La musica non fa più la rivoluzione | Rolling Stone Italia
Il mangia nastri

La musica non fa più la rivoluzione

È tutto finito? O possiamo, dobbiamo tornare ad ascoltare i dischi in profondità? Una riflessione di Boosta dei Subsonica. «Mi manca svegliarmi e sapere che con la musica si può cambiare la vita»

La musica non fa più la rivoluzione

Davide ‘Boosta’ Dileo

Foto press

Partirà oggi da Nottingham il tour del Regno Unito di Boosta. Dal 23 luglio, al Teatro Romano di Brescia, il musicista dei Subsonica porterà in Italia Post Piano Session, la suite di elettronica e pianoforte articolata in sei EP usciti tra il 2022 e il 2023. Ha scritto per noi una piccola riflessione su velocità e profondità dell’ascolto e sull’impatto della musica sulle nostre vite. «Mi manca svegliarmi e sapere che con la musica si può cambiare la vita».

La nostalgia è maleducata, ti fa rimpiangere il passato: ti mancano gli anni della scuola, poi ti mancano gli anni degli inizi, poi ti manca il tempo. Ma mentre il passato si allontana sempre di più, ci si chiede se sia possibile rivivere quelle emozioni, se la musica possa ancora scuotere le fondamenta.

Un breve e incompleto riassunto, un viaggio attraverso le rivoluzioni sonore che hanno incendiato le generazioni e scosso il panorama musicale: agli inizi del Novecento è arrivata l’elettricità e la possibilità di riascoltare le proprie voci. Questa fu la prima rivoluzione, il superamento dei canoni, la ricerca che abbracciava sia l’ambito artistico che quello tecnologico, ampliando gli orizzonti artistici e iniziando a non porre limiti alla creatività. Negli anni ’50 e ’60 il rock ha incendiato le fondamenta della cultura giovanile, poi il beat e la cultura hippie, l’esperienza della psichedelia e la canzone come voce di protesta, diventando simbolo di ribellione e volontà di cambiamento. È stata un’epoca di esplorazione e di rivoluzione musicale, con artisti come Elvis Presley, i Beatles e i Rolling Stones che hanno ridefinito il concetto di musica popolare. Il rock ha infranto le barriere generazionali e ha dato voce a una gioventù desiderosa di esprimere la propria identità.

Negli anni ’70, il rock progressivo e la disco hanno dato battaglia come i cavalieri di un duello medievale. Il rock progressivo ha spinto i confini della musica tradizionale, sfidando le convenzioni e creando composizioni elaborate e sperimentali. Allo stesso tempo, la disco ha portato il ritmo e la voglia di ballare nelle discoteche di tutto il mondo, diventando un vero e proprio fenomeno culturale. Negli anni ’80 la musica ha iniziato una trasformazione profonda, da proattiva ha iniziato a vestire, con sempre più convinzione, il ruolo di colonna sonora di uno stile di vita edonistico. L’inizio di una nuova era: la musica rock più melodica e commerciale, il pop si è alleggerito, l’avvento di MTV ha rimodellato e potenziato l’intrattenimento visivo e, forse per la prima volta, l’ago della bilancia si è spostato sul piatto dell’immagine e della popolarità ponendo in concetto di celebrità come fondante.

Gli anni ’90, tra grunge ed elettronica, hanno rialzato testa e cuori, portando un’energia diversa e un’identità ribelle. Il rock ha rimesso al centro la persona e le sue difficoltà e l’elettronica, grazie anche all’evoluzione tecnologica, ha ripreso a esplorare, esplodendo dal sottobosco dell’underground fino a prendersi il palco principale e a ridisegnare molta della grammatica compositiva che avevamo sentito fino ad allora. E poi sono arrivati gli anni ’00. Zero e punto (va bene, forse esagero). Dicevamo, gli anni ’00, quelli dell’iper-tecnologia e delle piattaforme, dell’ascolto diluito, dello swipe, della ricerca di un vocabolario sempre più accomodante come se le parole e i concetti pesassero esattamente come la quantità di byte di un abbonamento. La soglia di attenzione del pubblico si è abbassata perché la diga che tratteneva l’informazione è crollata, la velocità dei nuovi mezzi di comunicazione ha iniziato a produrre una mole di dati che hanno reso necessaria la superficialità nell’acquisizione della conoscenza.

Lo so, è una visione catastrofista, ma è il titolo di questa piccola riflessione che me lo chiede, e tutto il buono lo tengo per un altro momento. Quindi, la domanda sorge spontanea: la musica fa ancora le rivoluzioni o le rivoluzioni non fanno più musica? La velocità è diventata il tratto distintivo di una parte significativa del presente, ma per essere veloci, non si può scendere in profondità. Questo è un fatto innegabile. Sapere ascoltare è una capacità a rischio. L’attenzione è divisa tra notifiche, social media e mille distrazioni che rendono difficile immergersi veramente nella musica. Eppure, nonostante le sfide e i cambiamenti, la musica continua a esistere e a svolgere un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Uno strumento universale, che possiamo usare per qualunque scopo, scrivere musica e ascoltarla dovrebbe continuare, nel miglior modo possibile, a influenzarci. La ricerca esiste, il pubblico dei concerti si assiepa sempre sotto il caldo e davanti al palco, ci saranno sempre testi da scrivere sui diari (o sul prossimo post).

“Posso risultare superficiale, in poche battute è difficile parlare di una delle cose più importanti nella mia esistenza”. Ma la musica è così potente, parla con noi e parla per noi, e non finirà mai, e servirà in ogni situazione. Ci saranno sempre canzoni che ci accompagnano nelle nostre giornate e momenti che si legano indissolubilmente a una colonna sonora personale. Ma, adesso, a me manca svegliarmi e sapere che con la musica si può cambiare la vita. Manca l’entusiasmo di lasciarsi trasportare da melodie che ci toccano nel profondo, di condividere emozioni attraverso le parole e i suoni. Manca la consapevolezza che la musica è un potente mezzo di espressione e di connessione umana.

Nonostante i cambiamenti e le sfide che la musica affronta nel mondo moderno, c’è la necessità di continuare a coltivare la nostra capacità di ascoltare e apprezzare la musica.

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