La campagna contro Taylor Swift “nazi” è la prova generale di qualcosa di inquietante? | Rolling Stone Italia
Mega, non Maga

La campagna contro Taylor Swift “nazi” è la prova generale di qualcosa di inquietante?

È di destra. Anzi, è nazista. Il dibattito online sulla popstar ha preso una piega allarmante e non è successo per caso. Una rete di account bot alimenta l’indignazione per orientare le opinioni. Spesso ci riesce

La campagna contro Taylor Swift “nazi” è la prova generale di qualcosa di inquietante?

Taylor Swift

Foto: Erika Goldring/TAS24/Getty Images

L’uscita di The Life of a Showgirl di Taylor Swift non è stato solo un evento pop di prima grandezza. Mentre il disco diventava sempre più popolare, fino ad essere il pioù venduto di sempre nella prima settimana di pubblicazione, fan e detrattori ne dissezionavano le canzoni come investigatori forensi alle prese con testi, artwork, merchandising, Easter egg. A un certo punto, però, il dibattito online ha preso una piega inquietante. Sui social sono apparsi post che accusavano Swift di sostenere implicitamente il movimento Maga, di avere una concezione dei ruoli di genere da trad-wife, di propagandare idee da suprematista bianca.

Non è la prima volta che l’estrema destra rivendica la cantante come icona “ariana” nonostante Swift abbia appoggiato candidati dem e dichiarato valori liberal. Trump ha condiviso forse con leggerezza, sicuramente in modo disonesto immagini generate dall’AI che raffiguravano la cantante come sua sostenitrice. Questa volta però è avvenuta una cosa diversa: Swift è stata criticata perché vicina alla destra. Gli attacchi si sono concentrati in particolare sulla scelta di certe parole nei testi, come “savage” in Eldest Daughter che è stato interpretato come razzista, e simboli come la collana in vendita sul sito i cui fulmini sarebbero un richiamo alle uniformi delle SS.

Sono accuse ovviamente ridicole e hanno portato gli Swifties a criticare i commentatori progressisti colpevoli di aver esagerato nel tentativo di evocare segnali di criptofascismo nel lavoro di Swift. «Reazioni del genere finiscono per ridicolizzare chi ha a cuore il progresso sociale», ha scritto ad esempio un fan su Reddit. «Più il discorso si fa esagerato, più finisce per alimentare la narrazione della destra secondo cui quelli di sinistra sono isterici, moralisti e incapaci di cogliere le sfumature».

Ciò che i difensori di Swift non hanno colto, però, è che stavano reagendo a insinuazioni diffuse da account fake. Nel cercare di confutare quelle accuse assurde, stavano contribuendo involontariamente a diffonderle. È quel che afferma una nuova ricerca di Gudea, startup di behavioral intelligence che monitora i meccanismi che portano alla nascita e alla diffusione su Internet di accuse dannose per la reputazione. In un white paper che analizza più di 24 mila post e 18 mila account presenti su 14 piattaforme tra il 4 ottobre (il giorno dopo l’uscita di The Life of a Showgirl) e il 18 ottobre, Gudea afferma che il 3,77% degli account ha generato il 28% delle discussioni su Swift e sull’album. Questo cluster di account dall’azione evidentemente coordinata ha spinto i contenuti più provocatori su Swift, tra cui le teorie del complotto sui riferimenti al nazismo, i presunti legami col movimento Maga, i post che presentavano la sua relazione con Travis Kelce come intrinsecamente conservatrice o “trad”, il tutto fatto passare come una critica che veniva da sinistra.

Una volta diffuse su 4chan o KiwiFarmsnel, queste tesi sono state spinte in modo organico sui social mainstream proprio da chi le contestava e questo ne ha rafforzato la visibilità grazie al lavoro degli algoritmi. «La falsa narrazione secondo cui Taylor Swift stava usando simboli nazisti non è rimasta confinata negli spazi marginali frequentati da chi ama le teorie del complotto», scrivono i ricercatori. «È la dimostrazione di come una cosa falsa, ma sostenuta in modo strategico può dar vita a una conversazione autentica e diffusa, rimodellando la percezione pubblica anche quando la maggior parte degli utenti non crede all’affermazione originaria» (un rappresentante della cantante non ha risposto a una richiesta di commento).

Gudea ha identificato due picchi di attività. Il primo è stato registrato tra il 6 e 7 ottobre, con il 35% circa dei post generati da bot (e presunti tali), il secondo tra il 13 e il 14 ottobre dopo che Swift ha messo in vendita la collana col fulmine legata alla canzone Opalite, con il 40% circa dei post condivisi da account non autentici e una conversazione guidata per il 73,9% da contenuti complottisti. «Internet è fake», dice Keith Presley, fondatore e CEO di Gudea. Scherza, ma non fino in fondo visto che sostiene che il 50% del web è alimentato da bot. «È una tendenza che abbiamo visto nel mondo corporate questa di lanciare campagne volte a danneggiare la reputazione altrui».

Presley e il suo team non sanno chi si nasconde dietro l’operazione Swift, ma hanno scoperto «una sovrapposizione significativa tra gli utenti degli account che hanno spinto le storie su Taylor Swift nazi e quelli attivi in una campagna contro Blake Lively». L’attrice ha sostenuto in una causa per molestie sessuali ancora in corso che l’attore e regista Justin Baldoni ha orchestrato una campagna diffamatoria sui social. I dati, scrivono i ricercatori, «rivelano una rete di amplificazione trasversale che influenza in modo sproporzionato molte controversie legate alle celebrità e inquina con la disinformazione conversazioni online altrimenti organiche».

L’intersezione tra le reti e la somiglianza delle strategie su due temi separati dimostrano un certo livello di sofisticatezza nel business dei danni reputazionali sui social, dice Presley. «Sanno quel che fanno». L’attività focalizzata su Swift da parte di questi account potrebbe essere un modo per testarne le potenzialità prima di mirare ad altri obiettivi con gli stessi mezzi. Non è chiaro chi possa guadagnare qualcosa facendo passare l’idea che Swift sia una Maga in incognito. «Potrebbe essere» dice Georgia Paul, head of customer di Gudea «che ci siano altri attori, non americani, che si domandano: “Se riesco a influenzare la fanbase di Taylor Swift, un’icona e in un certo senso anche una figura politica, significa che posso fare qualcosa di simile con altri?”».

Non si conoscono le intenzioni di chi ha organizzato l’attacco, ma è chiaro come ha operato: cercare di convincere utenti veri a deridere o a confutare affermazioni assurde non fa che amplificarle all’interno dell’ecosistema digitale. «Sanno che l’algoritmo li premierà, soprattutto quando si tratta di affermazioni provocatorie», spiega Presley. «Gli influencer sono i primi ad accodarsi, perché procura loro visualizzazioni», subito dopo arrivano follower anonimi che iniziano a dire la loro. È una cosa a cui dovremmo pensare quando ci imbattiamo in opinioni che sembrano fatte apposta per farci infuriare.

Non c’è dubbio che Swift susciti reazioni forti, in un senso o nell’altro, ma non c’è ragione di pensare che chi ignora le posizioni politiche che la popstar ha dichiarati esplicitamente sia sincero quando costruisce fantasie paranoiche sulle sue inclinazioni reazionarie. Di questi tempi e con questi social il vero obiettivo è la nostra indignazione.

Da Rolling Stone US.

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