In Giappone il mondo delle idol è una sottocultura da un altro pianeta | Rolling Stone Italia
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In Giappone il mondo delle idol è una sottocultura da un altro pianeta

Viaggio di una sera nell’allucinogeno universo idol di Tokyo con una domanda: cosa possiamo capire noi occidentali di questo universo parallelo fatto di lolite che cantano e ballano per farci dimenticare il peso della vita?

In Giappone il mondo delle idol è una sottocultura da un altro pianeta

Le Merry Parade

Foto: press

Il locale si trova poco distante dall’affollata stazione di Shinjuku, uno dei quartieri più battuti e folli di Tokyo, dove è un attimo perdersi tra piccoli viziosi bar e fumosi izakaya, tra cosplay oramai diventati moda quotidiana e turisti con i cellulari rivolti verso un enorme gatto 3D che fa le fusa dalla cima di uno dei grattacieli di zona. Il Shinjuku ReNY si posiziona poco più a lato, là dove il grande brusio è già diventato silenzioso e il mondo iperstimolato lascia spazio a palazzi che rappresantano il lato corporate della città, e oltre a ospitare concerti di ogni genere è uno spazio celebre per eventi legati al mondo delle idol giapponesi, una delle tante stranezze (per i nostri occhi) che il Giappone sa offrire. Certo, dall’Italia Shunjuku non è proprio dietro l’angolo, ma cosa volete che siano 19 ore di volo (scalo compreso) se dall’altra parte del mondo ti aspetta una follia musicale unica? Lasciatemi raccontare.

Quando arrivo alla torre circolare che al secondo piano ospita lo Shinjuku ReNY siamo nell’orario di cena di un venerdì di maggio. All’entrata pago i 2000 yen (circa 12 euro) del biglietto. La ragazza all’ingresso mi chiede con quale dei nove gruppi in cartellone vorrei posare una foto gratuita. L’elenco che mi mostra è naturalmente in giapponese. Declino l’omaggio, ma imperterrita nel suo inglese rotto decide di scegliere per me, spiegandomi che potrò posare le Layn, sestetto femminile nato nel 2021 sulle ceneri delle Rain17. Ringrazio. Pochi passi e un’altra ragazza mi ferma: il primo drink è obbligatorio, costo 600 yen (meno di 4 euro). Noto di aver terminato i contanti e mi accingo a pagare con la carta ma, come in gran parte delle attività in Giappone, non c’è modo di farlo. La ragazza mi guarda interdetta e tenta di darmi spiegazioni su dove trovare l’ATM più vicino. Fuori ha iniziato a piovere forte e la voglia di avventurarmi alla ricerca di questi contanti è molto poca. Mentre da pessimo italiano cerco di convincerla a venirmi incontro, un uomo alle mie spalle allunga due banconote da 1000 e fa intendere che pagherà la mia quota. È vestito come appena uscito da lavoro, porta con sé un tracolla. Avrà quasi una cinquantina d’anni. Allunga le banconote in silenzio, e mi fa un cenno con un gesto del capo. Lo ringrazio, gli chiedo in che modo posso restituirglieli ma lui con un altro cenno si congeda dileguandomi senza nemmeno lasciarmi l’opportunità di replica, o di strappare qualche delucidazione in più sull’evento.

Capirci qualcosa di questi eventi su internet, nonostante la buona volontà, i traduttori e le IA, è davvero complesso. Non si trovano gli orari, né l’ordine delle esibizioni. A volte nemmeno le pagine social delle band, più o meno conosciute che siano. Anche tutte le informazioni sul fenomeno idol – ovvero giovani bellissimi (maschi o femmine che siano) che cantano, ballano, recitano instaurando con il pubblico un rapporto quasi personale – ci arrivano di seconda mano, visto che qui è un mondo legato ai propri fan locali rispetto al più strutturato e globale sistema coreano. Quello che so di stasera è che l’evento si chiama HappyMerryFriday vol.0 e che nelle sue cinque ore di durata si esibiranno nove band femminili idol, tra cui le Merry Parade (a cui è titolata la giornata) che debuttarono proprio su questo palco nel maggio di due anni fa. La mia preparazione sul fenomeno è dovuta al documentario Tokyo Idols (vi consiglio di recuperarlo), sul resto aleggia mistero.

