La lectio magistralis di Guccini sulle osterie | Rolling Stone Italia
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La lectio magistralis di Guccini sulle osterie

L’Osteria dei Poeti, «che ci illudeva di essere poeti maledetti e invece era della famiglia Poeti», gli anziani che sonnecchiavano davanti a un quartino di vino, i semi-alcolizzati, le chitarre per portare allegria. «I posti ideali per noi che non eravamo fighetti». Il Maestrone ha presentato oggi il nuovo album ‘Canzoni da osteria’

La lectio magistralis di Guccini sulle osterie

Francesco Guccini

Foto press

«Quando gli abbiamo chiesto la lista di canzoni per il primo album mi ha stupito che ne avesse scelte 60-70. Ora siamo al secondo capitolo, ma per timore reverenziale non gli ho ancora chiesto se vuole continuare». Così il responsabile della BMG introduce il nuovo disco di Francesco Guccini Canzoni da osteria, naturale seguito di Canzoni da intorto uscito lo scorso anno, sfatando la leggenda – messa in giro dal protagonista – che il Maestrone fosse stato forzato a tornare alla discografia.

Certo, nella scrittura di libri da qualche anno sembra più a suo agio, ma la musica è ancora qualcosa di irrinunciabile. In particolare la reinterpretazione delle «canzoni in cui ho creduto», come spiega al suo arrivo nell’aula magna dell’Università degli studi di Milano, dopo aver constatato, ancora una volta, come «a Pavana c’è meno traffico di Milano, una città tentacolare». Nonostante il ritardo di un’ora, l’incontro che ha visto la presenza di moltissimi giovani studenti, più che la presentazione di un nuovo disco è sembrata una lectio magistralis sulla vita da osteria negli anni ’60-70. Non è stato comunque fuori luogo, visto che ha permesso ai presenti di comprendere appieno il mondo, in larga parte scomparso, nel quale sono nati e sono diventati simbolici i 14 brani dell’album uscito oggi esclusivamente in formato fisico, tutti canti popolari o veri e propri inni alla libertà o alla resistenza rivisitati in chiave personale.

E se Canzoni da intorto è stato certificato Disco di platino, ha vinto la Targa Tenco per la categoria “Interprete di canzoni” ed è stato l’album fisico più venduto del 2022 (con 51 mila copie), Canzoni da osteria sembra poterlo eguagliare. Il primo pezzo è già tutto un programma: Bella ciao, il canto simbolo della Resistenza, che contiene anche un omaggio alle donne iraniane con un motivo cantato in farsi. Guccini ci tiene a precisare che «la scelta della scaletta è dei discografici», però lui deve averla accettata e non è proprio secondario. È vero anche che il cantautore, come nel precedente disco, non ha voluto associare queste canzoni alla politica attuale, ma è vero anche che quando gli chiedono cosa ne pensa dell’Italia di oggi risponde ironico: «Sono soddisfatto di come viene governata l’Italia, c’è una signora che dice di esserlo sempre. In quanto al cambiamento al testo che ho fatto in Bella ciao, tanto a 83 anni non mi metteranno in galera e già questa è una bella soddisfazione».

Si riferisce alla sostituzione della parola “oppressor” rispetto a “invasor” perché, ha puntualizzato, «in Iran, e forse anche in Italia, non ci sono invasori, ma oppressori». Ma per essere ancora più chiaro, non ha risparmiato neppure il ministro della cultura quando gli è stato chiesto del suo ultimo libro, Vola golondrina: «Forse il ministro della cultura non leggerà il mio libro dove un fascista non fa una bella figura, come non aveva letto i libri del Premio Strega, ma me ne farò una ragione».

