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Il rockumentario sui Nickelback ‘Hate to Love’ è il Nickelback dei rockumentari

Nessuno s’aspettava ‘A letto con Chad Kroeger’, ma è possibile che un film sulla band canadese non racconti in modo approfondito perché è «la più odiata di sempre»? E poi, dov’è Avril Lavigne?

Foto: Paul Bergen/Redferns/Getty Images

È facile denigrare i Nickelback. Troppo facile. La domanda è: perché? Ovvero, perché la band attira tante critiche e tanto odio? Per il successo che ha avuto? E però i gruppi che hanno ottenuto successo per buone e meno buone ragioni non si contano. Allora è per le canzoni? Di certo non sono i Beatles, ma nemmeno i Bay City Rollers. How You Remind Me rimane un tormentone, un pezzo da karaoke, una canzone classic rock che sembra vecchia prima ancora che finisca. E il resto del repertorio sembra scritto un’intelligenza artificiale alimentata da dischi anni ’70 e da un po’ di country contemporaneo. Sarà allora per l’arroganza da maschio alfa di Chad Kroeger? Ehi, è il frontman di un gruppo rock, è normale che sia così. Sarà il livello sconcertante di popolarità? La musica dei Nickelback sembra fatta apposta per essere la colonna sonora di una birra con gli amici. E insomma, è chiaro che un po’ danno fastidio.

Ma non siamo qui per criticare i Nickelback, né per elogiarli. Siamo qui per capire. Fin dal titolo, il documentario Hate to Love: Nickelback promette di dare le risposte che cerchiamo. È descritto come un ritratto intimo degli alti e bassi di una carriera di successo. E al Toronto International Film Festival, dov’è stato presentato in anteprima, il regista Ben Jones ha detto che è un modo per conoscere meglio questi musicisti. Non che uno si aspetti un A letto con Madonna in chiave rock, ma insomma, è normale nutrire la speranza che il documentario racconti la vita dei Nickelback, come sono diventati ricchi e famosi, ma soprattutto com’è che sono amati e odiati in ugual modo. È così?

Elenco di cose che si imparando guardando Hate to Live: i Nickelback sono canadesi; Chad Kroeger canta e suona la chitarra; suo fratello Mike suona il basso; un altro tizio chiamato Ryan Peake suona l’altra chitarra. Vengono da Hanna, una piccola città nello stato dell’Alberta che potrebbe essere una piccola città americana. La musica dà loro un modo per sfogare l’irrequietezza tipica della giovinezza. Stanno in una cover band chiamata Village Idiot e formano poi un altro gruppo. All’inizio stentano a farsi strada, suonano in posti minuscoli, per continuare ricorrono a prestiti. Fanno un EP. Cambiano vari batteristi finché arriva Ryan Vikedal. Firmano con un’etichetta discografica metal pur non essendo metal.

Altre informazioni. Un giorno Chad arriva alle prove con un pezzo chiamato How You Remind Me. Ha un successo incredibile. Arriva ovunque. Il relativo album Silver Side Up scala le classifiche. Dai club passano ai palasport. Le radio cominciano a passare anche altre canzoni, come Hero dalla colonna sonora di Spider-Man. Vanno in tour. Scrivono altri pezzi. L’album successivo vende la metà del precedente. Tutti pensano che sia iniziata la parabola discendente. Vikedal va in tilt e anche se rimpiazzarlo non è affatto facile, arriva Daniel Adair dei 3 Doors Down. I Nickelback fanno un altro disco, All the Right Reasons, e vende persino più del primo. Sono rockstar che cantano una canzone intitolata Rockstar che racconta com’è essere una rockstar. Seguono altri tour e premi e… sbadigli.

Dov’eravamo rimasti? Ah, sì, siamo al punto della storia in cui la gente comincia ad avere opinioni forti sulla band. La parola odio non rende l’idea. Siamo a metà degli anni Zero, i social media, i meme e l’Internet tutto s’incattiviscono e alimentano reazioni fuori scala per quella che in fin dei conti non è che una delle tante band di rock generico. Improvvisamente i Nickelback sono il gruppo più odiato della storia.

Ora sì che le cose si fanno interessanti. Ora sì che i Nickelback diventano qualcosa di più di quattro tizi provenienti da una piccola città che fanno musica che la gente ama oppure no. Le reazioni che suscitano sono la punta dell’iceberg della cultura tossica che non prevede sfumature: o sei Gesù o sei Hitler. E anche se questo è un documentario sui Nickelback e non è Tutto quello che è andato storto nella cultura online, siamo finalmente arrivati al cuore della loro esperienza. Specialmente per Kroeger, che è il membro più riconoscibile del gruppo. Non potendo sfuggire dal destino di essere il-tizio-dei-Nickelback, si deve beccare un bel po’ di «fate schifo» quando cammina per strada.

«Non cominci a suonare per diventare la band più odiata di sempre», dice Peake. Questo tsunami di disprezzo ha un costo, naturalmente. La gente comincia a prendersela con le partner e persino coi figli dei musicisti. E comunque, raccontano il film, loro vanno avanti facendo altri album e tour e…

Un attimo, cos’è questa storia? Si vedono un montaggio di meme, si ascoltano un po’ di «le cose peggiorarono» da parte dei musicisti e poi la storia va avanti? Va bene che è naturale che quando sei in una band di successo non vuoi che l’odio di milioni di troll anonimi metta in ombra i traguardi che hai tagliato. Ma è in questo punto preciso che Hate to Love diventa un’agiografia per fan accaniti. Non è che uno s’aspetta di vedere il terapista dei Metallica o una qualche tragedia sullo schermo, ma la curiosità di sapere perché la gente li odia tanto non viene soddisfatta. La risposta del documentario è questa qua: come puoi non amare questa band? Ed è pure buttata lì, senza alcuna elaborazione.

Loro ammettono che Something in Your Mouth è rozza e si racconta di problemi con le sostanze che, però, improvvisamente spariscono. O forse ci sono ancora. C’è Chad Kroeger che sposa Avril Lavigne, diventando il re e la regina del rock canadese, e poi il matrimonio finisce (il tempo che ho passato a scrivere questa frase è doppio di quello che il documentario dedica all’argomento). Vari membri del gruppo hanno problemi di salute, che poi passano. Andare in tour è dura. La fanbase è fedele e anzi arrivano anche nuovi appassionati. Gli up sono meglio dei down. Il legame tra di loro si rinsalda. La gente li riscopre, tant’è che viene il sospetto che il titolo Hate to Love si riferisca alla terza vita del gruppo e non al piacere proibito che si prova quando si sente Kroeger tirare fuori l’Eddie Vedder che ha in sé cantando “Neverrrrrr made it as a wise mannnnn…”.

«Scrivo canzoni dei Nickelback per i fan dei Nickelback», dice a un certo punto Kroeger. Allo stesso modo, il team di Hate to Love ha fatto un documentario sui Nickelback per i fan dei Nickelback. Fine della storia, titoli di coda. Considerarlo un progetto frutto della vanità significherebbe fargli un complimento. È un documentario che applica il copione stranoto dalle-stalle-alle-stelle alla vicenda di una band incredibilmente divisiva, col risultato che sembra la storia d’un gruppo qualunque. Il film ti dice: i Nickelback sono canadesi, che altro vuoi sapere? Ripete le solite storie sulla band fino allo sfinimento. La qual cosa lo rende il Nickelback dei documentari rock. Complimenti per la trasmissione?

Da Rolling Stone US.

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