2023年12月5日 JAPANARIZM 2nd ワンマンライブ『ジャパナReスタート!』

Quando entro nella hall del locale sono l’unico occidentale, ma la riservatezza locale fa sì che non senta gli occhi addosso. Due gruppi di idol (le Loveme e le Airrow) sono schierate in linea e si dedicano alle foto coi alcuni trepidanti fan maschi di varie età. Al bar ordino il mio drink e mi imbatto nuovamente nel mio benefattore che mi saluta con l’ennesimo cenno per incamminarsi verso la sala concerti. Quando apre la porta che divide i due spazi un boato di musica acceleratissima invade la lobby e mi richiama con la stessa proprietà zuccherina di una bevanda gasata. Quando entro nella sala la magia folle del Giappone mi colpisce nella sua complessità. E per complessità intendo che gli input sono così forti e potenti e continui che il mio cervello ha bisogno di una decina di minuti prima di ritrovarsi completamente tra questo campo di battaglia di luci e suoni.

Sul palco in quel momento ci sono le Japanarizm (come faccio a riconoscerle? Non ne ho idea), un idol group composto da sei ragazze sui vent’anni (anche se potrebbero dimostrarne 15). Hanno un look da ragazza di campagna in trasferta a Tokyo che potrebbe ricordare le giovani ragazze che lavorano nei maid café (altra follia tutta giapponese che vi consiglio di cercare online). Ognuna veste del colore con cui è conosciuta. Cantano malino, alcune peggio di altre; ballano malino, alcune peggio di altre. Rispetto alla controparte delle idol coreane, un sistema basato su estenuanti training di canto, ballo e presenza scenica, le idol giapponesi non hanno di queste velleità e la loro principale attenzione è rivolta al rapporto con il pubblico. Per loro la questione non è far le cose bene, ma far star bene chi è presente in sala. L’artista imperfetta, in una società che richiede la perfezione come quella nipponica, è in questo contesto considerata come una giovane da supportare durante la sua crescita artistica. Non è un caso che le schedule delle idol siano molto fitte tra concerti e meet & greet, un’occasione per i fan per seguirne da vicino l’evoluzione, per mostrare supporto e affetto in un rapporto che, per funzionare, necessità di reciproca complicità.

Si noto subito che l’energia e l’entusiasmo che le ragazze mettono in gioco è contagioso. E il pubblico risponde con la stessa intensità degli ultrà allo stadio. Tra le due parti è instaurato uno strano dialogo musicale (incomprensibile per chi non parla giapponese) in cui i fan non solo sanno a memoria la stragrande maggioranza dei brani proposti, ma ne aggiungo parti cantando coralmente nei momenti strumentali. La musica che suona è un mix di speed metal, EDM, hyperpop, ma l’impianto è così sotto pressione dalla scelta volumetrica del suono che tutta la dinamica dei pezzi è schiacciata; quello che arriva alle orecchie è un’univoca onda di un rave pop allucinato. Immaginatevi un mix tra Skrillex, le Babymetal e il vostro anime preferito; può sembrare un incubo – e in parte lo è – ma dopo essersi acclimatati c’è qualcosa che attrae in questo giovanilista e ossessivo pop. È una sala giochi, una pista per autoscontri, un all-you-can-eat.

Ci metto ben poco ad accorgermi di essermi dimenticato i tappi in albergo e così corro in bagno per cercare della carta da utilizzare come primo strato di protezione dei miei adorati timpani (dopo i 30 si sviluppa un amore per parti del proprio corpo finora maltrattate). Lì mi imbatto in un omone sui 40 anni abbondanti che sta preparando un collage con un messaggio dedicato a una delle sue idol preferite, la yellow delle Merry Parade. La scena è piuttosto kawaii, come dicono da ste parti, e a suo modo disturbante. Immaginatevi dei bagni di un locale (ok, ora immaginateveli puliti perché siamo in Giappone) con un uomo adulto piuttosto robusto in abiti da lavoro che con delle forbici ritaglia dei pezzi di giornale per creare con un collage un cartellone dedicato a una ventenne. Dal nostro lato del mondo è facile visualizzare tutto questo come una storia perfetta per l’ennesimo podcast true crime, ma in Giappone è normalità. I fan delle idol e gli otaku (gli appassionati di anime e manga) si sovrappongono senza considerazione di classe sociale ed età, ed è normale vedere impiegati di una certa età (in sala ci sono anche degli over 50 e 60) cercare di rivivere scampoli della propria giovinezza (o di una giovinezza ideale e mai vissuta) facendo parte del fandom di qualche idol group. L’obiettivo è quello di liberarsi, anche solo per poco, del peso del quotidiano, del lavoro, della vita adulta.

