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John De Leo racconta il «sogno sconsiderato» di Lugocontemporanea

Pochi soldi, grandi progetti, una comunità ferita da una «catastrofe innaturale». Qui l’artista e co-direttore ci spiega lo spirito della manifestazione, che partirà domani, dove la musica dialoga con altre forme espressive. Tema: la questione ambientale

Foto press

Lugocontemporanea nasce da una visione, dalla volontà di realizzare un sogno. Un sogno sconsiderato che nel tempo assumerà i caratteri di una missione: resistere e cercare di far esistere nell’immaginario quelle proposte artistiche libere da cliché, dai luoghi comuni (che solo idealmente si pensa di riconoscere e sempre più spesso si è convinti di evitare) e dai dettami dell’economia dell’Arte.

La visione iniziò a delinearsi nei primi Duemila – agli sgoccioli di un clima politico-culturale che includeva anche dette espressioni artistiche – quando ancora (r)esistevano diversi artisti, nonché associazioni e luoghi deputati, che si occupavano di arte allo scopo di cercare di scoprire qualcosa di nuovo e tentare di modificare il linguaggio imperante.

Ancora oggi, attorno a Lugo di Ravenna – luogo nella bassa Romagna dove il destino ha voluto nascessi – risiedono importanti realtà artistiche visionarie come il Teatro Comandini o il Teatro Valdoca di Cesena, il Festival AngelicA di Bologna, il collettivo del Torrione di Ferrara, lo storico locale Clan Destino a Faenza o il circolo Arci Area Sismica di Forlì, un vero e proprio faro sulla contemporaneità. Degli innumerevoli altri movimenti artistici sperimentali purtroppo resta traccia solo nella memoria di pochi.

Lugocontemporanea è un sogno che non ho immaginato da solo. Nel 2004, grazie alla condivisione entusiastica del compianto amico fraterno e maestro di vita Franco Ranieri e di Monia Mosconi, una specie di sorella, di manager e assistente sociale cui devo la mia sopravvivenza da ogni punto di vista, il sogno si è concretizzato in un’associazione culturale; da cui l’omonimo piccolo-grande festival che quest’anno giunge alla sua diciannovesima edizione.

Non senza un progressivo incremento di complicazioni (o tagli alle risorse che dir si voglia) e nonostante una sistematica diseducazione culturale (mi piace quel che piace) l’idea della mia associazione era e resta quello di far sopravvivere e rendere familiari a più persone possibili quelle espressioni artistiche multidisciplinari che, partendo dal denominatore comune musica, cercano un dialogo con altri linguaggi dell’oggi: videoarte, recitazione, danza o pittura estemporanea, per esempio.

Al contempo, un altro obiettivo era (e resta) quello di valorizzare o riuscire a produrre performance artistiche sconosciute al grande pubblico – ovvero mai baciate dall’economia dell’arte – ma meritevoli negli intenti anti-mainstream e sinceramente ostinate nel giuramento all’arte. Il che, a nostro modo di vedere, non deve significare necessariamente difendere un ambito elitario. Al contrario, la missione era e resta quella di integrare dette espressioni nell’immaginario popolare; nonché, di portare in luce quelle formule popolari molto più nobili di certa spazzatura spacciata per radicale o concettuale. Un’utopia, sì.

E ancora: scolpita nello statuto di Lugocontemporanea c’è la volontà di affiancare a grandi misconosciuti (ma indispensabili) come Giacomo Toni, Don Karate o quel Paolo Angeli che all’epoca della sua partecipazione era ancora emergente, artisti riconosciuti e storicizzati come veri modificatori dei linguaggi: Societas Raffaello Sanzio, la compagnia italiana di teatro sperimentale più importante a livello internazionale, o Philip Corner, il compositore e fondatore del Movimento Fluxus i cui spartiti grafici sono tuttora esposti alla Tate Gallery di Londra, o come il leggendario sassofonista Steve Coleman, uno degli interpreti più significativi della recente storia musicale afroamericana.

A Lugocontemporanea sono venuti tutti gli amici che ho. Famosi e non. Sono venuti sebbene spesso sottopagati. Non sono più tuoi amici, dirà qualcuno. Ebbene è capitato più volte che nei giorni seguenti all’esibizione a Lugo ancora ringraziassero me e soci per l’invito, argomentando di aver avuto l’impressione di essersi trovati in un’oasi felice, in un luogo – e davanti a un pubblico – dove potersi esprimere liberamente come raramente accade. E questo ci rende pieni di orgoglio. E questo è uno dei motivi per i quali Lugocontemporanea resiste da vent’anni.

