La prima e unica volta che ho visto Mike Peters, il frontman dei gallesi Alarm scomparso ieri a 66 anni a causa di un linfoma, è stato in una serata dei primi di giugno di 12 anni fa. Scendeva da un van tutt’altro che lussuoso in via Sammartini, a Milano, assieme alla famiglia: la moglie Jules e i loro bambini. Sembravano quattro classici turisti Brit, giusto un po’ eccentrico lui, con il suo mullet fuori moda, e un po’ appariscente lei, con la sua chioma biondissima.
Il tempo di rivolgere un ampio sorriso e un saluto con la mano ai pochi presenti intenti a fumarsi una sigaretta e Peters si è infilato nel Tunnel, nel senso del locale che quella sera ospitava una formazione un po’ particolare dei Big Country, band scozzese contemporanea degli Alarm: due dei membri originali (il batterista Mark Brzezicki e il chitarrista Bruce Watson), il figlio d’arte di uno di essi (Jamie Watson), il bassista Derek Forbes (già nei Simple Minds fino a tutta la prima metà degli anni ’80) e proprio Mike Peters, sostituto naturale di Stuart Adamson, scomparso 12 anni prima, vittima dei suoi fantasmi. Sostituto naturale perché nella formazione di una band il membro più difficile da rimpiazzare è il cantante, eppure quella sera Peters si è messo al servizio della causa e, difficile spiegarlo ma è stato così, ha dato voce e presenza scenica all’amico che quelle canzoni aveva scritto e interpretato in origine.
Ricordi personali a parte, per la scena rock britannica Mike Peters è stato tante cose. Di certo non un cocco della critica. Troppo classic rocker e troppo poco raffinato, troppe camicie a scacchi troppo prima del grunge (e anche troppo dopo). Eppure gli Alarm hanno venduto cinque milioni di dischi e hanno piazzato 16 singoli nella top 50 di casa. Però sono sempre stati considerati una band di seconda fila fra quelle il cui “rock della passione” ha avuto negli U2 l’esempio più eclatante e negli stessi Big Country dei validissimi portabandiera.
Il debutto su etichetta I.R.S con i cinque pezzi di The Alarm è del 1983, l’anno di War e dell’esordio dei Big Country. Ma già l’anno successivo gli U2 sono su un altro pianeta, con i suoni di Eno e Lanois e le megavendite di The Unforgettable Fire, mentre gli scozzesi si confermano disco d’oro con Steeltown. Declaration, il vero esordio sulla lunga distanza dei gallesi, vende sensibilmente meno, ed è già qui che gli Alarm iniziano a giocare un campionato diverso. A partire dall’opera seconda Strength (1985) Peters e i suoi decidono di fregarsene di mode e strategie commerciali, esercitando una coerenza che non consiste nel rimanere fedeli al proprio sound, ma semmai nel suonare solo ciò che piace. Ne escono pezzi memorabili come Spirit Of ’76, una canzone-mondo su quanto è bello essere amici quando si hanno passioni e sogni comuni, il cui testo è un incrocio tra la springsteeniana Bobby Jean e Stay Free dei Clash. Ma anche occasionali pasticci come quelli con ambient, elettronica e addirittura hip hop, combinati a metà anni ’90 da Peters in Feel Free (programmatico come quasi sempre i titoli dei suoi album), uno dei suoi primi dischi solisti.
Il live è sempre stato il momento centrale della vita degli Alarm, che hanno lavorato sul concetto di comunità come pochi altri. Basti pensare che con il loro Alarmstock (la Woodstock degli Alarm, in pratica) sono addirittura entrati nel Guinnes dei Primati. Nell’estate del 2003 hanno radunato i loro fan a Wrexham, in Galles, esibendosi in ben otto set a tema (uno dei quali, ospite il già citato Bruce Watson, era significativamente intitolato The Alarm vs Big Country). Più di 120 canzoni, un’esperienza ripetuta con successo anche negli anni successivi, anche in studi prestigiosi (a dir poco) come Abbey Road, l’Electric Lady di New York e lo studio della Capitol a Los Angeles, dove di fronte a un pubblico ristretto gli Alarm hanno registrato chilometrici album live. Ascoltandoli ci si fa un’idea dei tanti sentieri battuti dalla band durante la sua lunga carriera. Tra Maggie May e Maggie’s Farm, tra solide radici Brit e suggestioni dylaniane, sempre con il punk nel dna e il Galles come porto sicuro a cui fare ritorno. Peters non si muoverà mai da lì, tour a parte, e gli Alarm saranno a lungo il gruppo più amato dai loro conterranei, almeno fino all’avvento dei Manic Street Preachers.
Nel 2003, per dimostrare che la sua band non è roba vecchia e che l’industria musicale punta un po’ troppo sul look, Peters si inventa l’esperimento Poppy Fields. 45 rpm (a proposito di titoli programmatici) è sì un brano degli Alarm, ma nel video compare un gruppo di sbarbatelli (i Poppy Fields, appunto) interpretato dall’oscura band inglese dei Wayriders. Risultato: numero 28 nella classifica britannica (e 6 in quella indipendente), e un po’ di righe in più sui giornali. La vicenda ispirerà anche un film, Vinyl, interpretato tra gli altri da Phil Daniels, già protagonista di Quadrophenia e sodale dei Blur di Parklife. Chissà se l’idea gli è venuta pensando a Malcolm McLaren. Di sicuro i Sex Pistols avevano fatto danni anche in Galles, se è vero che la voglia di fondare i Toilets, la sua prima band, era venuta a Peters dopo avere assistito a un loro concerto a Chester. Del resto a Rhyl, cittadina costiera nel Galles del Nord, non c’era molto altro da fare. Ci aveva vissuto da bambino anche Steve Strange, coetaneo di Peters e futuro fondatore dei Visage, e chissà se si sono mai incontrati.
Gli ultimi trent’anni della sua vita sono stati accompagnati dalla malattia. Usiamo questo verbo con intenzione, perché il numero di album pubblicati (da solista e con la band), i tantissimi concerti e il grande impegno sociale (nel 2019 è stato nominato membro dell’impero britannico per la sua attività in favore dei malati di cancro) non fanno pensare a un uomo segnato dal linfoma diagnosticatogli nel 1995 e dalla successiva leucemia. «Sto combattendo una guerra», ha ripetuto più volte, e l’immagine del combattente è in effetti la più ricorrente fra quelle usate da coloro che ieri l’hanno voluto ricordare, fra i quali Nicky Wire dei Manics e Billy Duffy dei Cult, con il quale Peters aveva collaborato in uno dei suoi mille progetti.
Love Hope Strength (a proposito di nomi programmatici) era la fondazione da lui messa in piedi assieme alla moglie Jules (lei stessa colpita da un cancro al seno) per sostenere la loro attività. Pur di battersi per la causa dei malati, Peters è arrivato a suonare in cima al Kilimangiaro. «Vivete fino all’ultimo respiro, con un atteggiamento positivo nei confronti della vita, della vostra famiglia e dell’ambiente in cui vivete», aveva detto qualche anno fa al giornalista di Guitar World che gli chiedeva se un uomo che aveva attraversato tanta sofferenza avesse un messaggio da dare ai lettori.
In questo momento nella home page del sito degli Alarm c’è il nome di Mike Peters con la sua data di nascita e di morte e la scritta “Totally Free”, accompagnate dall’omonima canzone. “Sono libero e non ho paura di morire” canta in una sorta di ultimo saluto ai fan. Certamente non ha mai avuto paura di vivere.








