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In ‘Eutopia’ i Massive Attack trasformano la canzone di protesta in un TEDx

Non ci sono più i dischi politici di una volta. Siamo passati da “fanculo il sistema” a “il deficit fiscale delle multinazionali dovrebbe essere soggetto a una tassazione minima del 25%”. Era meglio prima?

Un frame del video dei Massive Attack sull'emergenza climatica

C’è stato un tempo in cui le canzoni di protesta erano semplici e dirette. Magari erano ingenue, ma avevano qualcosa, un fuoco, un’immediatezza. Ce n’erano di incazzate, di sognanti, di utopistiche. Le migliori smuovevano qualcosa dentro. Potevano prendere di mira i signori della guerra, i nemici della rivoluzione, il presidente degli Stati Uniti o il grande nemico di tutti i liberi pensatori rock, il Sistema con la esse maiuscola. In tutti i casi, reclamavano un’adesione emotiva. Accomodarsi dalla parte del giusto era facile e appagante.

Non funziona più così. O meglio, uno ci può anche provare a scrivere un inno di protesta come quelli di cinquant’anni fa, ma rischia d’ottenere una cosa che somiglia a un brutto post di Facebook. Il rock è cresciuto, il linguaggio è cambiato, la coscienza della complessità del mondo ci impedisce di continuare vedere le cose in modo manicheo. Col risultato che scrivere un inno politico è diventato difficile e lo è ancor di più se si ha l’ambizione di affrontare temi complessi senza imboccare la scorciatoia dei populismi.

È la sfida dei Massive Attack e del loro ultimo EP digitale Eutopia – proprio così, come l’album del 2016 dei Litfiba. La parola indica un mondo ideale che si distingue dall’utopia poiché possibile. Non è un EP tradizionale, non lo si trova sulle piattaforme di streaming, ma su YouTube e sul profilo Instagram del gruppo. Non sono nemmeno canzoni, ma reading su basi musicali confezionate con Young Fathers, Algiers, Saul Williams e una parte visiva prodotta con tecnologia generativa da Mario Klingemann.

Per affrontare in modo appropriato e da un punto di vista progressista temi come il reddito universale (tesi: è una necessità e mette in moto l’economia), i paradisi fiscali (tesi: è ricchezza sottratta alla collettività, basta poco per chiedere alle multinazionali quanto dovuto) e il cambiamento climatico (tesi: va combattuto a tutti i costi), i Massive Attack fanno affidamento su tre studiosi delle materie, rispettivamente Gabriel Zucman, professore associato di economia all’Università della California; Guy Standing, economista in forza alla SOAS University of London e co-fondatore del Basic Income Earth Network; Christiana Figueres, segretaria esecutiva della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ognuno è impegnato in un piccolo TEDx su uno di questi temi – anzi, «problemi strutturali» come scrivono i Massive in un comunicato – sulla base della musica pensata da 3D e dai suoi ospiti. Alla fine di ogni pezzo compare una citazione dell’Utopia di Tommaso Moro.

Il reading di uno scienziato (di solito naturale, qui sociale) abbinato a una base musicale è un format che ogni tanto s’incontra nel rock, dall’abbinamento fra Stephen Hawking e i Pink Floyd al lavoro che fanno gli italiani Deproducers. C’è di solito un intento divulgativo, che nel caso dei Massive diventa qualcosa di più, di diverso: un modo per orientare le idee. Eppure c’è qualcosa che non va. Queste canzoni, chiamiamole così, le ascolti una volta e vai oltre. Non ci passi assieme del tempo. Sono suggestive e in alcuni passaggi informative, ma per forza di cose un po’ fredde. Difficilmente finiranno per concorrere alla formazione delle tue idee.

Eutopia è uno strano oggetto pop in cui la comunicazione verbale sovrasta quella musicale, un fatto ben rappresentato della traccia sul reddito di base in cui la voce narrante si sovrappone al canto, impedendo di concentrasi sull’una o sull’altro. Non avrà la chiarezza degli interventi di Zucman, Standing e Figueres, ma c’è un modo più sottile e forse più efficace di fare musica politica. È quel che i Massive Attack hanno fatto, ad esempio, durante il concerto passato in Italia all’inizio del 2019, quando hanno strappato con intelligenza la celebrazione del ventennale dell’album Mezzanine alla nostalgia per trasformarla grazie ai visual di Adam Curtis in una riflessione sulla contemporaneità e sugli effetti sulla psiche collettiva dell’ossessione per il passato che ci intrappola in un loop senza fine. Eccola, l’utopia: scrivere una canzone potente quanto Teardrop sulle Over The Top senza per forza spiegarci che “il deficit fiscale delle multinazionali dovrebbe essere soggetto a una tassazione minima del 25%”.

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