【MV】大逆転×パンデミック/メリーパレード

Sotto il palco si è divisi tra chi ha pagato il biglietto per stare nelle prime file e chi invece è relegato un pelo più dietro. Non ci saranno più di 100 persone, a conferma del fatto che questa sia ancora a tutti gli effetti una sottocultura, ma la vibe è clamorosa. Non importa la dimensione del singolo progetto, qui i fan sono reali: i video su YouTube delle Marry Parade non superano che le 2/3 mila visualizzazioni, ma tutti i 100 in sala sanno i testi a memoria: la dedizione è totale, come se fossimo di fronte a un live delle AK48, il gruppo di punta del genere che macina milioni di views. Il pubblico è principalmente composto da maschi in un range piuttosto largo dai 18 ai 60. Ma qua e là spunta qualche ragazza con occhioni sognanti. Ci sono giovanissimi che imitano le coreografie, uomini che potrebbero essere i padri (o i nonni) delle idol che cantano felici a squarciagola come se i temi adolescenziali trattati in queste canzoni fossero ancora parte integrante della loro vita. Il mio amico dell’entrata si destreggia invece tra la macchina fotografica professionale (ma vi assicuro che non è il fotografo ufficiale della serata) e un lightstick colorato, gadget piuttosto diffuso in sala. I più coinvolti vestono con magliette DIY che riprendono i volti delle idol sul palco. Che tu abbia 20 o 60 anni poco importa, il clima è quello di una rimpatriata di amici, di un karaoke a porte chiuse. Le ragazze riconosco i fan ricorrenti e li salutano, mantenendo aperto il ponte tra sopra e sotto il palco a dimostrazione di come il pubblico sia più che mai parte fondamentale della cultura idol.

Per i miei occhi occidentali la situazione è ambivalente. Da una parte ci sono degli uomini felici e rispettosi che hanno deciso di passare il loro tempo libero liberando il proprio lato bambino. Dall’altro, l’estetica lolita delle idol lascia un latente senso di sessualizzazione che non riesce proprio a sposarsi con la cultura di mia provenienza. Ma oltre agli outfit, non c’è mai nulla che sfocia nel sessuale. Qualsiasi popstar occidentale è più esplicita, erotica, sensuale. Qui è tutto kawaii, così tanto kawaii da desessualizzare la situazione. E infatti anche durante i meet & greet non assisto altro che a scene di rispetto e ammirazione. L’estrema cuteness, unita alla timidezza di questo popolo, fa sì che la sfera erotica, almeno in sala, sia completamente annullata.

Finiti i concerti i fan corrono ad acquistare delle cartoline che permetteranno loro di poter trascorrere un breve momento pubblico con l’idol del cuore. E fa quasi tenerezza vedere la timidezza del pubblico in questi momenti, anche quando è chiaro che non è la prima volta che idol e fan si incontrano. Si chiacchiera del concerto, si fanno le foto di rito, nulla di più. Tutto si svolge nella tranquillità più trasparente, tutto accade di fronte a tutti. È strano certo, ma vivendolo l’ambiguità inizia quantomeno a dissiparsi.

Un episodio però mi colpisce. A fine show le Merry Parade, da brave idol, decidono di scattare una foto dal palco con i fan. Quando in sala vengono accese le luci per permettere di scattare la foto, alcuni dei presenti si nascondono o coprono il volto, ricordandoci prima di tutto l’estrema attenzione alla privacy della società giapponese e, in maniera altrettanto chiara, la voglia di non apparire, di non essere possibilmente riconosciuti da qualcuno nella foto di un idol group. Come è facile intendere, e come mi svelano conoscenti giapponesi, non solo da noi in Occidente il mondo idol è visto con pregiudizio.

Questo è ciò che due occhi occidentali possono vedere nell’esperienza di un evento idol. Un mondo complesso, sfaccettato, che a fine serata lascia dubbi e curiosità incolmabili. Ho attraversato il mondo per vedere qualcosa che non accade in Europa, o in generale in Occidente, e sono stato accontentato. Il mondo delle idol giapponesi è una follia (per noi) e una quasi normalità (per loro). È l’ennesima prova dell’indecifrabilità di alcune caratteristiche della cultura nipponica che più cerchiamo di comprendere e meno riusciamo. Pe me, giornalisticamente, una cosa divertente che rifarei, anche solo per capirci di più. Ora scusate ho bisogno di tre ore di silenzio per riprendermi dallo shock del volume dell’evento. Oyasumi.

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