Il processo a Sean Combs sta tirando fuori il peggio della manosfera | Rolling Stone Italia
Misogynoir

Il processo a Sean Combs sta tirando fuori il peggio della manosfera

Ridicolizzano le donne. Ne sminuiscono le sofferenze. Le umiliano. Costruiscono teorie del complotto. Una parte del mondo hip hop americano e i commentatori social hanno un grosso problema di misoginia

Il processo a Sean Combs sta tirando fuori il peggio della manosfera

Cassie

Foto: Neilson Barnard/Getty Images

La testimone principale dell’accusa nel processo a Sean Combs è Cassie, l’ex con cui Diddy ha patteggiato nel novembre 2023 in un’altra causa, sborsando 20 milioni di dollari. La donna lo accusa di abusi sessuali e violenze fisiche. La avrebbe costretta ad atti sessuali prolungati, i cosiddetti freak off. Quando ha testimoniato al processo, Cassie ha descritto nel dettaglio una relazione che, a suo dire, era basata più sulla vergogna e sul senso di colpa che sull’amore. Ha detto di avere partecipato a così tanti freak off da non riuscire nemmeno a quantificarne il numero. Uno di essi è andato avanti per quattro giorni.

Sui social ci sono commentatori che si sono schierati incredibilmente dalla parte di Diddy. Ad esempio, un content creator di nome Boosie ha dato voce agli scettici su X scrivendo che «non vedo alcun crimine» e ignorando quindi le accuse di Cassie e quel che hanno detto i procuratori federali a proposito della documentazione di cui sono in possesso relativa a un traffico di sex worker con finalità di prostituzione, si presume con la complicità dei collaboratori di Diddy. Per sopportare gli abusi più dolorosi Cassie prendeva farmaci che la obnubilavano. Dopo aver filmato quegli atti, Combs l’avrebbe ricattata minacciando di pubblicare i video nel caso lei lo avesse lasciato. In qualità di artista nel roster della Bad Boy di Combs, la carriera musicale di Cassie era nelle sue mani.

Dopo aver lasciato Combs, Cassie ha avuto impulsi suicidi, è andata in terapia, ha raccontato il suo percorso in un libro. «Stavo andando fuori di testa», ha detto, «volevo morire». Eppure, ha trovato la forza di andare avanti con la causa convincendo così altre accusatrici a farsi avanti e demolendo una volta per tutte la facciata di Brother Love che Diddy si era costruito. In aula Cassie ha parlato apertamente dei maltrattamenti subiti. La ricompensa per il suo coraggio? La diffidenza di chi nulla sa dei fatti e ha deciso di prendere la sua testimonianza con scetticismo.

Sono riusciti persino a spettacolarizzarne il trauma. Zero empatia con la vittima. I social sono pieni di personalità mediatiche e di gente che discute del processo Combs col piglio di un blogger gossipparo che racconta una puntata di Real Housewives. I titoli dei giornali si sono concentrati sul ruolo di urina e sperma negli incontri sessuali, riducendo immediatamente il racconto di Cassie ai dettagli più scabrosi. La giornalista indipendente Loren Lorosa ha fatto un veloce recap del controinterrogatorio di Cassie dall’esterno dell’aula, dicendo che «sfortunatamente, non credo che Puff ne uscirà pulito» in un video di tre minuti in cui parlava a ruota libera di questioni delicate che meritano di essere trattate con più tatto. In uno dei suoi servizi sul processo la YouTuber Tisa Tells, che ha partecipato al documentario The Fall of Diddy, si è vantata di essere a conoscenza di «gossip esclusivi». I social sono pieni di battute sull’olio per bambini e sui festini di Diddy come se stessimo parlando di sketch comici e non di una donna che racconta un trauma da cui ha rischiato di non riprendersi più.

Lo scetticismo dilagante nei confronti di Cassie e la derisione del suo dolore sono lo specchio di un condizionamento sociale che nega alle donne di colore lo status di vittime. Il misogynoir è un problema radicato ovunque, ma la maniera in cui si sta manifestando nel mondo dell’hip hop, alimentata da una cultura online sempre più influenzata dalla manosfera misogina, è più opprimente che mai. Più che di musica, nel mondo del rap di recente si è parlato di donne umiliate e sminuite.

Qualche esempio. La cantante e attrice Halle Bailey ha richiesto un’ordinanza restrittiva contro lo streamer/rapper DDG, che accusa di abusi fisici e verbali. I suoi livestream, scrive, «mi hanno spaventata e fatta sentire perseguitata. I suoi fan mi minacciano. Spesso temo per la mia vita». Vari colleghi di DDG si sono schierati pubblicamente con lui. Nonostante Halle abbia descritto in tribunale diversi episodi di violenza e abbia fornito fotografie che la ritraggono dopo le aggressioni, il suo ruolo di vittima viene negato. E i sostenitori di DDG hanno dato vita a un movimento online: #ProtectDDG.

