Una delle regole fondamentali nei film sui viaggi nel tempo è evitare di far cose che provochino una frattura nel continuum spazio-temporale. Le trame che si muovono tra passato, presente e futuro ci fanno capire quanto fragili sono le scelte che facciamo. Prendete Taylor Swift, che nel 2021 ha iniziato a costruire una realtà alternativa ri-registrando i primi sei album in studio per riappropriarsi della proprietà della sua musica. La domanda implicita era: e se si potesse rifare tutto da capo, ma in grande?
Col sostegno di una fanbase pronta a seguirla ovunque, Swift s’è trovata di fronte a possibilità infinite. Non è stata certo la prima a rifare le proprie canzoni per rivendicarne la proprietà, ma è stata la prima a farlo su grande scala. Le canzoni sono diventate armi in quella che lei stessa ha definito «la lotta della mia vita». Le ri-registrazioni sono quindi nate come modo elaborato per svalutare gli originali e dimostrare che il loro valore stava anzitutto nell’autrice. Alla fine, Swift ha avuto il suo lieto fine e ora possiede tutte le canzoni che ha scritto. Ma la verità è che le registrazioni originali saranno sempre e comunque migliori delle Taylor’s Version. Ogni dettaglio racconta la storia che l’artista temeva di perdere quando il suo catalogo è finito nelle mani sbagliate. E ogni piccola modifica che ha fatto nelle nuove versioni ha finito per per riscrivere la storia.
Swift ha apportato cambiamenti che hanno a che fare con le strutture, ma soprattutto con la strategia. Prendiamo Fearless (Taylor’s Version), il primo album della serie di ri-registrazioni. Con esso è uscita anche If This Was a Movie (Taylor’s Version), traccia numero cinque dell’EP The More Fearless (Taylor’s Version). La versione originale della canzone era però uscita due anni dopo Fearless ed era contenuta nell’edizione deluxe di Speak Now. Non ci sarà stata alcuna frattura nel continuum spazio-temporale, ma in buona sostanza Swift ha riordinato il tempo, cosa non insignificante per un’artista che cura meticolosamente l’ordine dei pezzi negli album. Swift ha potuto ritoccare il passato con la prospettiva maturata anni dopo l’uscita degli album.
If This Was a Movie era anche l’unica canzone della deluxe di Speak Now a includere un co-autore, Martin Johnson dei Boys Like Girls. Quando è uscita la Taylor’s Version di Speak Now la canzone non c’era. Swift ha spiegato di avere scritto il disco «completamente da sola, tra i 18 e i 20 anni». Nel 2010 ha detto di averlo fatto per dimostrare di essere artefice del suo stesso successo. «Le canzoni nate in quel periodo erano caratterizzate da onestà brutale, confessioni diaristiche senza filtri e grandissima malinconia. Racconta una storia di crescita, cadute, voli e schianti… e di sopravvivere per poterla raccontare». Quella sola canzone scritta in collaborazione con un altro autore non avrebbe certo smentito la sua tesi, ma apparteneva a una diversa linea narrativa e quindi l’ha messa da parte.
Nonostante tante parole sull’onestà brutale e sulle confessioni senza filtri, Swift non ha resistito all’istinto di ripulire cose qua e là. Il cambiamento più evidente riguarda Better Than Revenge (Taylor’s Version). La nuova versione modifica il verso “She’s better known for the things that she does on the mattress” (“È più famosa per le cose che fa sul materasso”). Per quanto blande in quel contesto, quelle parole stonavano con l’immagine della dolce reginetta del country-pop. La modifica rimuove un elemento essenziale per comprendere come la sua storia s’intrecci con femminismo e misoginia, un aspetto del suo racconto che ha ispirato corsi universitari. Magari oggi non lo direbbe più, ma a suo tempo era quella la sua verità.
Per Red (Taylor’s Version) Swift ha fatto l’esatto opposto. Nella versione di 10 minuti di All Too Well dice molte più cose, non meno. È oggetto di controversia il verso “Fuck the patriarchy”: l’ha scritto davvero all’epoca o è solo un modo per dare una risposta migliore e aggiornata a distanza di anni? Portare il futuro nel passato significa barare? Forse. Ma non c’erano regole su quel che stava facendo, le ha scritte lei strada facendo. Quando Max Martin e altri produttori di Red e 1989 hanno deciso di non partecipare alle ri-registrazioni, le nuove versioni sono state fatte con Christopher Rowe e Jack Antonoff. Ma come accaduto per Speak Now (Taylor’s Version), molte scelte produttive nei remake hanno in gran parte seppellito la tempesta di emozioni degli originali.
Si potrebbe obiettare che, in fondo, non è poi così importante. Le versioni originali esistono ancora e i fan possono creare playlist su misura combinando le versioni che preferiscono. E però fino a quando Swift non ha ripreso possesso della propria musica si pensava che non sarebbe stato necessario tornare agli originali. Dopo Fearless e man mano che il suo sound si è fatto più complesso, è diventato sempre più difficile ricatturare lo spirito del momento in ogni nuova uscita. La voce di Swift è cambiata tanto quanto lei. Niente più finto accento country. Si percepisce un evidente distacco emotivo nel suo catalogo rivisitato, una distanza tra il melodramma dei ricordi e il filtro sbiadito attraverso cui li ripensa oggi.
Swift comunica da sempre coi fan tramite indizi nascosti e messaggi intricati e quindi sa quanto contano i dettagli minuscoli e apparentemente insignificanti. Lo ha ammesso quando ha rivelato che, al momento, ha registrato meno del 25% di Reputation (Taylor’s Version). «È molto legato a quel periodo della mia vita e ogni volta che cercavo di rifarlo, mi bloccavo. È l’unico album tra i primi sei che pensavo non potesse essere migliorato rifacendolo». Il frammento di Look What You Made Me Do (Taylor’s Version) apparso in un episodio di The Handmaid’s Tale ne è la prova. È solo un assaggio, ma basta per far capire che ci vorrebbe una tavola ouija per richiamare lo spirito della vecchia Taylor: solo lei saprebbe cantarla nel modo giusto.
Nei suoi dischi Swift evoca le emozioni in modi molto particolari. È evidente quando ci mette tutta sé stessa e quando invece no. La si sente nelle pieghe profonde delle registrazioni originali. E se ne avverte l’assenza nei remake. Il grande punto di forza di Swift come performer è che, quando canta qualcosa, le credi. È per questo che Reputation è un disco tanto personale. Il fatto che, in quel momento, faticasse a farsi credere era parte integrante dell’album. Come può ritrovare quella sensazione di essere la persona più odiata del pianeta ora che è una delle più amate? E perché mai dovrebbe volerlo?
L’Eras Tour è stato l’unico posto dove non esistevano differenze tra originali e Taylor’s Version, le si cantava tutte assieme, ognuno con la sua preferita. Alcuni hanno scoperto la musica di Swift quando era ormai considerato un tradimento ascoltare le versioni rubate, come le chiamano i fan. Le emozioni che per lei sono vecchie e consunte, per loro potrebbero essere nuove. Quella è la loro versione. Altri convivono con quelle parole da anni e sanno esattamente cosa manca quando ascoltano i remake in auto o nelle cuffie.
Nei film è a questo punto che scorrono i titoli di coda, dove Swift potrebbe cantare: “Nothing’s gonna change, not for me and you”. A proposito, mentre leggete queste parole quale versione sentite?