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Kanye West non è cambiato, siamo cambiati noi

Il primo episodio della docuserie ‘jeen-yuhs’ ci riporta a quando Ye combatteva per il rispetto della scena rap con le stesse trovate esagerate di oggi. Unica differenza: il supporto fondamentale della madre

Kanye West non è cambiato, siamo cambiati noi

Kanye West con la madre Donda

Foto: Johnny Nunez/WireImage via Getty Images

È il 2002 quando Kanye West entra negli headquarters della Roc-A-Fella, la più importante etichetta discografica hip hop fondata da Damon Dash, Biggs Burke e Jay-Z. Appena un anno prima, a 24 anni, ha prodotto quattro tracce per il disco The Blueprint dello stesso Jay-Z, che in breve diventerà una pietra miliare del rap americano, e a tutti gli effetti è considerato uno dei producer più promettenti a New York.

Per questo, quando entra negli uffici della Roc-A-Fella seguito da una telecamera, nessuno si preoccupa di cosa possa accadere. Kanye è lì con un obiettivo preciso: dimostrare ai piani alti dell’etichetta che lui non è solo un produttore, ma un rapper che merita un contratto discografico. E quindi Kanye fa la cosa più Kanye possibile: inizia a girare per gli uffici, come un folle, costringendo le dipendenti a sentire il suo futuro singolo All Falls Down, rappandogli letteralmente in faccia. Oggi rischierebbe quantomeno una denuncia per molestie. In quel momento invece, nel disinteresse generale, il gesto è un fallimento colossale e dimostra come – da sempre – la sicurezza del rapper di Chicago abbia la capacità di trovare la peggiore messa in atto possibile per essere compresa e apprezzata nonostante quello stesso brano, un paio d’anni dopo, diventerà una hit mondiale. Kanye aveva ragione, ma – come sempre – ha trovato il modo peggiore per farcelo sapere. Vedere queste scene oggi, a vent’anni di distanza, e dopo quasi una decina d’anni di tweet e post Instagram imbarazzati, provoca un misto di tenerezza, imbarazzo, disagio. Una previsione del Kanye West di oggi.

Da mercoledì è disponibile su Netflix la prima delle tre parti di jeen-yuhs: A Kanye Trilogy, il documentario co-diretto da Coodie & Chike. È costruito da materiale (praticamente inedito) filmato in oltre 20 anni da Clarence Coodie Simmons, amico intimo di Kanye. I primi tape infatti risalgono al 1998 quando Coodie era un aspirante stand up comedian nonché autore e presentatore di Channel Zero, show televisivo sulla scena rap di Chicago. In quei giorni incontra un giovane e aspirante beatmaker, il nostro Ye, e in lui pare vedere qualcosa che nessun altro attorno sembra notare: il genio. C’è un passaggio del documentario molto esplicito dove qualcuno afferma: «Kanye, tu sei brillante, ma Jay-Z è un genio». A pensarci oggi, fa sorridere. Da quell’incontro però Coodie prende una decisione assurda, che quasi potrebbe ricordarci i colpi di testa di Mr. West: molla tutto e raggiunge Kanye a New York per girare un documentario su di lui, sperando di poter immortale la nascita di un star e di aver tra le mani il prossimo Hoop Dreams. Da quel momento Coodie – tra alti e bassi – filmerà da una posizione estremamente privilegiata vent’anni di carriera di uno dei più grandi artisti viventi.

La prima puntata del documentario, dal titolo Vision, non mostra però la facile ascesa nel gotha del rap che potremmo aspettarci. In quei primi anni del nuovo millennio infatti Kanye è continuamente rimbalzato dalle etichette di New York. Nonostante una convinzione che rasenta la superbia, nessuno dell’ambiente crede che lui possa essere anche un rapper. Per tutto l’episodio, infatti, non possiamo che simpatizzare per quel ragazzetto di Chicago che ci prova con tutte le forze a ottenere l’agognato contratto discografico, incappando in continue situazioni di imbarazzo. Oltre alla già citata scenata alla Roc-A-Fella, possiamo vedere come viene rimbalzato da Ludacris (che non si degna di riceverlo), dimenticato da Scarface (invitato a scrivere su Jesus Walks), rapper che in quel momento erano all’apice del loro successo, o come colleghi di Chicago gli voltano le spalle dopo le prime piccole interviste. Inoltre lui e Coodie vengono continuamente scherniti durante la realizzazione di questo documentario che, in quel momento, pareva giustamente insensato.

Coodie (che è il narratore del doc) ha l’abilità di portare sullo schermo un Kanye inedito, o forse dimenticato, l’Old Kanye, un ragazzo con un talento fuori dall’ordinario che ha lottato e sgomitato affinché l’industria credesse nelle sue visioni artistiche. Profetica è quindi anche la prima grande intervista a MTV News: You Hear It First, trasmessa vent’anni fa, nel 2002: «Se riuscirò a fare ciò che voglio davvero la gente guardando indietro dirà: ricordi quando componevi beat per gli altri?».

Un posto d’onore in questo primo episodio è quello dedicato alla figura più importante della vita di Kanye, ovvero sua madre, Donda West. La presenza di Donda è quasi ultraterrena, una mano salvifica in quei primi momenti di stentata carriera. Sono le sue parole – sempre toccanti e concise – a infondere la fiducia necessaria a quel ragazzo con le ambizioni da Icaro. «Tu hai molta fiducia in te stesso, ma spesso viene fuori come arroganza, anche se sei una persona umile. Ricorda: se un gigante guarda nello specchio non vede niente», gli pronuncia una sera tardi, a tavola, dopo l’ennesima delusione lavorativa. Poco dopo, in un’altra sequenza, è ancora lei a dare un ennesimo insegnamento dorato al figlio: «Si può stare coi piedi per terra anche mentre si vola». In questo sguardo così intimo all’interno del rapporto tra i due, capiamo finalmente la gigantesca importanza della figura di Donda nella vita di Kanye e quanto la sua prematura scomparsa (nel 2007) abbia segnato definitivamente la stabilità del rapper di Chi-Town. Ancora oggi, a quindici anni di distanza, Kanye sta provando a esorcizzare quella scomparsa con la pubblicazione di Donda 2, il disco che pare possa veder la luce fra pochi giorni.

Vision è un contenitore di profezie auto-avveratesi. Possiamo assistere alla nascita dell’artista più importante, influente e controverso di questo secolo, qui immortalato appena un attimo prima di rivoluzionare per sempre la storia della musica mondiale. Per chi ama Kanye West, questo primo episodio è una lacrima di gioia e tenerezza. Per chi lo odia, invece, potrebbe essere un’occasione di vedere il più grande talento di una generazione prima che la sua parte umana venisse neutralizzata dalla malattia e dall’overdose di ego. “Nominami un genio che non è pazzo”, rappa Ye in Feedback. Ma cosa c’è all’inizio del genio, all’inizio della pazzia? In jeen-yuhs possiamo darci un’occhiata da molto vicino.

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