La solidarietà nei confronti di DDG rispecchia la misoginia dilagante in rete. Figure di spicco della manosfera come Andrew Tate hanno sposato una visione intransigente di mascolinità che nega alle donne libertà e umanità. Nello stream di DJ Akademiks i due hanno concordato sul fatto che le madri single non sono degne di uscire con qualcuno. Adin Ross ha ospitato Tate nel suo stream parecchie volte. A ottobre, Nick Fuentes e Tate sostenevano che «le donne non possono comandare perché non sono soldati». Ross di recente ha suscitato l’ira di molti definendo Doechii una «stronza» e un «pezzo di merda ignorante» dopo che un video in cui lei inveiva contro alcuni assistenti al Met Gala è diventato virale. Ross ha detto di aver perso due sponsorizzazioni per via di questi commenti e del tono aggressivo della sua lunga filippica, che ha sfiorato il razzismo. La triste realtà è che se Doechii dovesse continuare a crescere come artista, crescerà con la sua popolarità anche la misoginia nei suoi confronti.

Il problema più grave riguarda i giovani che fruiscono di questi contenuti. La serie Netflix Adolescence racconta la radicalizzazione di un ragazzino della manosfera, che arriva ad assassinare una ragazza che l’aveva respinto e chiamato incel. Allysa Czerwinsky, ricercatrice che si occupa di suprematismo maschile ed estremismo online, ha spiegato a Rolling Stone che Adolescence riflette le dinamiche del mondo reale, «a base di narrazioni dominanti vittimistiche, scarsa capacità di agire e autostima limitata che si incancreniscono dando luogo a questo disturbo emotivo». I contenuti della manosfera «offrono una soluzione facilissima a queste persone», convincendole che «le responsabili di tutto questo sono le donne».

Internet, a un certo punto, ha dato voce ai sopravvissuti tramite il #MeToo e altri movimenti. Da quando Alyssa Milano ha incoraggiato le donne vittime di aggressioni a rispondere “me too” su X (all’epoca Twitter), un’ondata di persone si è fatta avanti per raccontare molestie e aggressioni subite in silenzio. Il movimento #MeToo ha messo a nudo la cultura della coercizione e dell’abuso che si annida in ogni dove e ha dato vita a uno spazio dove le donne vengono sostenute da varie community online. Negli ultimi tempi, però, pare di registrare un’inversione di tendenza guidata da uomini decisi a sfidare le donne che si fanno avanti. Sneako, che spesso ha fatto degli streaming con Ross, ha affermato che «il valore di una donna è determinato dal suo aspetto, quello di un uomo dalla mascolinità e dal rispetto che incute». Myron Gaines, del popolare podcast della manosfera Fresh N Fit, nel suo libro Why Women Deserve Less ha scritto che «le donne stanno ingiustamente godendo di benefici a discapito di quasi tutti gli uomini».

Come Cassie e Hallie, anche Megan Thee Stallion è stata vittima della tendenza di Internet a ridicolizzare le donne. Lo scetticismo diffuso contro cui si è scontrata dopo che le hanno sparato sembra avere origine dallo stesso misogynoir che esprime chi difende Diddy e DDG. C’è chi nega che le abbiano sparato. E ora qualcuno ipotizza che la Roc Nation abbia organizzato l’accoltellamento di Tory Lanez in prigione perché sapeva che Bradley James, guardia del corpo di Kelsey Harris, si sarebbe fatto avanti per dire che a sparare è stata la donna. Nel documentario In Her Words Megan ha raccontato con dovizia di particolari che, dopo il ferimento, è rimasta traumatizzata dalla raffica di molestie e teorie del complotto di cui è stata oggetto.

Il libro della scrittrice Joan Morgan When Chickenheads Come Home to Roost ha evidenziato il paradosso che da tanto tempo devono affrontare le donne che apprezzano l’hip hop e, allo stesso tempo, sono il bersaglio principale delle offese dei loro artisti preferiti. «Come siamo passate dall’essere fly girls a diventare bitches e hos per i nostri fratelli?», si chiedeva l’autrice nel 1999. E ancora: «Siamo arrivati a un punto della nostra storia in cui l’amore tra neri, che è sopravvissuto alla schiavitù, ai linciaggi, alla segregazione, alla povertà e al razzismo, è in serio pericolo».

Questa frattura è evidenziata dalla polarizzazione della comunità di fronte alle accuse di aggressione mosse a personaggi noti. Le donne di colore vedono l’accanimento con cui gli uomini negano che Cassie, Megan e ora Hallie siano vittime e giustamente riflettono su come tutto ciò sia collegato ai tassi sproporzionati di violenza domestica che subiscono. L’Institute of Women’s Policy Research ha riferito che oltre il 40% delle donne nere ha subito violenza fisica, sessuale e/o stalking da parte del proprio partner: un dato percentuale superiore alla media nazionale del 31%. Nel febbraio 2024 Lancet ha riportato che le donne nere hanno una probabilità sei volte maggiore di essere uccise rispetto alle donne bianche (il 51,3% degli omicidi di donne di colore è legato alla violenza del partner).

Il presunto declino dell’hip hop è al centro delle discussioni da anni. Anche se parecchi artisti indie stanno pubblicando lavori interessanti, la maggior parte del discorso sul rap si è concentrata sull’assenza di musica entusiasmante nel circuito delle major e sulle poche hit da classifica firmate da artisti hip hop. In questo quadro in cui si percepisce l’assenza di grande musica, la violenza contro le donne è diventata un argomento spaventosamente comune. Se questa tendenza andrà avanti, insieme a un aumento di denunce di abusi da parte di artisti e dirigenti un tempo molto amati e a un intensificarsi della promozione della misoginia da parte di personalità pubbliche, è legittimo domandarsi quante donne finiranno per abbandonare il mondo dell’hip hop.

Da Rolling Stone US.