King Princess canta la violenza emotiva che costruisce e distrugge | Rolling Stone Italia
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King Princess canta la violenza emotiva che costruisce e distrugge

La musicista (anche attrice al fianco di Nicole Kidman) è tornata con l’album ‘Girl Violence’ in cui racconta la tensione tra donne, amiche, amori. L’intervista

King Princess canta la violenza emotiva che costruisce e distrugge

King Princess

Foto: Conor Cunningham

Quando risponde alla videochiamata King Princess è sul bagnasciuga da qualche parte in America. Mentre rincorre il suo cane verso un chiosco sulla spiaggia, lo sfondo sembra quello di un teen movie anni ’90. Dopo gli EP d’esordio Make My Bed, Hold On Baby e singoli come 1950 e Pussy Is God che l’hanno imposta quale voce queer riconosciuta e songwriter di talento, la newyorkese Mikaela Straus ha pubblicato l’album Girl Violence. «Parla di sfide e della guerra psicologica tra ragazze».

L’album nasce a Los Angeles a contatto con Nate Mercereau e Nick Long, poi finisce a New York nelle mani di Jake Portrait (Lil Yachty, Alex G, Unknown Mortal Orchestra) e Aire Atlantica (co-produttore di Low di SZA). Viene registrato nello studio del padre, quello in cui è cresciuta. Scelta artistica e logistica: autonomia totale, strumenti familiari, niente filtri. «Soprattutto perché sapevo che non stavo più facendo un disco per un’etichetta, ero libera. Volevo godermi la facilità di sentirmi a casa».

Il disco segna il ritorno dell’artista a Brooklyn, una rinascita: «Dopo tanti anni dall’altra parte degli States ho deciso di tornare a viverci e tutto ha avuto un senso, dalla vita del quartiere agli amici, la comunità attorno a me. È stato un vero e necessario homecoming». Come tra i versi di Upper West Side nell’EP d’esordio, New York torna tra i brani come imprescindibile colonna sonora. «L.A. è silenzio, New York è sinfonica: personaggi, storie, litigi, gente che si innamora, rumori. È caos organizzato. Ti ricorda che vivi in un enorme formicaio e che non sei così importante. È umiliante in senso buono, e ti ispira a creare».

Il suono è riconoscibile, tra vintage e presente. Lei la mette così: «Mi interessa la zona di mezzo. Immagina i Beatles con un Moog tra le mani, ma nel ’67». I riferimenti vanno dai Fab Four ai Radiohead e al grunge anni ’90: «Il rock “sintetico” è il luogo dove sto meglio: una canzone che puoi suonare al piano, seguita da un Mellotron o un Moog che spostano l’aria. Non voglio né roba che suoni nuova e lucida, né vecchia e con troppe reference. Il punto è mischiare finché suona stranamente familiare».

Il brano che ha aperto la strada al disco è RIP KP: presentato al Late Show di Stephen Colbert, è un inferno queer elegante e disturbato: «Dato che l’album parla di clash emotivi dovevo partire dall’innamoramento: attrazione, urgenza, l’idea che una persona che ami possa distruggerti. E volevo che il primo pezzo fosse sesso, desiderio, bisogno».

Il tono è spesso agrodolce. «Ho immaginato una terra di mezzo: triste e divertente, devastante ed edificante. Se tolgo la leggerezza dalla mia musica diventa tutto troppo mesto». Tra i brani cardine cita Covers («la più fragile»), Serena («la fine del viaggio e l’inizio di un altro») e Cherry («il momento in cui scelgo me stessa»). La definizione del titolo torna chiara: «La girl violence non è fisica: è emotiva e spirituale. È la tensione d’amore tra donne, tra amiche, tra amori in generale. Costruisce e distrugge insieme».

King Princess - RIP KP (Official Music Video)

La scelta di produrre da indipendente è un altro passo importante: «Agli artisti vendono ancora un’idea di essere messi sotto contratto. Ma lo scenario è cambiato. Le indie hanno risorse simili e spesso staff più giovani, affamati, centrati sulla musica, più inclini ad ascoltare l’artista piuttosto che i dati. Io cercavo fiducia e rispetto: loro fanno marketing, io faccio dischi. Non so nemmeno più cosa significhi essere un’artista major. Non era il posto giusto per me. Col mio manager abbiamo avuto il coraggio di guardare altrove, quello che abbiamo trovato è una squadra che non ha paura di rischiare e di lasciarmi essere me stessa. Anche l’idea di certi elementi narrativi più folli nasce da noi, e loro hanno detto sì».

C’è anche l’attività di attrice, che non è una deviazione ma benzina creativa: dopo Nine Perfect Strangers con Nicole Kidman arriverà Song Sung Blue con Hugh Jackman e Kate Hudson. «Recitare è un ottimo esercizio per una musicista: cambi il corpo ma non il processo. Crei personaggi, analizzi, empatizzi, ti rifletti. Mi riporta alla musica con più fame, e poi ogni personaggio viene da una parte di te che ti costringe alla verità».

Intanto Girl Violence è in viaggio, da Austin a New York, poi Los Angeles, l’Europa: «Sul palco tutto si chiarisce, il caos diventa energia. È lì che la musica vive davvero». Più che un breakup album, è una storia d’amore in tutte le sue forme: per gli altri, per sé stessa, per il disordine che la ispira. «Se vai a fondo, è un disco sull’innamorarsi dell’imprevisto, e dell’idea che amare forte sia lo scopo, anche quando fa male».

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