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Il punk-pop è diventato perbene

Appunti sul revival dello stile dei Blink-182 finito nelle mani di Olivia Rodrigo. Va bene così? C'entra la femminilizzazione? È un genere che è sempre stato teen? Ha senso farsi domande sull'autenticità?

Foto: Michael Kovac/Getty Images for Variety

“A 23 anni non piaci a nessuno”, cantavano i Blink-182 su MTV. Sono passati altri 23 anni e il punk-pop non è solo cresciuto, è decisamente tornato dal mondo dei morti e ora è più popolare e influente che mai. È un ritorno formidabile per uno stile che ha sempre feticizzato l’adolescenza, trasformando un ghigno impertinente in uno stile di vita. Eppure oggi il punk-pop è diventato rispettabile. Come diavolo è potuto accadere?

È un fatto meravigliosamente bizzarro, dal momento che il punk-pop non ha mai mirato ad avere un significato culturale. L’obiettivo semmai era quello d’incoraggiare i giovani a sfilarsi i pantaloni. Lo strano destino di questa musica, dall’ascesa nello showbiz di Travis Barker al ritorno di Avril Lavigne nel ruolo di regina madre della scena, era semplicemente imprevedibile. Olivia Rodrigo sta persino cantando dal vivo Complicated di Avril nel suo primo tour: un autentico passaggio di testimone.

Il punk-pop ha cominciato ad essere ovunque soprattutto da quando pubblico e interpreti femminili se ne sono impossessate. Nessun altro stile accompagna in modo così perfetto la domanda: dove cazzo è il mio sogno adolescenziale? Ci sono i Paramore che ispirano un’intera generazione, Willow che in combutta con Travis e Avril sfoga la sua rabbia teen, Olivia Rodrigo che va al numero uno con Good 4 U, sfuriata da sociopatica che non stonerebbe nel repertorio di Paramore, X-Ray Spex, Buzzcocks, Fastbacks o di altre band riverite. Le mamme di mezza America stanno rovistando nei loro armadi per preparasi al When We Were Young, il festival che in autunno che ospiterà una sfilza di leggende punk-pop ed emo, e che sarebbe stato impensabile solo pochi anni fa.

Machine Gun Kelly fa storia a sé. Ha pubblicato Mainstream Sellout, un disco pieno di chitarre, e s’è fidanzato con Megan Fox con un anello dotato di spine che fa male qualora si cerchi di toglierlo (quant’è punk-pop questa cosa?). La gente dibatte sul fatto che questa musica sia davvero punk-pop e anche questo sarebbe stato assurdo solo pochi anni fa: chi avrebbe mai detto che sarebbero esistiti dei puristi di questo stile? È in ogni caso una controversia che aggiunge ulteriore fascino alla faccenda. «Ho letto un titolo secondo il quale l’era delle rockstar è tramontata», ha detto MGK agli American Music Awards. «A me pare decisamente viva».

Il punk-pop ha raggiunto il punto di saturazione culturale nei primi anni 2000. Se ci ripenso, mi viene in mente la sera in cui sono andato a vedere giocare i Knicks con i Sum 41 nei posti a sedere a bordo campo lasciati liberi dal boss della loro etichetta. Quei tizi canadesi coi capelli sparati non c’entravano granché con gli altri spettatori. Ovunque andassimo la gente li vedeva e sorrideva. Un tipo della sicurezza un po’ avanti con l’età li salutò dicendo: «Hey, what’s my age again!» (band sbagliata, amico mio, ma è stato comunque un bel tentativo).

Volendo si può tornare indietro nel tempo fino ai Ramones, che hanno contribuito a definire il punk con i loro “1-2-3-4!” gridati nell’aria sudata e drogata del CBGB di metà anni ’70. Non dimentichiamo che pure loro si ispiravano al bubblegum pop adolescenziale tipo quello della boy band per eccellenza degli anni ’70, i Bay City Rollers. Proprio i Rollers, che facevano cantare i ragazzi di mezzo mondo “S-A-T-U-R! D-A-Y! Night!”, furono presi a modello dai Ramones per scrivere Blitzkrieg Bop. Ammisero tranquillamente che il loro “Hey, ho, let’s go” era copiato dai Rollers e credevano sinceramente di avere per le mani un singolo pop da numero uno in classifica. Si sono sempre considerati una boy band. E in fondo Avril Lavigne ha centrato il suo primo numero uno con Girlfriend, un tributo consapevole al classico dei Ramones I Wanna Be Your Boyfriend.

Sono stati gli australiani 5 Seconds of Summer a cancellare i confini tra boy band e punk-pop nel 2014. Hanno aperto il tour degli One Direction riempiendo gli stadi con magliette dei Green Day e dei Nirvana e suonando riff di chitarra punk-pop sotto lo striscione “Mixtape ’94”. Quando li ho incontrati nel backstage di uno di quei concerti stavano tutti bevendo latte al cioccolato. Ridevano all’idea che i puristi discutessero della loro autenticità. «È bello confondere la gente», diceva il batterista Ashton Irwin. «Leggo online trentenni che dicono: “Non fanno rock! Meglio i Bullet for My Valentine tutta la vita!”. A sua figlia invece probabilmente piacciamo. E fonderà una sua band».

Parole profetiche. Una delle ragioni del revival del punk-pop è che si tratta di un linguaggio adottato dalle ragazze per esprimersi e fare musica varia e inclusiva. I Paramore sono il gruppo che più di ogni altro ha contribuito a definire il genere negli Stati Uniti. Tutte le volte che Hayley Williams sale sul palco a cantare lascia dietro di sé una scia di nuove aspiranti rocker pronte a cantare d’infelicità.

Ferve il dibattito su quel che di autentico e originale c’è nel punk-pop di oggi, che si tratti di giovanissimi come Jxdn che ne copiano il sound o della residency dei Blink-182 a Las Vegas. Per certi versi fa ridere che proprio questo, tra tutti i generi, abbia dei guardiani dell’autenticità. Evidentemente viviamo in un mondo in cui gli artisti possono essere accusati di degradare e sminuire la dignità artistica degli All-American Rejects. Ma anche questo fa parte della storia del punk-pop, un genere che continua a evolversi nel tempo. Nessuno avrebbe immaginato che sarebbe invecchiato tanto bene, diventando sempre più importante e influente. E forse anche questo vuol dire crescere.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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