È capitato che – in preda alla vergogna di un misero cachet già pattuito, magari dopo performance stellari per qualità e profondità – all’insaputa dei miei soci abbia dato di tasca mia un (modesto, simbolico) extra agli artisti. Non lo racconto qui per farmi bello, men che meno per ostentare una qualche ricchezza. Tutto questo è per dire che i miei soci sono amici fraterni con i quali gli altarini prima o poi si scoprono e quando è scappato detto di questi compensi non preventivati ho scoperto che loro facevano altrettanto. Come dicevo, Lugocontemporanea è un sogno condiviso.

Il Festival è supportato dal Teatro Rossini, dal Comune di Lugo e dalla Regione Emilia Romagna. Purtroppo per noi, non siamo abili nella ricerca di sponsor. Con le banche, nonostante ce ne siano tante nel mio territorio, non sono mai riuscito a spuntare un centesimo. La cosa, siccome sono stupido, alla fin fine non mi rattrista, anzi. Se il festival (r)esiste da vent’anni è anche per il sacrificio di molti volontari, spesso mandati a morire da noi per la pura cattiveria dell’Arci Regionale, istituzione guidata da persone per bene con i quali posso permettermi di scherzare. Tra i dannati di cui parlo, due figure resistono ormai da anni nel girone di Lugocontemporanea: Giovanna Disabato e Federico Gueci sono quelle persone che fa piacere aver conosciuto nella vita e dei quali si diventa naturalmente amici al di là del lavoro in comune.

Lugocontemporanea ogni anno propone agli artisti invitati e al pubblico un input creativo e di riflessione: il tema della prossima diciannovesima edizione della rassegna è “La questione ambientale”. Naturalmente, il tema era stato deciso mesi e mesi prima degli eventi alluvionali straordinari che hanno coinvolto Lugo e il comprensorio di cui tutti siamo a conoscenza. Al di là del paradosso, che tanto paradossale non è, visto e considerato che negli ultimi decenni eventi catastrofici come quelli che abbiamo vissuto di persona accadono sempre più di frequente in tutto il mondo, vi racconto come stanno qui oggi le cose.

Dopo un primo comprensibile smarrimento, man mano ci si è messi all’opera insieme alle professionalità preposte accorse in soccorso; i pochi (per fortuna) feriti sono stati curati e accompagnati temporaneamente in luoghi sicuri nonché supportati psicologicamente da professionisti. Per chi ne ha avuto bisogno sono stati garantiti i beni di prima necessità. Dopodiché, si è fatta una stima delle cose andate perdute: per alcuni il raccolto, per altri il bestiame, i vigneti, uno studio di registrazione, tutti i libri, l’automobile. Per le strade, in preda a un diffuso moto di rimozione ho visto con i miei occhi persone che hanno poi gettato di tutto. Anche ciò che poteva essere riparato o pulito. Pur di cancellarne il ricordo. Una comunità ferita. Una comunità che ha perso anche il Teatro.

Nei giorni seguenti, tolta una prima mano di quel beige che ogni cosa rendeva di sabbia, una volta ricomposta una parvenza di normalità, anche gli angeli del fango hanno ripreso il volo. A questo punto, generalizzando, quel che uniforma la comunità è un umore basso, fosco. Spesso sfocia in collera e il cui bersaglio – sempre generalizzando – è una certa bandiera politica. Si additano certe istituzioni locali come responsabili di quanto accaduto. Non capisco. Oppure non voglio capire. È molto probabile sia vero che siano mancate certe precauzioni o certi lavori di manutenzione o bonifica preventiva e sarebbe interessante la prospettiva di un’indagine sulle risorse destinate a questo tipo di interventi ma – perdendo l’ennesima occasione per non rendermi impopolare – sono convinto che guardare solo questo aspetto sia un po’ come considerare il nostro quartiere il mondo intero, come credere che la nostra galassia sia l’intero universo.

Certo è che è alle istituzioni che dobbiamo rivolgerci. Ma per chiedere che venga immediatamente preso in esame l’allarme degli scienziati di tutto il mondo circa il surriscaldamento globale del nostro pianeta.
Di fatto l’uomo non può nulla contro le forze della natura. Ma se ci spiace che il mondo sia colpito dalle “catastrofi innaturali” provocate da attività umana, cioè da noi, forse è tempo di convenire sulla necessità di un adattamento intelligente alle leggi della natura e desiderare una conversione responsabile – ma responsabile davvero – verso fonti energetiche alternative e rinnovabili. Questo è ciò che possiamo chiedere alle istituzioni. Locali e mondiali.

Oltre all’urgenza di tener acceso questo tipo dibattito, ciò che Lugocontemporanea può in proposito è “ripartire dall’arte” nonché dalle fondamenta politiche, per parafrasare il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nel libro Fondata sulla cultura.

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