IA non ha ascoltatori, ma non esistono argini contro il fatto che possa accadere. E probabilmente, dal punto di vista commerciale di Spotify, non è nemmeno chiaro che sia un fenomeno contro cui ci si debba proteggere» (un portavoce di Spotify ha rifiutato di rilasciare un commento).

I Velvet Sundown hanno attirato attenzione «perché sono generati dall’IA, non perché la musica sia eccezionale», dice un veterano del settore A&R che ha chiesto di restare anonimo. «Non sembra roba autentica. Detto questo, è chiaramente solo una questione di tempo prima che l’IA crei una vera hit. Non sono ancora convinto che possa creare un artista con un successo duraturo. Secondo me, però, prima o poi apparirà una canzone di successo che il pubblico adorerà. Qualcuno rivelerà che è stata creata dall’IA, ma a quel punto a nessuno importerà più, perché già amano la canzone».

Secondo Frelon gli appassionati di musica dovrebbero accettare gli strumenti basati sull’IA. La paura nei loro confronti, dice, è esagerata. «La gente ha sentimenti forti sull’argomento e lo rispetto, ma è importante permettere agli artisti di sperimentare nuove tecnologie e nuovi strumenti, provare cose diverse. Non bisogna andare nel panico solo perché qualcuno usa o non usa un certo programma. Non bisogna per forza piacere a tutti e seguire le regole, non è così che progrediscono la musica e la cultura. Se vanno avanti è grazie a chi fa esperimenti strani che a volte funzionano e a volte no. È questo il nostro spirito».

Da Rolling Stone US.

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