«Noi facciamo vedere e sentire la leggenda di Zagor». Così inizia a narrare la voce fuoricampo di Vittorio Ondedei nel film documentario La leggenda di Zagor di cui firma la regia insieme a Filippo Biagianti e che verrà presentato domani al Pesaro Film Festival. Zagor è Mirko Bertuccioli, musicista pesarese classe 1973 che con Ruben (appunto Vittorio Ondedei) ha dato vita ai Camillas. Il 14 aprile 2020 Mirko è morto dopo aver contratto il Covid a febbraio. Ma – spiega bene il film – non è mai venuto a mancare.
La leggenda di Zagor narra di quella creatura fantastica, ciabatte infradito quattro stagioni e occhiali da sole in plastica blu, che è entrata nella musica italiana con tutta la freschezza del pop surreale dei Camillas: la tastiera di Zagor e la chitarra di Ruben, musiche ritmate, testi funambolici e nonsense, urla e suoni gutturali, versi di animali compresi. Una storia nata nel 2004 con un nome ispirato all’attuale moglie di re Carlo, Camilla Shand. Nel tempo la formazione ha visto aggiungersi (o uscire) altri “fratelli”: Orson (Lorenzo Scarpetti, contrabbasso dal 2007 al 2009), Michael (Enrico Liverani, batteria dal 2015) e Theodore (Daniel Gasperini, basso dal 2018). Hanno pubblicato quattro album in studio, da Le politiche del prato nel 2009 a Discoteca rock nel 2018 (per etichette che vanno da Garrincha Dischi e Trovarobato), uno dal vivo e un EP, facendo una media di 100 concerti all’anno negli ultimi tempi.
Tutte le persone incontrate, tutte le canzoni suonate popolano ora i 90 minuti di La leggenda di Zagor facendo capire anche a chi non l’ha mai incontrato come sia possibile che Mirko Bertuccioli sparga ancora i suoi luccichini dappertutto. Tutti lo ricordano sorridendo e parlano della sua capacità di improvvisare “moltobene” (uno dei suoi motti) e mettere insieme le persone. Di portare festa nei cuori.
Lo raccontano i colleghi musicisti, gli amici pesaresi del Circolo Arci di Villa Fastiggi dietro casa sua, i gestori di locali e rassegne che hanno ospitato i concerti. Lodo Guenzi dello Stato Sociale ricorda il primo incontro nella sua casa bolognese, quando giovanissimo e ancora sconosciuto si prestava a ospitare band post-concerto per 50 euro a notte, mentre Max Collini sul finale del film riporta alla memoria la falsa notizia che I Camillas facevano circolare sulle proprie origini, scrivendo nella loro biografia di esser nati a Pordenone (come Tre Allegri Ragazzi Morti e Prozac+) e non a Pesaro.
E la gag sulla «costa est di Pesaro» con Claudio Bisio in tv? Ne parla l’autore televisivo Giovanni Benincasa, a cui I Camillas devono la partecipazione nel 2015 a Italia’s Got Talent. Mirko aveva scritto su Facebook che avrebbe voluto far ascoltare una sua canzone a milioni di persone. Benincasa, che già stimava il gruppo, lesse quel post e li chiamò in puntata. Bisonte è diventato un piccolo tormentone come del resto anche Nananana nel 2017 (sigla di Colorado) e Il gioco della palla nel 2018 (sigla di Rai dire Nazionale della Gialappa’s).
Non è solo Zagor al centro della “leggenda” del film. Perché Bertuccioli ha segnato il mondo della musica in mille modi. Ad esempio ha dato vita al Plastic di via Passeri a Pesaro, un negozio di dischi più simile a una factory in stile Andy Warhol che a una mera attività commerciale da cui son passate generazioni di artisti tra cui, per fare un esempio, Maria Antonietta. Con la sua Agenzia di Plastica e con l’etichetta I Dischi di Plastica ha organizzato concerti e scoperto talenti un tempo ancora emergenti come Pop X e Calcutta. Ha ideato eventi come From Pesaro with Love e col nome di DJ Youtube ha animato feste.
Ha anche curato “Il muro del suono”, una sezione di quella stessa Mostra Internazionale del Cinema di Pesaro che domani gli renderà omaggio con l’anteprima del documentario e che già nell’agosto 2020 ha ospitato in pieno periodo di norme anti-Covid un concerto-tributo in sua memoria, “Luccichini dappertutto”, con Auroro Borealo, Brace, Calcutta, Colombre, Duo Bucolico, Giacomo Laser, Maria Antonietta, Lo Stato Sociale, Pop X, Bluebeaters e Vanessa Vermouth.
Il registro del film è colloquiale, la leggenda è quella di un ragazzo goloso di merendine che restava spesso a piedi con l’auto perché dimenticava di far benzina, come ricorda il fratello Marzio. Gli intervistati hanno gli occhi che brillano di gioia. Perché Mirko non manca, in un certo senso lui c’è ancora. Ce lo mostrano i materiali di archivio che intervallano le interviste, «20 ore di materiale girato in diverse città, ma anche il backup del cellulare di Mirko e molti video mandati via internet dagli amici sparsi in tutta Italia», ricorda il co-regista Filippo Biagianti.
Tra i tanti ricordi portati a galla e condivisi manca quello di Ruben Camillas. Così glielo abbiamo chiesto noi: «Mi appaiono insieme Mirko che dorme e Mirko che si lancia addosso al pubblico. L’abbraccio del sonno e l’abbraccio delle persone. Quindi mi ricordo il suo abbracciare».
Nei titoli di coda, i crediti della colonna sonora del film, ovviamente le musiche dei Camillas, oltre a Margot (il gruppo electronoise pop del Mirko degli esordi), Crema (i post Camillas senza Mirko: Ondedei, Liverani e Gasperini) e DJ Minaccia (Feat. Zagor Camillas). Non esiste ancora una canzone per Mirko, ma potrebbe esserci presto. «Si intitola La visione» dice Ondedei «e uscirà prima o poi fatta da Ruben Camillas. Inizia così: “Se non basterà aprire tutte le fontane, bruceremo le candele”. Dopo un po’ continua così: “Se non tornerà la misura attesa, conteremo le mie dita”. Finisce così: “Dimmi che non sono io quello steso ad asciugare”».
Ve lo chiedete ancora perché un documentario su Mirko/Zagor? Risponde la voce fuoricampo di Vittorio nel film: «Non per responsabilità, ma per piacere, per battere i piedi e sollevare il polverone. Perché Mirko restasse attaccato a qualcosa che accade e tiene insieme le persone. Oppure perché le persone fanno accadere che lui sia sempre attaccato alla vita. Non so quale sia il verso giusto. Va bene così».