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In ‘Bruciasse il cielo’ Blanco ci ricorda che a vent’anni si può vivere senza filosofeggiare

L’instant-documentary che uscirà domani è un omaggio alla giovinezza che brucia, ma è prematuro per un cantante al secondo disco e non racconta nulla di nuovo. Niente maledettismi: è la storia di un bravo ragazzo che voleva farcela con la musica

Foto press

Nel 2008 Mike Skinner, in arte The Streets, pubblica il singolo The Escapist. Dopo il successo dei primi due album che rivoluzioneranno il modo di fare rap in Inghilterra, e un terzo disco in grado di conquistare le classifiche UK, è in un momento di transizione. Il video che accompagna il singolo di lancio del suo quarto album documenta una sua camminata di 1200 chilometri, da Dover (nel sud dell’Inghilterra) al sud della Francia. Il video (un road video) è molto semplice: Skinner è ripreso sempre di spalle mentre cammina in vari luoghi. Niente più. Dopo arriverà ancora un album, e poi dieci anni di pausa. Del progetto scriverà: «La strada è solitudine, ma ti dà il tempo necessario per pensare».

Il tempo è tutto ciò che ora Blanco non ha e non può avere come racconta in una delle prime scene di Bruciasse il cielo, il documentario a lui dedicato in uscita il 9 novembre in esclusiva su Prime Video. Presentato ieri sera a Milano negli spazi del Metropol di Dolce & Gabbana (sì, là dove fanno le sfilate) come un road movie (ma del genere, fidatevi, non ha nulla), Bruciasse il cielo è in realtà un instant documentary che cerca di immortale il presente recente di Blanco, dalla genesi e uscita del suo secondo disco Innamorato ai suoi primi stadi a Milano e Roma. Non c’è il viaggio, ma ci sono le mete dei viaggi (la Bolivia dove è stata scattata la copertina dell’album, gli States dove è stato in parte scritto, oltre le serenate eseguite a Venezia, Firenze, Roma, Napoli e le immagini dei live negli stadi) che però non sono mai il punto del racconto.

Se la scelta del road clip di Skinner era guidata da una motivazione interiore, da una necessità di affrontare la solitudine e ripensare la propria carriera (a quei tempi Skinner stava affrontando la crisi dei 30 anni), per Blanco i luoghi mostrati sono puramente estetici, servono come mezzo per ricordarci quanto questo ragazzino bresciano abbia raggiunto in soli due anni di carriera. Se nel road movie il viaggio è un pretesto per raccontare un cambiamento, un’evoluzione, una trasformazione, qui non c’è nulla di tutto ciò, se non la voglia di fermare su pellicola un momento irripetibile per l’artista.

Una premessa è però doverosa: gli instant documentary hanno quasi sempre questo limite e molto difficilmente riescono a diventare dei prodotti artistici rivelanti, limitandosi ad essere materiale più o meno inedito per un’affamata fanbase, come dimostrano opere molto sponsorizzate e poco funzionali come Light Up the Sky delle Blackpink (la preparazione al loro concerto al Coachella) o la docuserie Sento ancora la vertigine di Elodie (sulla sua rincorsa a Sanremo), giusto per citarne un paio. L’idea di immortale un artista nell’atto stesso in cui qualcosa di incredibile sta accadendo nella sua carriera risulta spesso poco interessante proprio perché non viene dato un necessario distacco temporale a chi queste opere deve produrle di trovare una narrazione, una angolazione del racconto che possa aggiungerne qualcosa a quanto già non si sia detto sull’argomento. Spesso, infatti, quello a cui ci troviamo di fronte non è che un prodotto fatto e finito per la fanbase dell’artista, e nulla più. Inoltre, se Skinner abbracciava solitudine e pensiero nel suo road clip, Blanco ci tiene a ribadire – per un’ora intera, la durata dell’opera – che lui detesta la solitudine (anche se forse vorrebbe imparare a conviverci) e che la sua vita va avanti senza il tempo per fermarsi un istante a ragionare su quello che sta accadendo. E in fondo, perché dovrebbe a quell’età?

Blanco ha 20 anni, e noi tutti (e il suo team in primis) dovremmo ricordacelo. Anzi, il documentario forse avrebbe dovuto ricordarlo alla platea con un disclaimer iniziale. Quando in Bruciasse il cielo viene intervistato come un artista maledetto, semi-nudo (la mancanza di magliette è l’unico vero fil rouge dell’opera) seduto sul pavimento di una camera d’hotel dove spegne maledettamente le sigarette sul pavimento, Blanco si mostra per quello che è: un ventenne che, nel bene e nel male, non ha molto da dire perché non ha ancora avuto il tempo per fermarsi a pensare a cosa voler dire.

Nonostante la patina ribelle, il tentativo di trasformarlo in un Sid Vicious al Chelsea Hotel o in un cantautore dannato non funziona. Blanco non ha e non può avere quel peso nelle parole. Più che un punk che prende a calci i fiori sanremesi è un bravo ragazzo che studia canto, ama la propria ragazza e ogni sera manda un messaggio alla madre con su scritto «ti amo». È iperattivo, infantile («per sfogarmi a casa lancio i piatti o i petardi») e piuttosto cazzaro (le migliori parti del documentario sono proprio quelle in cui si comporta da ragazzino, scherzando, giocando, divertendosi), e va benissimo così: lasciamolo essere il ventenne che vuole essere senza tentare di filosofeggiarci sopra. Per intenderci, quando a fine proiezione gli viene chiesto di dire due parole, Blanco fa spallucce e risponde imbarazzato: «Ho già detto tutto nel documentario».

A suo modo – e forse senza saperlo – Bruciasse il cielo è un omaggio alla giovinezza che brucia, anche se il regista fa di tutto per trasformarlo, senza riuscirci, in qualcosa di più: la lotta di un ragazzino contro la solitudine. È soprattutto uno showreel di belle immagini (quelle in Bolivia sono effettivamente incredibili) e di ottime performance canore che faranno molto piacere ai fan dell’artista bresciano ma che – come tutti gli instant-qualcosa – non aggiungono nulla (per la cronaca, Sanremo non viene mai nominato).

In Ancora, ancora, ancora brano contenuto in Innamorato, Blanco canta “tra qualche anno ci faranno sopra un DVD”. Ma la vita di Blanco scorre così veloce che ci sono voluti solo alcuni mesi per realizzare tutto questo. La giovinezza è pur sempre un fuoco che brucia.

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