Dopo queste stilettate al governo Meloni, Guccini ha spiegato la scelta di vari brani, che variano dal Jacinto Chiclana, El caballo negro, La chacarera del 55 e Sur, fino a Amore dove sei, Maria la guerza e La tieta. Non mancano standard come Il canto dei battipali in veneto, La maduneina dal Baurgh ‘d San Pir in bolognese, Hava nagila in ebraico, la nostalgica The Last Thing on My Mind e il folk americano in Cotton Fields e si chiude con il brano tra greco e l’italiano, 21 aprile. Poi spazio soprattutto per le sue amate osterie. Tre le principali che dice di aver frequentato con assiduità, l’Osteria dei Poeti, l’Osteria delle Dame e l’Osteria Gandolfi.

«L’Osteria dei Poeti, per il nome, ci illudeva di essere poeti maledetti. Invece era della famiglia Poeti». Luoghi, stando ai suoi ricordi, «tristissimi popolati di anziani signori, semi-alcolizzati che sonnecchiavano davanti al quartino, dove i vini erano o bianchi o rossi e basta. Un bicchiere costava 25 lire e se avevi fame c’era un uovo sodo con un po’ di sale e pepe». La svolta arrivò con loro, i cantautori: «Noi con le chitarre e portavamo un po’ di allegria. Per noi, che non eravamo fighetti, erani i posti ideali: se proprio esageravi a spendere in una serata buttavi 1000 lire, che oggi sono 50 centesimi».

Di politica si parlava, ma neanche tanto di quella italiana, quanto «della guerra in Vietnam e dei diritti civili». E ancora, il cantautore ha ricordato Bologna, una città particolare perché «non si dormiva mai». E persino gli americani, che erano lì per studiare, ne rimanevano rapiti: «Portavo i miei studenti alle Feste dell’Unità e rimanevano sbalorditi, soprattutto quando gli dicevo: “Questi ogni tanto mangiano un bambino”».

C’è stato spazio anche per un excursus della musica di ieri e di oggi. Prima di tutto, ha ridimensionato, usando un eufemismo, i brani famosi precedenti alla sua generazione: «Le canzoni di quel periodo italiane erano ignobili. Ce n’era una che dicevano “la postina della Val Gardena bacia solo con la luna piena”. E andavano al festival di Sanremo. Ma va a cagare! Meno male che un gruppo di intellettuali si è ribellato grazie ai Cantacronache». Se lui cerca l’utilità nelle canzoni, torna a fare il confronto con la musica che ha ascoltato da bambino: «Ma vi ricordate La casetta in Canadà? Due coglioni tremendi…». Infatti poi aggiunge un elogio alla sua generazione: «La canzone d’autore ha realizzato cose molto belle e ha cambiato la musica italiana». Una tradizione che viene mantenuta dal Club Tenco, sul quale però ammette di non essere più così in linea: «Adesso fanno delle scelte opinabili».

Tornando al disco, come nel precedente anche in Canzoni da osteria è presente un’ampia varietà di strumenti e sonorità ad accompagnare la voce di Francesco Guccini «che non è più quella di 10-15 anni fa», ma che comunque restituisce tutta la forza di questi brani. Gli arrangiamenti sono di Fabio Ilacqua che ne ha seguito anche la produzione artistica affiancato da Stefano Giungato e il disco è disponibile in cinque formati solo fisici tra cui uno speciale doppio vinile edizione con tracce strumentali.

Da oggi e fino a domenica 26 novembre nell’ambito della Milano Music Week, a Milano lungo Via Dante, sarà possibile visitare “Ma ho fatto anche il cantautore – Francesco Guccini: oltre il palco”, la mostra fotografica a cielo aperto in collaborazione con Newu, con alcuni degli scatti più belli che ripercorrono la vita, la storia e la sua carriera anche lontano fuori dal palco. Per chi volesse invece vedere il Maestrone di persona non rimarrà deluso perché sono previsti due appuntamenti di presentazione del nuovo disco: sabato 11 novembre a Milano presso la Triennale e venerdì 1 dicembre a Bologna al Cinema Modernissimo.

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