‘Inuyasha’ in quattro parole: Mahmood non si batte | Rolling Stone Italia
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‘Inuyasha’ in quattro parole: Mahmood non si batte

D’accordo la trap, ok l’it-pop, va bene il mainstream, ma la popstar più convincente d’Italia oggi è lui. Lo conferma il primo singolo tratto dal nuovo album: manga e botte, addii e sputi, rich kids e sentimenti

‘Inuyasha’ in quattro parole: Mahmood non si batte

Mahmood

Un particolare della copertina di 'Inuyasha'

Senza girarci intorno: se oggi qualcuno è tornato a credere nel pop italiano, è merito di Mahmood. Non c’entrano i pochi eredi che cercano di emularne la lezione, la trap che può o non può diventare la nuova musica leggera, l’it-pop dei testi catchy e appiccicosi. C’entra lui, piuttosto, che appena due anni fa era sconosciuto – ma ci ricordiamo come, a Sanremo 2019, venne trattato da impostore per aver “scippato” la vittoria a Ultimo, cocco della critica, ecc? – e oggi vanta fanpage di “bimbe” su Instagram. Tema: il suo sorriso. È una popstar insomma, l’ultima in ordine di tempo, in grado di parlare a tantissimi però pescando da zone frequentate da molti-meno, unendo urban e tradizione, rap e radiofonia, Battiti Live e collaborazione con Massimo Pericolo. Con credibilità e originalità. Nessuno gli sta dietro.

Non fa eccezione la nuova Inuyasha, che esce oggi come primo tassello verso il secondo album promesso per il 2021. Poi ok, pure stavolta c’è il solito lavoro sull’estetica, che guarda verso Oriente già dalle foto promozionali in tema manga – del resto il titolo del pezzo chiama in gioco l’omonimo fumetto giapponese, non proprio da otaku ma neanche così popolare in Italia – e che rende anche questa uscita un gioiello di comunicazione. Però, insomma, ciò che lo eleva dal contesto è la ciccia che mette a ogni giro, e che qui fra scrittura e produzione (firmata Dardust, ormai un resident dentro questi confini) non manca.

Mi piacerebbe dire street pop, ma si incontrano talmente tanti riferimenti che forse è più esatto di una musica, semplicemente, popolare che in Italia viaggia un passo avanti a quella dei colleghi. Con la bussola che, dicevamo, ci porta di nuovo lì: a sposare mondi lontani sotto il personaggio di Mahmood, sempre più a proprio agio in voce acida e seducente, nasale e contorsionista il giusto (di questi tempi, da queste parti…). Nell’ultimo anno di singoli ne è diventato campione anche più che nell’esordio di Gioventù bruciata, passando dallo street pop principesco from case popolari di Dorado (banalmente: soldi & sentimenti, vengo dalla strada ma guardo alle stelle) al bel canto d’autore modernista di Rapide. Perché è versatile, ma sa ricondurre tutto sotto una cifra propria e contemporanea. E Inuyasha è un altro scatto in avanti, con un’originalità fusion senza rivali nel nostro pop.

Per dire, il testo si tiene in equilibrio senza forzature fra leggeri generalismi (“Stare insieme tutti i giorni fa paura”, “se litighiamo fra le altre persone non ha senso chiedere agli amici chi ha ragione”; è una relazione che proprio non ne sa di morire, e sembrano versi in prestito dall’it-pop) e sporcizie varie, eredità di un linguaggio meno patinato che la trap ha aperto al grande pubblico e che pure su certe stazioni fa pigiare sempre un certo bottone d’emergenza (“Scopare in giro non mi lascia niente”: non è il solito pop da struggimento edulcorato e lessico imbalsamato). E poi l’arrangiamento: fighetto, sul pezzo come un urban col beat asciutto fatto di pianoforte e i rullantini; eppure anche sorretto da un’insospettabile chitarra acustica e dagli archi, più che indizio di una vocazione melodica mai tanto in carne, che ritorna in un ritornello arioso e radiofonico in contrasto con le strofe spezzettate, ma comunque agevolato da un bridge killer e uno special che comincia rappando e poi ritorna alla casa madre del bel canto che lui può permettersi. E sì, questi elementi a cui di solito occorrono almeno un feat e un po’ di scotch per legarsi insieme, e invece qui ci pensa solo la personalità di Mahmood a giocare di raccordo, facendo suonare il tutto raro e internazionale per la nostra musica.

Anche per questo la sensazione che lascia è quella di un artista che ha trovato una quadra originale ed è in crescita continua, con Inuyasha che ne rappresenta l’ultimo upgrade in ordine di tempo, quello in cui le tante influenze si integrano e si confondono meglio, a delineare l’unicità del personaggio. Qui gioca di fino come mai. Ma non è un risultato scontato: dove gli altri si accomodano, il suo percorso ha sempre sorpreso – basta seguire la parabola da Soldi in poi per vedere come abbia spaziato fra codici e scenari, lenti e mazzate sui denti, senza ripetersi né passaggi a vuoto. Come il melodista di razza e di strada che è, punta alle radio e allo streaming senza scorciatoie, e questo pezzo dimostra come non si accontenti, anzi affili le armi. Chiaro: finora non ne ha sbagliata una, ma un conto è ragionare per singoli e un altro farlo a più lungo raggio. E brani così non possono che caricarlo di responsabilità per il secondo disco, là dove bisognerà stare attenti a non ripetersi, perché non basteranno i numeri (che arriveranno, no?), ma lasciare un’impronta vera sul pop italiano. Date queste premesse: non che lui non lo stia già mettendo in conto, immagino.

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