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Kelly Lee Owens ha trovato l’anima in un classico dei Radiohead

La musicista gallese apre il nuovo album con un esperimento provocatorio: cosa sarebbe successo se i Radiohead non avessero lasciato la strada intrapresa con 'Kid A'? La risposta è nella cover di 'Arpeggi'

In autunno saranno vent’anni da quando i Radiohead hanno scioccato il mondo rinunciando al rock. O meglio, da quando hanno reso temi e suoni rock secondari rispetto all’elettronica che Thom Yorke e compagni ascoltavano sul finire del decennio. Non erano certo la prima band a scambiare le chitarre per i computer portatili, ma la determinazione con cui hanno affrontato la svolta in pezzi come Everything in Its Right Place e Idioteque aveva un che di sovversivo. Non avevano però dimenticato il genere con cui avevano iniziato. Nel 2007, ai tempi di In Rainbows, erano pronti a innamorarsi di nuovo di accordi caldi e versi poetici. Il rock li ha riaccolti a braccia aperte e quel disco ha conquistato un pubblico tutto nuovo fra cui Justin Timberlake.

La musicista gallese Kelly Lee Owens apre il suo nuovo album Inner Song con un esperimento provocatorio: cosa sarebbe successo se i Radiohead non avessero abbandonato la strada imboccata con Kid A? La sua cover strumentale di Weird Fishes/Arpeggi, uno dei pezzi più rappresentativi di In Rainbows, è un trionfo di sintetizzatori glaciali, suoni bassi rombanti ed eleganti beat prodotti dalle macchine. Il suggestivo interplay tra le chitarre contenuto nell’originale è trasfigurato in un universo alternativo dominato dalle stranezze tipiche dell’etichetta Warp. Se Thom Yorke l’avesse ascoltata nel 1999, ne sarebbe stato sconvolto. Non è una trovata ad effetto e non è nemmeno un’imitazione: Owens è una vera musicista e ha creato una specie di robot-gospel sublime e affascinante a prescindere dal fatto che i Radiohead vi piacciano o meno.

Ownes non ha chiaramente paura a confrontarsi con i grandi del canone rock. In un altro pezzo forte del disco, Corner of My Sky, la voce del co-fondatore dei Velvet Underground John Cale si intreccia con una sinfonia di sintetizzatori. Owens tiene le fila con lucidità e in inni da rave come On e Melt! dà alla sua voce un fascino glaciale.

Per i fan del vintage, però, la sua cover dei Radiohead rappresenta un momento speciale. È l’inverso di quello che ha fatto di recente Lianne La Havas con lo stesso pezzo. Mentre quest’ultima si è concentrata su testo e melodia, trasformandoli in un pezzo in stile lover’s rock, Owens fa girare tutto attorno alla disperazione profonda sottesa al break strumentale, mettendo in primo piano i suoni e le sensazioni più allucinate nascoste nell’arrangiamento. È il suono di una liberazione, un meccanismo che colpisce e se ne va.

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