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In ‘Dance of the Clairvoyants’ i Pearl Jam cercano di immaginare il futuro

Il primo singolo da ‘Gigaton’ è un mini saggio poetico sul presentismo. I musicisti si scambiano gli strumenti e guardano all’epoca in cui il post punk incontrava il funk, ma il risultato non è memorabile

Viviamo in un eterno presente e siamo incapaci d’immaginare il futuro, canta Eddie Vedder. Il nuovo singolo dei Pearl Jam Dance of the Clairvoyants è un mini saggio poetico sul presentismo e sul deficit d’immaginazione della nostra epoca. È anche un omaggio alle ragazze di questo mondo, descritte attraverso lo sguardo maschile del cantante che le idealizza: le guarda ballare e vede chiaroveggenti in trance. Salveranno il mondo?

La sensazione di vivere imprigionati in scatole, di essere incatenati al presente è riflessa nella scansione ritmica ideata da Matt Cameron. Mescolando programmazioni elettroniche e batteria ‘vera’, Cameron stende un beat meccanico che evoca l’inesorabilità, quasi la meccanicità del presente. Gli strappi chitarristici funk-rock di Mike McCready sembrano una reazione all’inesorabilità del beat, sono piccoli gesti ribelli.

Ci sono richiami alla new wave, ai Talking Heads, ai Gang of Four, alla musica bianca nata all’intersezione fra funk e post punk – ecco perché la canzone può ricordare i Franz Ferdinand, che sono gli eredi più noti di quella stagione. In quegli anni il rock cantava l’alienazione e la dissoluzione del mondo occidentale. Eddie Vedder non è un nichilista e nemmeno un pessimista storico e perciò inserisce nel pezzo una via d’uscita. Avviene nel finale in cui avverte di “fare un passo indietro quando arriva lo spirito”. È l’elemento salvifico che intravede nelle ragazze che ballano come chiaroveggenti in stato di trance. Dance of the Clairvoyants esprime il disperato desiderio d’immaginare un futuro.

È un desiderio anche musicale. Dance non è la classica canzone dei Pearl Jam. S’inserisce in una lunga tradizione di piccole sperimentazioni che il gruppo ha tentato nel corso degli anni. Incatenati a un’identità molto precisa e molto classica, i cinque  hanno cercato più volte di sabotare il loro sound. Con risultati alterni, perché di Riot Act ci ricordiamo I Am Mine o Love Boat Captain, non You Are. Una delle cose che hanno fatto passato è scambiarsi gli strumenti. Accadeva in Smile, quasi un quarto di secolo fa, e accade in Clairvoyants. Stone Gossard suona il basso (oltre alla chitarra), Mike McCready le percussioni, Jeff Ament la chitarra e una tastiera con un sound che in un disco dei cinque non s’era mai sentito. Per cambiare identità, i Pearl Jam hanno dovuto cambiare strumenti.

Pubblicare Dance of the Clairvoyants come primo singolo dall’album Gigaton che uscirà il 27 marzo è un gesto audace quasi quanto presentare No Code con la magnifica stranezza di Who You Are. Significa dire: questa volta abbiamo fatto le cose in modo diverso. “Come sapete”, dice Jeff Ament in un comunicato, “ci siamo presi un po’ di tempo e questo ci ha permesso di tentare cose nuove. Dance è una tempesta perfetta di sperimentazione e vera collaborazione. Attorno al pattern ritmico di Matt abbiamo mescolato un po’ la strumentazione e costruito un gran pezzo, che ha uno dei miei testi preferiti scritti da Ed. Vi ho detto dell’incredibile parte di chitarra di Mike e che Stone suona il basso? Abbiamo imboccato una nuova strada dal punto di vista creativo ed è eccitante”.

I deragliamenti stilistici dei Pearl Jam non hanno mai dato vita a un’estetica inedita e precisa. Si è sempre trattato di esperimenti estemporanei, di canzoni più o meno riuscite, non di progetti musicali dotati di una visione ampia. Non sono mai passati da The Bends a Ok Computer a Kid A, che sembrano tre dischi suonati da tre gruppi diversi alle prese con pratiche musicali inedite. E difatti i Pearl Jam sono tornati ogni volta alla loro identità, alla loro essenza originale.

Col suo sound stilizzato e il suo mix di beat suonati e programmati, Dance of the Clairvoyants è il tentativo di catturare lo spirito dei tempi da parte di una band che nel 2020 festeggia i trent’anni. Contiene buoni momenti ed è eccitante ascoltare musicisti in giro da tanto tempo alle prese con qualcosa di nuovo, ma non è una canzone memorabile. Riascoltata più volte, fa sentire la mancanza di uno sviluppo convincente. Quando hanno fatto le cose in modo diverso, i Pearl Jam hanno spesso ottenuto risultati modesti. Quando hanno proposto una forma tradizionale e poco ambiziosa di rock, come è accaduto negli ultimi anni, hanno pubblicato dischi mediocri come Backspacer e Lightning Bolt. È una specie d’incantesimo malefico. Gigaton finalmente lo romperà?

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